Ma tra le priorità, per il numero uno della Cisl, ci sono anche la difesa della governabiltà, l'assestamento per la lira e il contenimento dei costi delle materie prime. Ovvero arginare l'inflazione ed evitare l'aumento ingiustificato delle tariffe: un'impresa difficile ma il leader sindacale è convinto di riuscirci. Come? Ecco la sua strategia per i rinnovi dei contratti nel dialogo con Confindustria e Governo
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Sergio D'Antoni. Un protagonista. Non solo tra i circa quattro milioni di iscritti alla Cisl, che da anni guida come leader indiscusso. Ma anche un volto che una sera sì e una no buca il video con le sue dichiarazioni sui temi che riguardano il lavoro, i periodici incontri-scontri con gli "avversari" storici della Confindustria, col governo o ministri di turno. Frasi misurate col bilancino, dove basta un aggettivo a dettare la differenza con le posizioni di Cofferati della Cgil e Larizza della Uil. D'Antoni è come un diesel, cordiale e abituato al dialogo lungo ed estenuante, ben consapevole della necessità di considerare le ragioni degli altri, convinto e pacato nell'esporre le sue idee, i progetti sul sindacato, le prospettive della nostra economia. Ed anche fiero della sua attività, una vera missione quella svolta dai sindacalisti. Anche in futuro? Ne sono intimamente convinto. Il sindacato, inteso nel senso più ampio e pieno del termine, ha un grande futuro, perché nelle società moderne c'è il rischio di grandi divisioni e differenze, sempre più marcate, tra ricchi e poveri. Tra chi dispone di un tenore di vita alto e chi fatica a sopravvivere. Le esigenze, o meglio le necessità, di giustizia sociale ed equità saranno sempre più sentite ed avranno quindi sempre più bisogno di paladini capaci, generosi ed impegnati. Ma, oggi, com'è la situazione sindacale e la famosa unità tra le varie confederazioni? A mio avviso l'unità sindacale è indispensabile. Dovrebbe essere un obbiettivo primario per tutti dare vita ad un soggetto sindacale nuovo, in grado di catalizzare l'interesse dei lavoratori, al di là delle loro idee politiche. Ho chiesto ripetutamente alla Cgil ed alla Uil di fissare una scadenza per la nascita del nuovo soggetto. Purtroppo devo constatare, con rammarico, che non abbiamo avuto risposte concrete. Perché? Mi è difficile dare una risposta. Basta tornare all'ultimo grande congresso della Cgil di Rimini: ebbene, nella relazione di Cofferati ci sono cinque striminzite righe su questo importantissimo tema. E la relazione è di trentadue pagine! Diciamo che evidentemente non è un obbiettivo primario per gli altri. Comunque sia, se non si vuole fare un grande sindacato, noi lavoriamo per fare una grande Cisl. A livello nazionale i lavoratori iscritti al nostro sindacato sono intorno ai quattro milioni. Se in passato molti davano il sindacato in crisi, ora devono fare i conti con la realtà di una sostanziale tenuta delle iscrizioni, della buona reputazione goduta e del ruolo insostituibile svolto come interlocutore per le istituzioni e per i partiti. Oltreché naturalmente per gli imprenditori. Che nel Nord est cominciano a diventare parecchi, contando anche i molti operai che diventano imprenditori... Il Nord est, più di altre zone d'Italia, è un territorio in grande sviluppo, talora impetuoso, anche se all'orizzonte si sta profilando una certa frenata. Rispetto ad altre zone del Paese da c'è una mentalità imprenditoriale diffusa. Una cultura che spinge tante persone a mettersi in proprio, lasciare il lavoro dipendente. Ma così non viene meno la necessità di sindacato, se tutti diventano imprenditori? Verrebbe meno la necessità di un certo sindacato, non del sindacato. Anche se per ipotesi - ma si tratta di qualcosa di ipotetico per ora - ci fossero solo imprenditori, sorgerebbero necessità di tutela magari diverse da quelle attuali, ma sempre ben presenti. In sostanza il sindacato si evolverà, ma sarà in ogni caso necessario ed utile. Già oggi, ad esempio, il sindacato spinge per ottenere i servizi di cui il Nord-est è carente e contemporaneamente può diventare sempre di più il fulcro per la ricerca e la formazione. Allo scopo di ottenere quel consolidamento dello sviluppo economico che riteniamo necessario. Perché non ci sono solo lati positivi in uno sviluppo economici impetuoso: è necessario affiancarlo tempestivamente con infrastrutture stabili adeguate, quali strade, pubblica amministrazione efficiente, servizi pubblici moderni. E poi, per stare in tema, va detto che la contrattazione nazionale nelle grandi fabbriche che interessano centinaia di migliaia di lavoratori non viene considerata più di tanto "adeguata" al sistema diffuso veneto, dove appunto i contratti aziendali riguardano solamente circa un terzo delle imprese. Infatti in alcune zone d'Italia, come nel Veneto, sento parlare di contratti regionali, quasi una forma di decentramento dal centro, una sorta di federalismo sindacale? Per quanto riguarda il sindacato, noi a livello centrale e chi sta nelle regioni, faremo, come ho detto, tutto il possibile per adeguare il movimento che tutela gli interessi dei lavoratori alla realtà in cammino. E se questo comporterà cambiamenti nelle strutture tradizionali, se questo richiederà aggiornamenti organizzativi e professionali, ben venga. Se invece, guardiamo alla politica, qui si parla di divisioni nette, di secessione, allora non ci siamo. Riconosco il ruolo che svolge e che ha svolto la Lega, particolarmente forte in Veneto dove è al vertice dei consensi, tuttavia io sono convinto che, nonostante tanti proclami, sia ancora alla ricerca di un approdo. Ma se, e lo auspico con la massima convinzione, finalmente l'apparato statale migliorerà concretamente, cioè se lo Stato funzionerà bene, allora anche la Lega verrà ridimensionata. Si formeranno nuovi equilibri. Fermo restando che per funzionare bene il nostro Paese necessità di una buona dose di federalismo che è la giusta risposta all'esigenza di dare maggiore responsabilità ai poteri locali ed avvicinare sempre di più i centri di entrata coi centri di spesa. Ma tornando al sindacato, cosa può fare intanto? Noi, come Cisl, contiamo su una base diffusa ma è indubbio che bisogna aumentare il numero degli iscritti. Più iscritti vuol dire più forza, questo è ovvio. Il punto è come arrivarci: oggi è necessario migliorare la gamma dei servizi, sia dal punto di vista quantitativo che da quello qualitativo. E intendo l'assistenza previdenziale, quella fiscale, i fondi previdenziali integrativi e via dicendo. E nel rapporto col Governo? Lei avrà seguito le vicende degli ultimi mesi. E quindi ha potuto constatare come il nostro movimento, a differenza delle altre Confederazioni, non abbia avuto dubbi di sorta ne condividere l'obbiettivo di fissare il tasso di inflazione programmata per il '97 al 2,5%. E se qualcuno ci ha accusato di essere filo governativi per questa identità di vedute, rispondo che si tratta di stupidaggini. Per noi la lotta all'inflazione è una scelta strategica fin dai tempi del povero Tarantelli, il nostro consulente economico ucciso dalle Brigate Rosse, e parlo del lontano 1983. Quindi anche per voi abbattere i prezzi può essere la soluzione di tanti problemi? Certamente e non esistono altre vie praticabili. Se si incide sull'inflazione, scendono i tassi di interesse, lo sviluppo riprende fiato, diminuiscono i costi dello Stato per gli interesse sul debito pubblico, e quindi le manovre finanziarie saranno meno pesanti via via nel tempo. Si potrà, soprattutto, aumentare l'occupazione che è il problema più assillante di tutti. Abbattere i prezzi è quindi l'unica vera difesa dei salari, degli stipendi e delle pensioni. Ma se si pretende che i lavoratori facciano il loro dovere, noi chiediamo con forza, e senza fare sconti, che anche il Governo e gli imprenditori facciano la loro parte. In particolare sottolineo la necessità che le tariffe pubbliche siano sotto il massimo controllo e rispettino sempre i tetti che debbono valere per tutti. La politica della concertazione tra i lavoratori, imprenditori e governo rimane l'unica strada percorribile, anche se debbo riconoscere che sinora non ci ha fatto ottenere tutto quello che si poteva. Ma gli imprenditori si irrigidiscono quando, accanto al tetto di inflazione programmata, si parla di riduzione dell'orario di lavoro. Che ne dice? Su questa tema la nostra idea va di pari passo con quella delle altre confederazioni. Per noi insomma è necessario che sin dai prossimi rinnovi contrattuali si debba puntare alle 35 ore settimanali a parità di salario, utilizzando, per così dire, i margini ottenuti dagli aumenti di produttività. Ci stiamo avvicinando all'autunno, cosa pensa? Che bisogna andare avanti sulla strada della concertazione, che bisogna mantenere la stabilità di governo, un cambio assestato della lira e così il costo delle materie prime rimane sotto controllo. Vogliamo dire al Governo che deve essere risoluto con le imprese che decidessero aumenti di prezzi ingiustificati e che le tariffe pubbliche devono essere tenute ferme. Solo così, ripeto, possiamo contare su un aumento reale delle retribuzioni. Solo così possiamo finalmente darci da fare tutti, e col massimo impegno, per aumentare l'occupazione, specialmente al mezzogiorno. Questo non mi stancherò mai di ripeterlo, è il vero grandissimo problema del nostro Paese. Avremmo tante altre cose da chiederle, ma chiudiamo con un riferimento personale. Lei è indicato come nuovo segretario del Ppi, era anche indicato come ministro del Lavoro. Se fosse ministro del Lavoro cosa farebbe? Intanto il ministro è Tiziano Treu, che è pure vicentino, e che è persona molto brava e capace, in tutti i sensi. Lo hanno conosciuto tutti gli italiani in occasione della favorevole conclusione della trattativa sulle pensioni. Ci sono, a mio avviso, le condizioni favorevoli perché il ministro Treu possa fare un ottimo lavoro.
Quindi lasciamogli fare la sue parte, io farò
la mia, da sindacalista. Certo, come ministro non avrei dubbi:
priorità assoluta è la lotta alla disoccupazione,
senza un attimo di sosta; poi sicurezza sul lavoro e formazione.
E quanto alla politica preferisco ora fare da osservatore interessato.
Un domani si vedrà!
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