Nel numero scorso di Nautilus avevamo presentato uno studio di Daniele Marini promosso dall'associazione industriali sull'immagine che giovani studenti e lavoratori hanno oggi del lavoro manuale. Una ricerca teorica, ma utile per capire il momento e soprattutto le prospettive future nel campo del lavoro.
Ora il passo successivo: una rilevazione dei
fabbisogni formativi dell'industria, sempre per conto
dell'Assindustria e curato da Nicola Schiavone della società
Spin. Con tanto di analisi delle figure necessarie, utili o emergenti
in fabbrica o negli uffici e di quelle in via di emarginazione
e destinate a sparire. Certo non una guida per chi deve scegliere
scuola, corso o settore su cui puntare per il proprio futuro lavorativo,
ma un'indicazione si.
Qui siamo nella pratica pura, perfino terra terra.
Ma che poi è quella che interessa direttamente chi cerca
o offre lavoro. Una nota: lo studio riguarda le imprese della
provincia vicentina. Ma ci sono almeno due elementi che lo rendono
interessante anche oltre i confini locali: 1) E' forse la prima
ricerca (per l'autore addirittura "la prima nel mondo")
che ha coinvolto tante aziende (401) sulla questione formazione
e basata sul medio periodo (i prossimi 5-6 anni); 2) lo studio
potrebbe dar vita ad una sorta di "laboratorio" utile
in prospettiva nazionale. E comunque alcune delle richieste e
tendenze dei settori presi in esame potrebbero adattarsi in linea
generale ad altre realtà produttive d'Italia.
Che indicazioni escono dalla ricerca? Ogni settore
ha le sue caratteristiche. Ma qualche dato in comune c'è.
A volte scontato, ma è sempre meglio vederlo scritto nero
su bianco che discuterne al bar. Come lo stato di agonia di figure
quali l'addetto segreteria ufficio, l'addetto contabilità,
il magazziniere, lo spedizioniere, il tecnico acquisti, l'addetto
di produzione, l'operaio generico e spesso l'impiantista-manutentore
elettrico. Sui gradini del podio invece tecnici del marketing, amministrazione e finanze, assistenza clienti, progettisti, molti operai specializzati (che non si trovano...), tecnici dei sistemi qualità e sicurezza e in generale chi sa usare bene il computer (sistemi cad-cam in testa) e la sua applicazione alle macchine operatrici.
Questo almeno sulla carta. Visto che di problemi
da risolvere ne restano anche troppi. Compresi fenomeni nuovi
(e imprevedibili) come la scarsa o nulla voglia dei giovani (vedi
ricerca del numero scorso) di fare l'operaio in fabbrica o il
trasferimento-fuga di molti imprenditori del Nord e del Sud in
Romania, Ucraina, Albania e Cina dove la manodopera costa meno
che in Italia.
A proposito di manodopera vale la pena sottolineare
che le retribuzioni base non sono per nulla adeguate alla richiesta.
Ad esempio nel settore meccanico un operaio specializzato magari
molto ricercato dal mercato, parte da uno stipendio netto di 1
milione e mezzo. A cui vanno aggiunte 13esima, quote aziendali
(da 1 a 3 mensilità), notturno e straordinari. Insomma
si arriva sui 2 milioni. Ci sono poi anche altre variabili, come
l'anzianità. Comunque oltre i 2 milioni al mese, dicono
alla Cgil, "si arriva solo con la contrattazione individuale,
e molte volte sono figure singole, rare". Conclusione: non
sempre l'adeguamento della retribuzione segue la legge della domanda
e dell'offerta.
Tornando alla ricerca, il vero muro da superare sarà
forse la immutabile, pachidermica e ansimante struttura della
scuola italiana, punto di partenza per la creazione dei tecnici
di domani. Soluzioni? Schiavon pensa ad una "formazione regionale".
Cioè ogni regione potrebbe gestire o coordinare i corsi
ad hoc per le sue necessità. Un'idea, però siamo
alle solite: ci sono zone fortunate e zone meno fortunate. Nel
Veneto, da questo punto di vista, le cose girano bene, come in
Emilia. Ma già Piemonte e Lombardia sul campo formazione
sono in maggiore difficoltà. E al Sud? Insomma il rischio
è che oltre che nei sogni di Bossi, la Padania nasca anche
sui banchi di scuola.
|