[ARTE]

TAMARA DE LEMPICKA :
NUDO DECO' DI STRAORDINARIA FORTUNA
"Donne nell'Arte" (4)


Arrampicandoci lungo i secoli per giungere a tempi più recenti ci si rende conto che, com'è prevedibile, il mondo dell'arte rende sempre maggior giustizia alle protagoniste femminili.

Al punto che, a volte, si trova persino ad essere invertita la tradizionale condizione secondo la quale un'artista, benchè di grandissime qualità, non viene adeguatamente accolta dalla critica e persino dagli stessi suoi committenti.

E' il caso di una fascinosissima profuga polacca, approdata a Parigi nel 1918 per fuggire la rivoluzione russa e determinata a raggiungere il successo a qualsiasi costo: Tamara de Lempicka. La sua pittura costituisce un mezzo per ottenere quell'attenzione e quella ricchezza che l'ambizione e l'egocentrismo la spingevano a ricercare.

Spesso, dunque, l'arte non rappresentò per lei una ricerca con un obiettivo finale, sebbene la determinazione e il senso di abnegazione con i quali cercò di ottenere il "mestiere" di artista costituissero sufficiente giustificazione morale alla sua straordinaria affermazione. Il suo stesso modo di vivere divenne una sorta di mito d'arte: errante, ambizioso, irrequieto, celebrato dalla "lost generation" degli Anni Venti e Trenta.

Esule dalla Polonia, come si è detto, dove nacque nel 1898 e dalla quale fuggì, prima per San Pietroburgo e poi per Parigi, cominciò a studiare pittura serissimamente; per averne i primi rudimenti all'Académie de la Grande Chaumière e, successivamente, negli studi di pittori già affermati quali Maurice Denis e André Lhote. Riuscì ad esporre al Salon des Indépendants e al Salon d'Automne, opere come "La colombe", del 1928, o "Le due amiche"del 1923, dipinti di un plasticismo strano, gelido e raffinato che sembrano, tanto sono determinati e astratti, frutto di una elaborazione elettronica in tempi certamente non sospetti.

Eppure la vita dell'artista, sregolata e piena delle più svariate esperienze, al centro dell'attenzione di una mondanità teatrante, è tutt'altro che calibrata; perennemente protesa, oltre che all'arte, verso un mondo costituito di gente ricca, di nobili facoltosi ed eleganti che pagano cifre iperboliche per avere un ritratto dipinto da lei.

Scelte oculate ed ambiziose, la conducono anche in Italia, in un lungo viaggio costellato di successi. Il jet-set italiano dell'epoca se la contende e persino Gabriele d'Annunzio la invita ad un soggiorno al suo rifugio del Vittoriale per avere un proprio ritratto fatto da lei. Ma non solo per quello, tanto che l'artista preferisce, stavolta, al vanto di aver effigiato il poeta più famoso d'Europa, una fuga.

Ora anche l'America la chiama, nel 1929, con la voce del miliardario Rufus Bush che la vuole oltre oceano per ritrarre sua moglie. Anche stavolta le porte del mondo dei potenti si schiudono per l'affascinante polacca, fino al sopraggiungere della crisi di Wall Street che suggerisce un prudente ritorno a Parigi.

Qui, in mezzo alla frenetica attività che la vede ancora una volta protagonista di mostre di grande successo, rincontra il ricchissimo barone Raoul Kuffner per il quale aveva dipinto, poco tempo prima, il ritratto della sua amante "Nana de Herrera".

L'offerta di matrimonio è irrinunciabile perché coniuga quella sete di denaro e di rango sociale per i quali Tamara nutre vero e profondo desiderio e che saranno in grado di condurla ancora più in alto, nell'empireo dove la sua arte potrà trovare assoluta realizzazione.

Cosa che, difatti, avviene quando la coppia, alle prime avvisaglie della Guerra, nel 1939, si trasferisce in America. Le mostre a New York e a Hollywood mettono l'artista nuovamente al centro di un turbinìo fatto di successo, stravaganze e sregolatezze che aggiungono colore alla già consacrata fama, anche se la sua pittura perde, a tratti, quella forza e quella prepotente carica sensuale dei primi anni Venti.

I suoi tentativi di adeguarsi alla nuova tendenza della pittura astratta degli anni Sessanta non vengono recepiti nè accolti e la pittrice si ritrova, talora, ad eseguire varianti di opere che avevano entusuiasmato entourages d'altri tempi, come "La bella Raphaëla". Inizia una fase di irrequietezza che la fa trasferire dall'Est all'Ovest degli Stati Uniti e che si esaspera nel 1962, con la morte del marito e la vendita della favolosa abitazione nella Cinquantasettesima Strada.

Fa seguito una specie di esilio a Huston, presso la figlia Kizette avuta nel 1918, agli inizi della sfavillante carriera, e poi vissuta sempre all'ombra della personalità travolgente della madre.

Infine la clausura del Messico, a Cuernavaca, lontana nel tempo e nello spazio dall'epoca d'oro dei suoi successi, dove muore nel 1980.

Giovanna Grossato