"Donne nell'arte", prima puntata
Le grandi miniature di Giovanna Garzoni
Si chiude il 31 Agosto, a S.Severino Marche, una mostra dedicata alla pittrice del Seicento che sintetizza nella sua opera "natura morta" e disegno scientifico
Non è ideologico vetero-femminismo affermare quanto le donne nell’arte, almeno prima di una certa epoca, siano state, salvo rare eccezioni, neglette e presto dimenticate.
L’analisi sul fatto in sé verrà lasciato ad altri e più esperti perché sarebbe troppo banale e forte per me la tentazione di liquidare la faccenda con un luogo comune. Ma non ci si può lasciar scappare l’occasione di proporre uno sguardo più attento sul valore artistico di alcune delle più significative pittrici di cui è particolarmente ricco il Seicento, occasione che ci viene offerta dalla interessante rassegna al Palazzo di Città a S.Severino Marche su Giovanna Garzoni che chiuderà il 31 agosto
A fronte di una biografia fin’ora non molto documentata, rimangono a testimoniare l’abilità di questa pittrice, nata intorno al 1600, un consistente gruppo di sue opere conservate nella Collezione Pitti a Firenze, ma anche all’Accademia di S.Luca a Roma, che ne possiede un album con ben ventidue studi di insetti, frutta e fiori, lascito testamentario della stessa pittrice.
Altri fogli di delicata pergamena a tempera, la sua tecnica prediletta, sono anche in altre Collezioni sparse in tutta l’Europa e nel mondo, come la Biblioteca Nacional di Madrid o il Cliveland Museum of Art.
La prima formazione della pittrice marchigiana doveva essere avvenuta ad Ascoli Piceno, suo probabile luogo di nascita, e poi, più specificatamente, a Firenze. Lì ebbe modo di conoscere l’opera di Jacopo Ligozzi, veronese d’origine, ma chiamato a Firenze nel 1578 dai Granduchi di Toscana ad illustrare, da quella data fino alla sua morte (1626), con disegni, pastelli e tempere, gli atlanti scientifici del mondo animale e vegetale.
Questa, "scientifica", è probabilmente la vera infrastruttura dell’opera della Garzoni; infatti, più che miniaturistica, come spesso è stata impropriamente definita, la sua pittura si compone di una sintesi tra la "natura morta" e il disegno scientifico (del quale lei, certo, non ignorava gli importanti esiti nell’attività artistica di Leonardo o Dürer).
E l’ambiente culturale fiorentino, al quale forse tornò, a più riprese, nel corso della sua carriera, era sicuramente tra i più adatti allo sviluppo di tale genere, visto il profondo interesse dimostrato per la scienza dai Medici dal Granduca Ferdinando II (1610-1670), che fu mecenate e amico di Galileo e da suo fratello, Leopoldo de’ Medici, fondatore, nel 1657, dell’"Accademia del Cimento", nata a finanziare la ricerca scientifica.
Era il momento centrale della formazione artistica della pittrice a Firenze e i rapporti con i Medici, suoi committenti, si cementarono in un’amiciza che durò fino alla morte prematura di Cosimo II, nel 1621.
Forse non solo a causa questa morte, ma richiamata presso altre corti dalla sua fama ormai consolidata, troviamo la giovane artista a Venezia, (Città in cui, fin dal Cinquecento esisteva una forte tradizione di ritrattistica naturalistica), dove lascia un ritratto di un giovane dipinto in miniatura, che attualmente si trova nella Collezione della regina d’Olanda.
Circa cinque anni più tardi, Giovanna è a Napoli. Lì veniva contesa da committenti importanti quali il vicerè spagnolo, duca d’Alcalà: ma da lì, forse per nostalgia di Roma, desiderava andarsene per ritornare nella capitale, dove già aveva lavorato per il prefetto romano Taddeo Barberini.
Esperienze assorbite ed accumulate, esperienze tradotte in opere calibrate e gentili, sapienti, apprezzate non solo in Italia ma anche in corti europee. Contributi di culture diverse, anche straniere, come quelle, tanto di moda nel Seicento, dei pittori fiamminghi di nature morte sparsi dovunque in Italia, contribuiranno a maturare sempre più l’abilità di costruire trasparenze di vasi pieni di fiori preziosi, campionari di frutti, uccelli e piccoli animali.
La sintesi che ne deriva è una poesia delicata ma precisa ad un tempo. Il disegno accurato, la composizione sicura, la disposizione delle frutta e dei fiori su superfici non sempre determinate ma lasciate piuttosto all’immaginazione, gli accostamenti originali e contrastanti dei soggetti,- come un raffinato garofano purpureo accanto ad un piatto di rustiche fave-, un cromatismo delicato ed elegante, sono gli ingredienti delle composizioni della Garzoni e anche la ragione della sua fama durante la vita; soprattutto a Firenze, come si è visto, ma anche a Roma. Qui si stabilì infatti, ricca e stimata tanto da essere annoverata tra i membri della famosa Accademia di S.Luca; associazione di artisti, a quanto pare, meno maschilista di quanto si potrebbe supporre; e ben gliene incolse, visto che a questa Accademia la Garzoni lasciò oltre alla sue opere, anche il cospicuo patrimonio quando, nel febbraio 1670, morì.
L’unica condizione che pose fu quella che le venisse eretto un monumento funebre nella chiesa dei S.S.Luca e Martina, la cappella dell’Accademia. Cosa che fu fatta, per la verità un po’ tardivamente, nel 1698, ad opera di Mattia de’ Rossi, uno dei collaboratori preferiti di Gianlorenzo Bernini.
Giovanna Grossato
|