Paola
Mastrocola, Una barca nel bosco,
Parma 2004, Guanda, pp. 257
Giuseppe
Pontremoli, Elogio delle azioni
spregevoli, Napoli 2004, L’Ancora, pp.
158
Nel leggere il
libro della Mastrocola mi sono tornati alla
mente quei passi di Agostino che spesso
leggo in classe:
“Dio,
Dio mio, quante ne ho viste di miserie e di
raggiri allora, quando ancora bambino mi
proponevano come ideale di vita l'obbedienza
a quelli che volevano fare di me un uomo di
successo e un vincitore nelle arti della
chiacchiera, che servono a procacciare
prestigio fra gli uomini e false ricchezze.
Fui mandato a scuola, a imparare a leggere e
a scrivere, senza avere la minima idea,
infelice, di che uso se ne potesse fare. E
tuttavia, se ero tardo nell'apprendere, mi
battevano. Perché era un metodo approvato
dagli adulti”.
Così
Sant'Agostino (in trad. italiana)
descrisse il suo malessere di studente che
diventò disagio di insegnante tanto che
nelle
Confessioni (in latino) il
maestro spiega quanto fossero indisciplinati
gli studenti di Cartagine
e quanto poico rispettosi gli allievi di
Roma.
Vivere a scuola è sempre stato difficile;
oggi sembra lo sia anche di più.
Una
barca nel bosco (p. 68)
rappresenta con efficacia le ansie di chi
vuole imparare e si trova conteso tra
ricordi e aspettative deluse: il padre e
l’isola sono lontani e la speranza di
studiare davvero è insidiata da riti
pedagogici ridicoli e da un raffinato
luddismo che pervade le aule scolastiche e
universitarie tutto inteso a stroncare
l’originalità e l’intelligenza della
gioventù con il ‘metodo approvato dagli
adulti’.
La Mastrocola ha
vinto meritatamente il Premio Campiello con
un libro che presenta l’intrecciarsi di
passioni e disillusioni di uno studente che
da un’isola si trasferisce a Torino per
studiare al Liceo e poi all’Università.
Gaspare immaginava che dal primo giorno di
scuola avrebbe affrontato cose toste e
invece viene trascinato nella ‘settimana
dell’accoglienza’: per cinque giorni in giro
a conoscere le scale, la palestra, i bagni
della scuola (p. 13). E’ questo un libro che
dovrebbero leggere tutti i Ministri di tutti
i dicasteri i quali si renderebbero così
conto di come le innovazioni didattiche
scivolino spesso nel populismo. Ci si
accorgerebbe come il ‘brainstorming’
evidenziando il desiderio di diventare amici
degli studenti non porti a scoprire
‘letture’ ma comporti la necessità di fare
una festa in classe (p. 23) e nel frattempo
le versioni dal latino non si fanno perché a
Gaspare dicono che a scuola “cercheremo
di fare un latino agile flessibile. Un
latino divertente” (p.26). Gaspare prima
di trasferirsi sul Continente aveva imparato
a conoscere l’Odissea, l’Eneide,
l’Orlando Furioso grazie ad
un’insegnante di scuola media che lo aveva
appassionato alle storie degli uomini. I
sogni si infrangono nei contorti percorsi
della didattica e delle mode fatte di cover
di telefonini e di scarpe firmate. Del resto
a scuola oggi si sta per imparare a
‘relazionarsi con gli altri’ e questo non lo
insegna quel Verlaine (p. 43) a cui Gaspare
si era affezionato. La scuola fatta di
walkman, di cover di telefonini, di
masterizzatori, di collezioni di CD, di Play
Station, la scuola dei ritardi dei
professori e di quanti copiano i compiti
delude Gaspare che con grande coraggio
decide di andare a parlare con il
Minotauro-Preside per denunciare tutto e il
risultato è davvero inaspettato…. (p. 52) o
forse no. I tentativi di adeguarsi alle
mode, di inserirsi sono infiniti, ma Gaspare
ci prova: compra i jeans strettissimi che
gli fanno male, la felpa corta e tuttavia
continua ad essere escluso (p.81), anche se
si sforza persino di andare male e di
prendere voti inferiori al sette. L’applauso
Gaspare poi lo otterrà e anche il consenso
della Preside- Minotauro (p.87),
cominceranno così le lezioni di branco e le
iniziazioni alle feste, di squillini e di
chat menzognere che trascinano nel ridicolo
lo studente (p. 169). Ma Gaspare non riesce
a smettere di studiare (p. 101) e permane la
sua insoddisfazione sino a quando non compra
un pioppo e lo porta a casa in tram (p.
143): l’amore per le piante condiviso con
l’amico Furio riempiranno la vita e la casa
di Gaspare. Verrà poi il tempo
dell’università del desiderio di iscriversi
a Latino, desiderio frustrato ‘perché non
serve a niente...’ e allora Scienze della
Comunicazione ‘una cosa moderna,
frizzante...’ (p.187) che non soddisfa, così
come non soddisfano le lauree brevi e il
counsellor che dovrebbe orientare gli
allievi e che invece insegna ‘l’arte di
spiluccare’ (p. 189). Gaspare non demorde e
vuole studiare l’opera
De reditu suo di Claudio Rutilio
Namaziano e farci la tesi (p. 195). La
realizzazione del desiderio incontrerà
infinite difficoltà: l’imprendibile
appuntamento con il professore (p. 197) e un
mondo accademico ottuso che mira solo all’autocitazione,
la tesi verrà scritta con entusiasmo,
ma.... Gaspare ‘non si doveva permettere’(p.
201) . Chissà che direbbe lo studente
Gaspare nell’apprendere che del suo De
reditu ora c’è una
versione cinematografica e che è
disponibile con lessici e concordanze un
testo latino nella
IntraText Digital Library. La
tesi verrà terminata e Gaspare otterrà anche
il massimo dei voti. Inizierà il faticoso
percorso del ‘cercare lavoro’: umiliazioni e
illusioni mitigate dalla grande passione che
porteranno Gaspare e il suo amico a
progettare Bosco Mondo (p. 238) un
progetto architettonico che entusiasma e che
vien voglia di ricreare, un progetto
fantastico che mitiga l’amara ironia sulle
condizioni dell’istruzione in Italia.
Tuttavia l’ammirazione per la fantasia della
Mastrocola sulla ‘camera del pioppo’ non
deve cancellare la rigorosa denuncia
dell’insegnante-scrittrice sui mali della
Scuola italiana (e in qualche recensione
sembra cogliersi questa tendenza...).
I libri della
Mastrocola e quello di Pontremoli si legano
tra loro per appartenere al mondo di chi la
Scuola la costruisce con passione esaltando
quel principale metodo di studio che è la
lettura. Chi sia Giuseppe Pontremoli
(1955-2004) appare da quel che scrive in
difesa dei bambini ricordando quel che
diceva Giovenale: "Se prepari qualche
nefandezza, abbi almeno il massimo rispetto
per l'infanzia" (Satire, XIV). Sì, rispetto:
una parola così semplice e forte da fare
paura, perché presuppone che l'altro esista
davvero. Non si tratta di fare del
bambinismo, di darsi un sentire ideologico,
di spalmarsi addosso appiccicaticce melasse;
anche perché io proporrei piuttosto di
assumere a principio quello che diceva
Femand Deligny: "Bettelheim dice che bisogna
amarli. Ma non mi faccia ridere.Io dico:
bisogna rispettarli. Quello che mi irrita è
l'indigestione di affetto che si fa subire
ai ragazzi, è da questa indigestione che
nasce lo scompenso. Picchiare i ragazzi non
è grave, soffocarli è tremendo." (F. Deligny,
I ragazzi hanno orecchie, Emme 1978; ma è
questo un libro che non si trova più, e
nemmeno si trova - ed è una mancanza ancora
più grave -, dello stesso Deligny, lo
straordinario I vagabondi efficaci, Jaca
Book 1973). Proporrei di assumere questo non
certo perché ritenga che i bambini debbano
essere picchiati o si debba non amarli, ma
perché nel rapporto educativo /.../ uno dei
rischi più incombenti è la prevaricazione,
anche da parte dei benintenzionati. Io
speriamo che me la cavo è il prodotto di una
cultura che tutto prevede ma non il rispetto
per i bambini, e in quanto tale è un libro
pericoloso; e non è un libro divertente. Non
importa che contenga espressioni divertenti,
il problema vero è che di quei modi
espressivi, di quei bambini, di quelle
condizioni di esistenza, come ha scritto con
la consueta acutezza Antonio Faeti su
"l'Unità" del 4 aprile '90 - in tutti i
salotti italiani si ride sconciamente. E non
è un libro divertente, non può esserlo,
perché è il prodotto di una cultura che non
considera i bambini se non quando
garantiscano in qualche misura lo
spettacolo; una cultura che si serve di
loro, nutrendosi di violenze e
mistificazioni e chiudendo il suo squallido
pasto con il dessert stomachevole del
"dolce" e dell' "ingenuo" o del "poverino è
stato violentato". Stomachevole, sia chiaro,
non certo perché i bambini non abbiano
dolcezza e ingenuità o non subiscano
violenze, bensì perché semplicemente falso,
posticcio, pretestuoso - e guardonesco,
anche. Prendere la parola, prendersi le
parole, è quanto di più arduo; eppure è
possibile, e probabilmente è qualcosa che ha
molto a che vedere con ciò che ha qualche
senso. E parlare, dirsi e dire - e scrivere,
quindi - può anche portare ai più diversi
esiti, anche tra i bambini. La scuola
potrebbe essere un luogo all'incirca
privilegiato; questo però può avvenire
soltanto là dove ci si dia da fare a
praticare un uso realmente libero del
linguaggio, ma un uso realmente libero del
linguaggio può aversi soltanto là dove lo si
assuma come una costante e non come un
evento - come il respiro, insomma -, e
invece la costante è per lo più il non uso
del linguaggio, la degenerazione in
stereotipo, la riduzione a secchezza o a
vuoto, e troppe pratiche didattiche sono
improntate a sottolineare la forzatura e l'
estraneità, il dire a comando, l' artificio.
(Cfr.
http://www.albertomelis.it/pontremoli_bambini_in_vetrina.asp
)
Nell’
Elogio delle azioni spregevoli si
manifesta un’azione didattica volta a
comunicare l’esaltazione della lettura e in
particolare del “raccontare le storie ai
bambini cioè aiutarli a crescere, aiutarli a
imparare a vivere. Vivere, crescere. Non:
sopravvivere; non: trascinarsi;
non:adeguarsi all’esserci consentendo
comunque” (p. 17). Contro questa
etica
dell’insegnamento sono in molti
“indifferenti a tutto, privi di passioni
profonde, non sono soltanto molti genitori.
Per esempio, nelle scuole d’ogni ordine e
grado d’insegnanti così ce ne sono a
legioni” (p.21). Pontremoli era
particolarmente orgoglioso della continuità
di quel tipo di azioni spregevoli che aveva
commesso: “dai sei anni in avanti ho letto
ben altro che i libri di testo. E poi, dai
vent’anni in avanti, giacché è da allora che
ho cominciato a insegnare, ho fatto leggere
libri che non erano proprio i tre libri di
testo”. L’allusione qui è a un racconto dove
l’insegnante Tobia Corcoran aveva prescritto
come “Uno studente dai sei anni in avanti
non può compiere azione più immorale,
malvagia, spregevole, pericolosa, allarmante
che leggere libri che non siano i tre libri
di testo. /.../ Per non avere nessun dubbio
in proposito i tre libri di testo son tre:
1)
Trattato di
geometria e di aritmetica del signor Tobia
Corcoran;
2)
Trattato di
grammatica del signor Tobia Corcoran;
3)
Trattato di
analisi logica del signor Tobia Corcoran.
Durante
i cinque minuti di riposo agli alunni è
concesso di ricrearsi guardando le figure
geometriche.” (pp.
32-33).
In realtà
occorre esaltare la lettura a scuola perchè
non porta alcun profitto immediato e
tangibile, non porta alcunché di misurabile,
“perché leggere è inoltrarsi nel cammina,
cammina. Leggere è aprirsi alle domande.
Leggere è cancellare il prezzo del tempo.
Leggere è esporsi, mettersi in gioco.
Gratuitamente. E i dati sulla lettura in
Italia sono ben conosciuti, come ben
conosciuti sono i dati su quanto leggano gli
insegnanti” (p. 42). Difatti i
non lettori in Italia sono il 61,4% e le
tabelle dell’
Istituto nazionale di statistica
relative alla cultura alla società e al
tempo libero sono illuminanti:
Tavola 1.4
segue - Persone di 6 anni e più che
guardano la televisione e ascoltano la
radio, leggono quotidiani o hanno
letto libri negli ultimi 12 mesi per
frequenza, classe di età, titolo di studio e
sesso - Anno 2001
(dati in migliaia)
CLASSI DI
ETÀ
TITOLI DI STUDIO |
Popolazione di 6 anni e più |
Guarda laTV |
di cui qualche
al giorno |
Ascolta
la radio |
di cui 1 tutti i giorni |
MASCHI E FEMMINE |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
6 -13 Licenza
media |
18 |
16 |
- |
15 |
10 |
Licenza
elementare |
4.491 |
4.207 |
131 |
2.333 |
1.037 |
Totale
|
4.509 |
4.223 |
131 |
2.348 |
1.046 |
|
|
|
|
|
|
14-24 Laurea
|
35 |
31 |
4 |
27 |
14 |
Diploma
superiore |
2.547 |
2.401 |
341 |
2.147 |
1.472 |
Licenza
media |
4.208 |
4.010 |
321 |
3.534 |
2.449 |
Licenza
elementare |
211 |
184 |
15 |
140 |
98 |
Totale
|
7.000 |
6.627 |
682 |
5.847 |
4.033 |
|
|
|
|
|
|
25-44 Laurea
|
1.962 |
1.782 |
318 |
1.494 |
923 |
Diploma
superiore |
6.991 |
6.526 |
765 |
5.533 |
3.662 |
Licenza
media |
7.892 |
7.525 |
741 |
6.104 |
3.948 |
Licenza
elementare |
969 |
894 |
61 |
616 |
397 |
Totale
|
17.815 |
16.727 |
1.885 |
13.746 |
8.930 |
|
|
|
|
|
|
45-64 Laurea
|
1.160 |
1.071 |
146 |
720 |
411 |
Diploma
superiore |
3.094 |
2.948 |
247 |
1.957 |
1.132 |
Licenza
media |
5.077 |
4.851 |
288 |
3.228 |
1.885 |
Licenza
elementare |
5.143 |
4.917 |
268 |
2.625 |
1.409 |
Totale
|
14.474 |
13.787 |
949 |
8.531 |
4.837 |
|
|
|
|
|
|
65 e più Laurea
|
348 |
326 |
22 |
192 |
131 |
Diploma
superiore |
875 |
841 |
32 |
484 |
317 |
Licenza
media |
1.574 |
1.511 |
54 |
752 |
447 |
Licenza
elementare |
7.625 |
7.209 |
347 |
2.688 |
1.660 |
Totale
|
10.422 |
9.887 |
454 |
4.117 |
2.555 |
|
|
|
|
|
|
TOTALE Laurea
|
3.505 |
3.211 |
490 |
2.433 |
1.479 |
Diploma
superiore |
13.507 |
12.716 |
1.385 |
10.121 |
6.583 |
Licenza
media |
18.769 |
17.912 |
1.404 |
13.632 |
8.738 |
Licenza
elementare |
18.440 |
17.412 |
822 |
8.402 |
4.602 |
Totale
|
54.220 |
51.251 |
4.101 |
34.588 |
21.402 |
Ha ragione
l’autore a denunciare “la malinconica
ragionevolezza della scuola, lugubre
convoglio diretto a Tristapoli” (p. 134), ha
ragione il bravo maestro che sapeva
raccontare le storie e che qui non ha
dimenticato di passare in rassegna (e di
citare) la quantità di autori che esaltarono
il piacere di leggere, ha ragione Pontremoli
ad esaltare l’esempio, citato nelle sue
Memorie da Stevenson, di quel fabbro
gallese venticinquenne e analfabeta cui
capitò di ascoltare un capitolo del
Robinson letto ad alta voce nella cucina
di una fattoria; l’esperienza lo sconvolse
perchè si rese conto che esistevano dei
sogni impalbabili, “scritti e rilegati, e li
si poteva comperare in cambio di poco denaro
per poi goderne a volontà”. Fu allora che il
giovanotto decise di “imparare a leggere
il gallese, e quando vi fu riuscito andò a
chiedere il libro in prestito: naturalmente
si era perduto e l’unica altra copia che se
ne poteva trovare era in inglese. Niente
paura: si rimise a studiare di nuovo, imparò
l’inglese, e poté leggere da cima a fondo,
con immutato piacere il romanzo di Defoe”.
Piero Morpurgo
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