[cultura]
Corso di scrittura narrativa a puntate
€€di Giulio Mozzi (terza puntata)

Impariamo da Paul Auster (e dai suoi doppi)

Nella precedente puntata (Nautilus, settembre 1996) di questo corso di scrittura narrativa abbiamo parlato del punto di vista (ci torneremo sopra) finendo con l'occuparci principalmente del narratore (narratore reale, personaggio-narratore, moltiplicazione dei personaggi narratori ecc.). Nel frattempo l'Einaudi ha mandato in libreria la nuova edizione, finalmente in volume unico, della Trilogia di New York di Paul Auster (pp. 314, L. 30.000). Prendiamo spunto dal primo dei tre romanzi, Città di vetro, per approfondire il discorso sul personaggio-narratore (e sui personaggi in generale).

COME INIZIA. All'inizio di Città di vetro ci viene presentato Quinn, il protagonista. Leggiamo: "Chi fosse, da dove venisse e cosa facesse non ha molta importanza. Sappiamo, per esempio, che aveva trentacinque anni. Sappiamo che un tempo era stato sposato, che era stato padre, e che ora la moglie e il figlio erano morti. Sappiamo anche che scriveva dei libri. Per essere esatti, scriveva romanzi gialli. Questi romanzi li firmava con il nome di William Wilson e li produceva al ritmo di circa uno all'anno; il che gli garantiva abbastanza denaro per vivere modestamente in un piccolo appartamento di New York. (...) In passato Quinn era stato più ambizioso. Nella prima giovinezza aveva pubblicato alcuni libri di poesie e scritto drammi e saggi critici, nonché lavorato a una quantità di ponderose traduzioni. Poi, di colpo, aveva piantato tutto. Una parte di lui era morta, spiegava agli amici, e non voleva che tornasse a tormentarlo. Era stato allora che aveva scelto il nome di William Wilson. Quinn non era più la parte di sé capace di scrivere libri, e anche se sotto molti aspetti continuava a esistere, Quinn esisteva solo per se stesso. Aveva continuato a scrivere perché sentiva che non avrebbe potuto fare altro. I romanzi gialli gli erano parsi una soluzione ragionevole. Non faceva troppa fatica a inventare i complicati intrecci richiesti dal genere, e poi scriveva bene, spesso suo malgrado: sembrava non costargli alcuno sforzo. Non considerandosi l'autore di quello che scriveva non se ne sentiva responsabile, e perciò non doveva difenderlo di fronte a se stesso. Dopo tutto William Wilson era un'invenzione e pur essendo nato da Quinn ora aveva una vita indipendente. Quinn lo trattava con deferenza, a volte con ammirazione, ma non arrivò mai a credere che lui e William Wilson fossero lo stesso uomo. Per tale ragione non gettò mai la maschera dello pseudonimo. (...) Nessun libro di William Wilson conteneva mai foto o note biografiche sull'autore." (pp. 5-7). "Erano due settimane che poltriva, da quando aveva finito l'ultimo romanzo di William Wilson. Il narratore, il poliziotto privato Max Work, aveva risolto un'elaborata sequela di delitti, scampando a un subisso di pestaggi e fughe per il rotto della cuffia, e in un certo senso Quinn si sentiva stremato dalle sue imprese. Con gli anni, Work era diventato assai intimo di Quinn. Mentre William Wilson era rimasto una figura astratta, Work aveva preso lentamente vita. Nella triade di io che Quinn era diventato, Wilson fungeva da ventriloquo, Quinn stesso era il pupazzo, e Work la voce animata che garantiva uno scopo all'impresa. Pur essendo un'illusione, Wilson giustificava l'esistenza degli altri due. Sebbene immaginario, Wilson era ilponte che consentiva a Quinn il transito da se stesso in Work. E a poco a poco, Work era diventato una presenza nella vita di Quinn, il suo fratello interiore, il compagno di solitudine" (p. 8).

COME SE NON BASTASSE. La costruzione non finisce qui. Nella pagina successiva Quinn riceve una telefonata da uno sconosciuto che cerca Paul Auster (che è l'autore in carne ed ossa del libro che stiamo leggendo); successivamente Quinn decide di fingersi Paul Auster; e a pagina 97 incontrerà effettivamente Paul Auster: "Ad aprirgli la porta dell'appartamento venne un uomo. Era un tipo alto e bruno sui trentacinque anni, coi vestiti trasandati e una barba di due giorni. Nella mano destra, tra il pollice e le prime due dita, stringeva una stilografica senza cappuccio ancora alzata come se stesse scrivendo. (..) Quinn parlò con tutta la cortesia di cui era capace: - Forse stava aspettando qualcun altro?". Notiamo che il cosiddetto vero Paul Auster, ossia quello che abbiamo visto in fotografia nei giornali, è effettivamente alto, bruno, e nel 1985, anno di pubblicazione della Trilogia, aveva circa 35 anni. Il risvolto di copertina della Trilogia non manca di informarci che Paul Auster tra il 1975 e il 1985 "si è mantenuto traducendo classici francesi e scrivendo romanzi gialli sotto pseudonimo". Per dare un'idea di come poi vanno le cose, accenniamo solo che nel secondo romanzo della Trilogia, Fantasmi, il protagonista (che si chiama Blue) bussa alla porta del signor Black (altri personaggi si chiamano White, Brown...): "C'è Black, in piedi sulla soglia con una penna stilografica senza cappuccio nella destra, come se fosse stato interrotto durante il lavoro, eppure i suoi occhi dicono a Blue che lo stava aspettando..." (p. 187).

Qualcosa di simile (l'incontro tra i personaggi e il loro autore), avviene nell'ultimo romanzo di Marco Lodoli, Il vento. Vedi la recensione in Nautilus, settembre 1996.

CHE COSA POSSIAMO PENSARNE? E' difficile dire che cosa effettivamente faccia Paul Auster (quello in carne ed ossa) presentando in questo modo il personaggio Quinn e la relazione tra Quinn e Paul Auster (quello in carne ed ossa). Qui succedono almeno due cose, e allora proviamo a considerarle separatamente. La prima cosa è che Auster ci presenta il suo personaggio; la seconda cosa è che Auster ci racconta qualcosa sul rapporto tra uno scrittore, la sua identità pubblica e i suoi personaggi.

I PEZZI DEL PERSONAGGIO. I manuali di scrittura cosiddetta creativa di solito insistono sul fatto che i personaggi non devono essere "piatti"; con il che si intende, di solito, che i personaggi devono avere un'ambivalenza (o un'ambiguità, o una contraddizione, o un conflitto ecc.). Questo serve a far sì che il personaggio, messo difronte a una situazione, possa agire in un modo o in un altro. Già secoli fa si riteneva che il contenuto di una tragedia dovesse essere il conflitto tra due diversi doveri: in Antigone la protagonista deve scegliere tra il dare rituale sepoltura al corpo del fratello (dovere verso il fratello e verso gli dèi) e l'obbedienza al re Creonte che tale sepoltura ha esplicitamente vietato in quanto il ragazzo è andato contro le leggi della città (dovere verso il re e la città). Nella commedia, invece, il conflitto era di solito tra un dovere e una passione: pensiamo ad Arlecchino (l'Arlecchino della commedia dell'arte), sempre combattuto tra il dovere di obbedire al padrone e la passione del cibo che lo distrae continuamente; o a tutte le commedie di amori contrastati, dove di solito una legge familiare o sociale pone ostacoli alla passione (per dirne una, i Promessi sposi: dove Don Rodrigo ha dalla sua la legge di fatto, essendo la legge di diritto [come esemplificato nelle pagine sulla vanità delle gride contro i bravi] una burletta).

Ora, Auster mette in scena un personaggio esplicitamente diviso in tre. Egli è William Wilson, ossia un nessuno, una persona felice di non esistere. Egli è Quinn, una persona per la quale l'esistenza è penosa (a causa del lutto). Egli è Max Work, una persona che affronta l'esistenza spavaldamente. Difronte all'imprevisto, il personaggio può agire secondo una delle sue tre nature. In ogni occasione può scegliere con piena libertà: il suo destino appartiene a lui. Ma chi (è inevitabile farsi la domanda), ma chi è che sceglie, quando il personaggio deve scegliere se essere Wilson, Quinn o Work? La risposta è naturalmente impossibile (se si resta dentro la storia; se ne usciamo, la risposta è: il signor Paul Auster [quello in carne ed ossa] è colui che sceglie), in quanto il personaggio è privo di un centro, di un io dominante; ed è questa impossibilità che rende il personaggio veramente imprevedibile e veramente interessante. Si può dire che il personaggio non sceglie, ma oscilla tra diverse possibilità; il rapporto tra Wilson, Quinn e Work non è sempre paritario e non è costante: a volte prevale Wilson, a volte Quinn, a volte Work. Gli avvenimenti, per così dire, decidono: il personaggio, a seconda degli avvenimenti nei quali si imbatte, assume l'identità più plausibile rispetto a quegli avvenimenti. E' Wilson in una situazione "tipo Wilson", è Quinn in una situazione "tipo Quinn", è Work in una situazione "tipo Work". E tutti e tre chi sono? Non sono Auster. Infatti Auster è un altro.

ESSERE DIO, O QUASI. Questo personaggio è una trinità. Immaginiamo il ventriloquo con il suo pupazzo. Il pupazzo è piccolo, piccolo come un bambino, spesso nello sketch è il figlio del ventriloquo (vi ricordate Raffaele Pisu con Provolino?). Quindi, secondo il paragone usato da Auster, la trinità del suo personaggio è così composta: Wilson-padre, Quinn-figlio e Work-spiritosanto ("voce animata", alla lettera). E Paul Auster? Paul Auster (quello interno al libro, che il personaggio-trinità incontra a p. 97) è sicuramente il diavolo: infatti è scuro di pelle, e nell'altro romanzo si chiama Black.

LA PROVA ONTOLOGICA. "Ovviamente, [Quinn] da tempo non pensava più a se stesso come a qualcosa di reale. Se ora viveva nel mondo, era solo per procura, tramite la persona di Max Work. Il suo investigatore doveva necessariamente essere reale. Lo richiedeva la natura dei libri. Se Quinn si era concesso di svanire, ritirandosi entro i confini di una vita strana ed ermetica, Work continuava a vivere nel mondo degli altri, e più Quinn sembrava dileguarsi, più persistente diventava la presenza nel mondo di Work" (p. 11). Qui si arriva al confine del paradosso: Work è "reale" perché "lo richiede la natura dei libri"; ossia Work è reale perché non può essere immaginato (pensato) che come reale: questa è, pari pari, la prova ontologica dell'esistenza di dio: dio è perché non può essere pensato che come essente.

LUI È MEGLIO DI ME. Nel corso del romanzo Quinn fa una serie di cose che si possono definire come "tentativi di identificarsi con Work". Infatti accetta (dall'uomo che cercava Paul Auster, e fingendo di essere Paul Auster) un incarico da poliziotto privato. Il suo modello è ovviamente Max Work ("Poi pensò a quello che avrebbe pensato Max Work se fosse stato lì" [p. 17]). Al contrario, almeno una volta sceglie di non essere Wilson. Questo è l'episodio: Quinn sta seduto nella sala d'aspetto della Grand Central Station e vede che la ragazza seduta accanto sta leggendo un libro. "Contro ogni sua aspettativa, era un libro che aveva scritto lui stesso: Pressione suicida di William Wilson, il primo dei romanzi di Max Work. Quinn aveva immaginato spesso quella situazione (...) Ma adesso che la scena si svolgeva, si sentì deluso, quasi stizzito. La ragazza seduta accanto a lui non gli piaceva..." (p. 57). Segue una breve conversazione e poi: "Stava per rivelarle chi era, ma capì che non sarebbe cambiato nulla. La ragazza era irrecuperabile. Erano cinque anni che teneva segreta l'identità di William Wilson, e non l'avrebbe rivelata ora, tanto meno a una mentecatta sconosciuta. Tuttavia era spiacevole, e lottò disperatamente per soffocare il suo orgoglio. Invece di sferrare un pugno in faccia alla ragazza, si alzò di scatto e si allontanò" (p. 58).

Quindi abbiamo un personaggio pupazzo-figlio (Quinn), per lungo tempo celatosi nel personaggio ventriloquo-padre (Wilson), che tenta di trasformarsi nel personaggio voce animata-spirito santo (Work); e la storia racconta il tentativo del figlio di trasformarsi in spirito santo.

E PAUL AUSTER? Questa è la struttura del personaggio; e il fatto che il personaggio esplicitamente finga di essere Paul Auster, e che poi addirittura incontri il vero Paul Auster, serve innanzitutto a impedire qualunque identificazione del Paul Auster in carne ed ossa (quello che abbiamo visto fotografato nei giornali) con il personaggio. Anzi, nella pagina finale il narratore (anonimo) della storia (cioè quello che all'inizio dice: "sappiamo questo... sappiamo quest'altro...") compare improvvisamente come personaggio egli stesso. "Tornai a casa dal mio viaggio in Africa in febbraio... Quella sera chiamai il mio amico Auster, che insistette perché andassi da lui al più presto." (p. 137). A questo punto, Città di vetro ci appare come un gigantesco tentativo, da parte del Paul Auster in carne ed ossa, di raccontare qualcosa che gli è molto interiore prendendone le massime distanze possibili, frapponendo tra sé-reale e sé-narratore, nonché tra sé-reale e sé-personaggi (perché da dove vengono i personaggi, se non da Paul Auster in carne ed ossa? I personaggi sono sempre dei rispecchiamenti) una quantità di figure che, rispecchiandosi l'una nell'altra, si assumono ciascuna una responsabilità solo parziale.

ROMANZO DI UN ROMANZO. Città di vetro è anche un romanzo nel quale la componente di puro gioco è evidente. Auster si diverte a cavar fuori dal personaggio e dal narratore ben cinque personaggi: Quinn, Wilson, Work, Paul Auster, il narratore che torna dall'Africa. Il gioco è molto vistoso (e in qualche parte molto ben realizzato), tuttavia non presenta niente di nuovo. Lo stesso Auster (quello in carne ed ossa) si diverte a presentare (in un dialogo tra Quinn-Wilson-Work e Auster-personaggio, pp.102-105) un'interpretazione "austerizzante" del Don Chisciotte basata sulla domanda: chi è il vero autore del romanzo? (e la risposta di Auster-personaggio è naturalmente: l'autore è lo stesso Don Chisciotte, e Miguel de Cervantes è un'invenzione fantastica, oppure un poveraccio al quale Don Chisciotte ha giocato un brutto tiro...). Comunque basta pensare al rapporto che c'è, nei Promessi sposi, tra il narratore-Alessandro Manzoni e l'anonimo scrittore del Seicento dal quale Alessandro Manzoni finge di aver ricavato la storia (addirittura Manzoni si presenta come un semplice trascrittore in italiano moderno).

TANTI PERSONAGGI, TANTI NARRATORI. La moltiplicazione dei narratori è pratica comune, diremmo quasi istintiva: ogni qual volta si scrive una storia nella quale si assume il punto di vista di un personaggio, si scrive una storia che è sostanzialmente un discorso libero indiretto di quel personaggio; quindi durante tutta la storia parlano due voci, sia quella del narratore-narratore, sia quella del personaggio che porta il punto di vista. Se si moltiplica il personaggio del quale si assume il punto di vista, avremo una moltiplicazione dei narratori. Il compito del narratore è, prima di tutto, quello di essere un sistema percettivo e di comportarsi in modo che il lettore, sin dalla prima pagina, accetti questo sistema percettivo e se ne rivesta completamente, come di una protesi. Se il personaggio del quale si assume il punto di vista si moltiplica, e quindi si moltiplicano (più occultamente) i narratori, di conseguenza si moltiplicano anche i sistemi percettivi, le protesi che il lettore indossa. Noi leggiamo Città di vetro e indossiamo a volte la protesi-Quinn, a volte la protesi-Wilson, a volte la protesi-Work. Quanto a colui al quale noi pensiamo come all'autore della storia (cioè al proprietario effettivo del sistema percettivo, della protesi che indossiamo) esso ci viene presentato come distante, in qualche pagina anche come abbastanza antipatico. In questo modo il nostro sprofondamento nel personaggio multiplo, e quindi nel narratore multiplo, è più profondo. Il fatto che noi sappiamo che Paul Auster (quello in carne ed ossa) è effettivamente l'autore del libro, e il fatto che inevitabilmente, quando Quinn suona il campanello di Paul Auster (personaggio) ed esso compare con in mano "una stilografica senza cappuccio ancora alzata come se stesse scrivendo", noi non possiamo non pensare che Paul Auster (personaggio) stesse appunto scrivendo la storia di Quinn; nonostante questi fatti noi cadiamo nella trappola e percepiamo Quinn (e Wilson e Work) come molto più reali dei due Paul Auster (personaggio e in carne ed ossa): perché il romanzo lo richiede necessariamente.

Un esercizio con i personaggi multipli

UN PERSONAGGIO E' PIU' PERSONAGGI. A questo punto, cominciamo a proporre un esercizio. Si tratta di costruire un personaggio che sia composto di più personaggi. Non è una cosa particolarmente difficile. Ora proponiamo un testo a partire dal quale i nostri gentili lettori potranno provare a imbastire un racconto. Ecco l'esercizio:

Benché Lucente sia morta da più di cinque anni, ancora oggi Mario subisce una specie di doppia vista. A volte guarda una ragazza e vede, sovrapposta all'immagine reale di questa ragazza, l'immagine di Lucente. E' una cosa spaventosa. Ci sono ragazze che hanno una qualche somiglianza con Lucente: magari solo la forma degli occhi, il movimento dei capelli, il passo, un gesto abituale, un tono della voce, gli zigomi. Mario ha voluto bene ad altre donne ma non le ha mai amate come aveva amata Lucente.

Lucente oggi è una mancanza e nient'altro. Mario desidera tutte le ragazze che assomigliano a Lucente. Le ragazze che assomigliano a Lucente sono tante e Mario le desidera tutte. L'intensità del suo desiderio è tale che nessuna di queste ragazze può fare a meno di accorgersene. Alcune si turbano. Alcune ci scherzano. Altre, inevitabilmente, rispondono al desiderio di Mario.

E' possibile innamorarsi di Mario. Non è un uomo che abbia grandi qualità ma a volte ha uno sguardo che sembra entrare dentro gli occhi della persona guardata. La verità è che quelle volte e con quello sguardo Mario guarda al di là della persona che sta guardando, guarda l'immagine di Lucente che quella persona fa esistere.

Mario vuole veramente bene alle ragazze che fanno esistere l'immagine di Lucente. Quell'immagine è la sua più grande felicità e Mario non può che volere bene alle ragazze che gliela donano. Però Mario non può mai spiegare a queste ragazze qual è la vera fonte della felicità che esse gli donano. Se lo facesse, è certo che queste ragazze lo odierebbero.

Che cosa si può fare di questa situazione? Qui abbiamo un personaggio (Mario) che è in grado di modificare l'identità di altri personaggi (le ragazze). Mentre Mario è in relazione con la ragazza X, egli è parzialmente (o: in certi momenti) in relazione con la ragazza X in quanto ragazza X, e parzialmente (o: in altri momenti) in relazione con la ragazza X in quanto immagine di Lucente; e questa immagine può essere più o meno forte, in quanto la ragazza X può essere più simile a Lucente (proporre con più forza, o con più frequenza, l'immagine di Lucente) e la ragazza Y, la ragazza Z e la ragazza Q essere meno simili, o esserlo in un modo diverso. In somma, possiamo raccontare la storia di Mario come storia di un personaggio che è in relazione con Lucente attraverso altre ragazze, ciascuna delle quali è Lucente solo in parte. Possiamo ipotizzare che alcune di queste ragazze accettino l'attribuzione d'identità che Mario proietta, mentre altre no. Se la ragazza X accetta di esistere per Mario come immagine di Lucente, sarà Lucente in presenza (reale, o pensata, o ricordata, o desiderata...) di Mario, e ragazza X in assenza.

Nel contempo, possiamo ipotizzare che Mario non sia sempre e costantemente preda dei suoi sogni. Può essere a volte Mario-realista, e allora verso le ragazze con le quali è in relazione avrà un modo di relazione, e può essere a volte Mario-luttuoso, e allora il modo di relazione cambierà. Possiamo costruire la storia come storia nella quale i diversi personaggi a volte azzeccano, a volte sbagliano il modo di relazione. Ad esempio:

Mario-realista incontra ragazza X "normale" e la accetta

Mario-luttuoso incontra ragazza X "immagine" e la accetta

Mario-realista incontra ragazza X "immagine" e la respinge

Mario-luttuoso incontra ragazza X "normale" e la respinge

Lo schema può diventare più complicato se, come si suggeriva prima, non c'è solo ragazza X ma anche Y, Z, Q. Ulteriormente si può arricchire la storia se si mantiene un certo dubbio attorno al narratore. Se il narratore fosse lo stesso Mario? Si può ipotizzare che Mario-oggi racconti, al passato remoto e in terza persona, la storia di Mario-realista e Mario-luttuoso. Qual è l'esatta misura del distacco di Mario-oggi dagli altri due Mario? e con quale donna sta ora Mario-oggi, e in quale modo sta in relazione a lei?

QUANTE COMPLICAZIONI! La faccenda può diventare piuttosto complessa. Ma è proprio necessaria questa complessità? Tutto sommato si può rispondere: sì, è necessaria. In realtà, nello scrivere una storia di questo genere (se ci provate, potete mandarla all'E-mail) ci si limita a rendere molto esplicito ciò che di solito c'è in qualunque storia, ma occultato. Tornando ai Promessi sposi: Renzo Tramaglino è un personaggio multiplo (a: buonuomo ingenuo, b: violento, c: saggio), don Abbondio fa della doppiezza una scelta di vita, Innominato e frà Cristoforo hanno storie di conversione, e così via. L'importante è che ogni "versione"del personaggio sia raccontata con realismo. Se la presentazione del personaggio di Città di vetro fa così impressione, è perché Auster non usa, nel parlare di Wilson o Work, un atteggiamento meno realista di quando parla di Quinn. Non dice: "a volte s'immaginava di essere Work". Dice: "Work gli era diventato molto intimo", esattamente come si direbbe di un amico in carne ed ossa.

COM'È FATTO UN PERSONAGGIO. In realtà è tutto molto semplice. Quando si costruisce un personaggio (prima lo si inventa, e su questo non c'è controllo; poi lo si costruisce) si fanno tutta una serie di cose. Si dota il personaggio di un aspetto, di un guardaroba, di un certo modo di muoversi e parlare; gli si dà un presente e un passato; un lavoro, un partner, dei genitori, dei figli; si decide in quali ambienti sta, in quale bar va a prendere l'aperitivo, da quale parrucchiere va a farsi la permanente; gli si attribuiscono gusti, opinioni, manie, tic, forme di ragionamento, reazioni emotive tipiche; eccetera eccetera. Tutto questo dev'essere in qualche modo coerente, ma ci sono molti modi di essere coerenti. Un personaggio che faccia sbornie saltuarie può essere un moralista antialcol; uno stupido può essere astuto; uno straricco può essere persona molto semplice; un buono può essere un cattivo inconsapevole; e così via. Costruire un personaggio è un po' come arredare una casa: bisogna pensare proprio a tutto anche se poi, quando facciamo vedere la casa nuova agli ospiti, non è detto che gli facciamo guardare anche nei cassetti o dentro il secchio della spazzatura. Così è per il personaggio: una quantità di cose che il lettore non saprà mai, il narratore le sa. Noi non sappiamo quale fosse il colore degli occhi di Renzo Tramaglino; Manzoni però (probabilmente...) il suo Renzo se lo vedeva davanti, in movimento nelle diverse situazioni; e sapeva com'erano i suoi occhi. Così come (probabilmente...) sapeva com'era il corpo di Lucia Mondella, benché questo corpo nel romanzo non appaia mai.

IL NARRATORE SA TUTTO? Di solito il narratore non conosce così a fondo i suoi personaggi prima di mettersi a raccontare la loro storia. E' la storia che impone al narratore di scoprire come i suoi personaggi sono fatti. Di solito (pressoché tutti i narratori, quando parlano dei loro personaggi, si esprimono in questi termini) iniziare a scrivere un romanzo o un racconto non significa mettersi a raccontare una storia che già si sa e con personaggi che già si conoscono, bensì mettersi a raccontare una storia che si conosce appena, con personaggi un po' misteriosi, spinti dal desiderio di vedere che cosa succede e come sono questi benedetti personaggi. A volte addirittura l'eccesso di preparazione può essere inibente, perfezionisticamente soffocante. Spesso il narratore si chiede: "che cosa farà il mio personaggio difronte alla tal situazione?" E la risposta è: "proviamo a mettercelo, e vediamo." Una volta delineata la situazione, il personaggio metterà in atto il comportamento più plausibile; che non è affatto il più prevedibile. Ciò che può essere perfettamente plausibile (e anche prevedibile) per il narratore, può non essere affatto prevedibile, ed essere riconosciuto plausibile solo a posteriori, per il lettore. Il caso esemplare è quello del giallo alla Agatha Christie: il colpevole è uno dei personaggi che conosciamo; quasi tutti i personaggi hanno dei comportamenti un po' strani, un po' incongrui, poco plausibili. L'interpretazione di questi comportamenti porta l'investigatore a riconoscere il colpevole. Noi che leggiamo, quando arriviamo alla fine, siamo costretti a dire: ma sì, era ovvio...

IL PERSONAGGIO COME SISTEMA DI RELAZIONI. Il un personaggio non è quindi solo un oggetto da arredare; è anche un "sistema comportamentale" da interpretare. Ed è anche, e forse soprattutto, un sistema di relazioni. Quando un personaggio H deve agire, egli può agire in vari modi. H può agire:

- secondo il concetto che H stesso ha di sé;

- secondo il concetto di sé che H intende trasmettere agli altri;

- secondo il concetto di H che gli altri hanno.

Ad esempio, e tenendo conto che tutti gli schemini sono come minimo discutibili, si potrebbe dire che Quinn è "il concetto di H che gli altri hanno", è sostanzialmente l'identità sociale del personaggio (che il personaggio in questione ha deciso di rifiutare); Wilson è "il concetto che H ha di sé" (praticamente una persona morta); Work è "il concetto di sé che H intende trasmettere agli altri", ossia l'identità sociale che il personaggio, non volendo essere Quinn e non essendo Wilson capace di socialità, si trova quasi costretto ad assumere.

Tornando al nostro testo d'esercizio, possiamo domandarci:

- qual è il concetto che Mario ha di sé;

- qual è il concetto di sé che Mario intende trasmettere agli altri;

- qual è il concetto di Mario che gli altri hanno;

ossia, nei rapporti tra Mario e ragazza X:
concetto che Mario ha di sé
concetto di sé che Mario intende trasmettere a ragazza X
concetto di Mario che ragazza X ha
concetto che ragazza X ha di sé

situazione n. 1

situazione n. 2

situazione n. 3
concetto di sé che ragazza X intende trasmettere a Mario

situazione n. 4

situazione n. 5

situazione n. 6
concetto di ragazza X che Mario ha

situazione n. 7

situazione n. 8

situazione n. 9

Ora possiamo immaginare nove situazioni nelle quali Mario e ragazza X si incontrano. Tuttavia dobbiamo ricordare che Mario può essere Mario-realista o Mario-luttuoso, e che può percepire ragazza X come "normale" o come "immagine di Lucente". Si tratta di capire quale Mario e quale ragazza X richiede (in quanto più plausibile) ciascuna di queste nove situazioni. Ad esempio, nella situazione n. 9 Mario e ragazza X si attireranno o si respingeranno? Mario si riconoscerà nel concetto che ragazza X ha di Mario e ragazza X si riconoscerà nel concetto che Mario ha di ragazza X, oppure solo uno dei due si identificherà, oppure nessuno dei due? E si identificheranno volentieri o no? E queste identificazioni saranno autentiche o no?

PER FINIRE E PRIMA DI SALUTARCI. Ricordo che stiamo in attesa di elaborati, spedibili via E-mail. Provate a costruire qualcuna delle situazioni qui proposte, oppure a fare uno schema di storia che ne comprenda alcune. Dice il saggio: non è necessario produrre una cosa perfetta per produrre una cosa interessante.