Corso di scrittura narrativa a puntate (5)
Le precedenti puntate del corso di
scrittura narrativa hanno trattato i seguenti argomenti: L'incipit
(NAUTILUS, agosto 1996); la voce narrativa (NAUTILUS, settembre
1996); la molteplicità del personaggio (NAUTILUS, ottobre
1996); la redazione dei giochi di ruolo (NAUTILUS, novembre 1996).
Per leggere basta cercare nei numeri arretrati. In questa puntata
proponiamo, a scopo di divertimento e riflessione, le qui seguenti
"Istruzioni per scrivere un racconto cannibale". Inoltre
sbrigheremo un po' di corrispondenza. Nella prossima puntata (gennaio
1997) offriremo un'ampia bibliografia commentata di manuali, testi
ed altre opere dedicate alla scrittura narrativa (ci è
stato richiesto da parecchi). Nella puntata successiva ancora
riprenderemo il corso di scrittura vero e proprio.
1. ISTRUZIONI PER SCRIVERE UN RACCONTO
CANNIBALE
RAGIONI. Il
cannibalismo letterario è diventato moda e già aspira
alla consacrazione come fenomeno di massa. Tuttavia il cannibalismo
letterario si configura come una pratica severa, disciplinata
e a suo modo ascetica. Il cannibalismo letterario non s'improvvisa.
Un racconto cannibale non è un racconto eseguito secondo
determinate regole o utilizzando determinati trucchi narrativi
o scenari o personaggi stereotipi e così via; un racconto
cannibale nasce da una scelta etica profonda. Il cannibalismo
letterario possiede una dose intrinseca di serietà molto
maggiore di quella che attribuiscono a loro stessi i suoi più
feroci avversari. Il cannibalismo letterario non può essere
combattuto con le armi del disprezzo, dello sbeffeggiamento e
della facile ironia. Il cannibalismo letterario non reagisce agli
attacchi goffi; li ignora.
PRIMA O TERZA. Ci
sono due tipi di racconto cannibale: quello in prima persona e
quello in terza. Benché siano molto simili, bisogna marcare
da subito le differenze. Il racconto cannibale in prima persona
(rcpp) possiede un narratore caratterizzato da innocenza e candore.
Il racconto cannibale in terza persona (rctp) possiede un narratore
oggettivo e assente. Nel rcpp il protagonista-narratore trasforma
il bene in male e il male in bene; nel rctp c'è indifferenza
al bene e al male. Nel rcpp trovano spazio vaghi (o meno vaghi)
contenuti religiosi e/o profetici; nel rctp il materialismo è
assoluto. Nel rcpp si racconta la permutabilità dei sentimenti
estremi (amore, odio) e delle passioni estreme (desiderio, ira);
nel rctp non compaiono sentimenti e passioni ma esclusivamente
puri atti.
CONTENUTI. Il
racconto cannibale di base (rcb) contiene di regola la distruzione
di (almeno) una persona. Non esiste una sostanziale differenza
tra i racconti cannibali di strage (rcs) e i racconti cannibali
di assassinio singolo (rcas). Il numero di vittime del rcb è
casuale e dipende, in genere, dal numero dei presenti nel luogo
(stanza, abitazione, quartiere ecc.) nel quale avviene la distruzione.
Le varianti principali sono due: il racconto cannibale con distruzione
dell'antagonista (rcda, il più comune) e il racconto cannibale
con distruzione del protagonista (rcdp, meno comune) nelle due
varianti ulteriori: racconto cannibale con autodistruzione del
protagonista (rcap) e racconto cannibale con distruzione del protagonista
da parte dell'antagonista (rcdppa). Quest'ultima variante ha due
ulteriori varianti: racconto cannibale con distruzione da parte
dell'antagonista del protagonista non consenziente (rcdpapnc)
e racconto cannibale con distruzione da parte dell'antagonista
del protagonista consenziente (rcdpapc): quest'ultima variante
rappresenta senz'altro il vertice morale del racconto cannibale
ed è particolarmente interessante quando essa sia eseguita
nella forma della prima persona (rcdpapcpp). Ma andiamo per gradi.
ANTROPOFAGIA. L'antropofagia,
benché a rigore non indispensabile, è tanto bene
accetta all'interno del racconto cannibale da fornirgli il nome.
Nel rcpp essa si configura solitamente come atto d'amore estremo,
mentre nel rctp essa si configura generalmente come semplice atto
di nutrizione o di prudenza (far sparire il cadavere), e solo
in rari casi come atto d'odio. L'atto antropofago possiede due
varianti e un ribaltamento, ossia: cibarsi del cadavere (prima
variante), cibarsi del vivente (seconda variante), e cibarsi di
sé (ribaltamento). La prima variante è più
tipica del rctp e può richiedere l'escogitazione di stratagemmi
per l'occultamento, la conservazione, l'eventuale cottura e così
via. La seconda variante è più tipica del rcpp e
richiede l'escogitazione di stratagemmi (macchine da sala operatoria,
iniezione di particolari sostanze ecc.) per mantenere in vita
il cibo nel corso della nutrizione; essa possiede due varianti
ossia: il cibo prevalentemente soffre di essere mangiato (prima
variante), il cibo prevalentemente gode di essere mangiato (seconda
variante). E' da notare che in questo caso i confini tra sofferenza
e godimento non sono precisabili con nettezza. La categoria del
cibarsi di sé (o autoantropofagia) è quasi esclusiva
del rcpp e si configura come atto estremo di amore verso di sé.
Sono una semplice variante dell'autoantropofagia i racconti cannibali
nei quali il protagonista o l'antagonista chiede di essere mangiato
(pseudoautoantropofagia); in questa variante, tuttavia, difficilmente
il personaggio ottiene il suo scopo.
SESSO. Va
da sé che lo scopo principale dei racconti cannibali è
di provocare eccitazione sessuale inducendo nel lettore fantasie
di identificazione nel personaggio. Sarebbe tuttavia un errore
ritenere che il lettore tenda a identificarsi nel personaggio
che agisce la violenza; al contrario, il lettore si identifica
più volentieri nel personaggio che subisce la violenza.
Come tutti sanno, infatti, essere mangiati ad es. dalla persona
amata è preferibile a mangiare la persona amata: il desiderio
di mangiare la persona amata, infatti, è tipico della fase
neonatale (il neonato succhia e morde la madre); il desiderio
di essere mangiati rappresenta quindi, rispetto al desiderio di
mangiare, una fase considerevolmente più adulta. L'eccitazione
sessuale provocata dai racconti cannibali deriva principalmente
dal fatto che in essi i personaggi vengono trattati come pura
carne. Pertanto la pelle, anziché essere ciò
che appare del corpo, si trasforma in un semplice contenitore
o sacco. Il contenuto sessuale del racconto cannibale è
pertanto la liberazione dal pudore delle interiora, che segue
storicamente la liberazione dal pudore dell'interiorità
attuata dalla cosiddetta "tv del dolore". L'esibizione
delle interiora e l'offerta delle proprie interiora alla persona
amata sono il fondamento dell'etica del dono cannibale. Nell'etica
del dono cannibale non vi è alcun paragrafo dedicato all'attività
sessuale in senso stretto, in quanto l'attività sessuale
in senso stretto, ossia la compenetrazione dei corpi senza
rottura del sacco di pelle (se non a livello di fatto simbolico,
nello sverginamento), resta ormai alle spalle dell'etica del dono
cannibale. L'eccitazione sessuale in senso stretto (intenso desiderio
di penetrare e/o di essere penetrati) provocata dalla lettura
dei racconti cannibali è l'alba del risveglio del desiderio
di compenetrazione dei corpi con rottura del sacco di pelle. Pertanto
la descrizione di attività sessuali in senso stretto nei
racconti cannibali è facoltativa e sostanzialmente ininfluente,
quando l'attività sessuale in senso stretto non sia collocata
in un percorso di maturazione del personaggio dall'etica del dono
dell'interiorità all'etica del dono delle interiora (o
etica del dono cannibale).
RELIGIONE. Il
racconto cannibale in quanto portatore (anche inconsapevole) di
una nuova etica, ha naturalmente in sé un contenuto profetico
e genericamente religioso. La rappresentazione del mondo nel racconto
cannibale standard non rifugge da aspettative salvifiche e da
toni millenaristici. I personaggi del rcpp sono generalmente consapevoli,
anche se vagamente, di essere i portatori di un'etica radicalmente
nuova, mentre i personaggi del rctp sono generalmente attori inconsapevoli
il cui sacrificio è necessario perché possa apparire
nel mondo l'etica radicalmente nuova: in questo sono simili a
Caino, che uccide il fratello Abele affinché la persona
divina possa scoprire che l'omicidio merita condanna (cf. Jack
Miles: Dio, una biografia, Garzanti 1996, pp. 52-53). Pertanto
tutti i racconti cannibali possono essere letti come storie di
redenzione; la leggibilità o non leggibilità di
un racconto come storia di redenzione è una sorta di cartina
al tornasole per separare gli autentici racconti cannibali dai
pretesi racconti cannibali o dai racconti cannibali di serie B.
E' da notare come non vi sia nessuna connessione logica, nel contesto
dell'etica cannibale, tra l'idea di rendenzione e il concetto
di bontà.
AMBIENTAZIONE. I
racconti cannibali preferiscono le ambientazioni in luoghi caratterizzati
da ristrettezze, prossimità di confini difficili da valicare,
obbligazioni di percorso, impedimenti imprecisati. I racconti
cannibali ammettono ambientazioni in luoghi aperti purché:
a) notturne, b) in luoghi aperti deserti. Il racconto cannibale
è particolarmente selettivo nei confronti dei rumori: la
maggior parte dei racconti cannibali si svolge in ambienti o luoghi
perfettamente silenziosi o trattati narrativamente come se fossero
perfettamente silenziosi. Ordinariamente viene escluso del tutto
il rumore di fondo (traffico, chiacchiericcio, rumore di macchine
per ufficio ecc.), mentre può essere accolto il suono dell'apparecchio
televisivo (trattato tuttavia non come uno sfondo ma come
un attore della storia). Al contrario, nel racconto cannibale
è esaltata rispetto alla norma la percezione degli odori,
con preminenza assoluta degli odori prodotti dai corpi. E' abitudine
dei personaggi dei racconti cannibali proteggere i propri odori
(tenendo le finestre chiuse, non cambiando i vestiti ecc.) e in
particolare gli odori provenienti dall'interno del corpo (feci,
flatulenze, moccio, rejetés). In definitiva, l'ambientazione
ideale del rcpp è la tana, mentre l'ambientazione ideale
del rctp è l'appartamento di condominio.
LESSICO. Il
lessico dei rcpp è caratterizzato dal candore assoluto.
Il lessico dei rctp è caratterizzato dall'uso coatto di
forme gergali. E' ovvio che l'uso coatto di forme gergali mette
in scena anch'esso una forma, benché degradata, di innocenza
radicale (cf. Ranxerox). L'angelismo lessicale dei rctp ottiene
l'effetto d'orrore attraverso la disumanizzazione (per sottrazione
di qualità umane) della voce narrante; la fisicità
lessicale dei rctp ottiene l'effetto d'orrore attraverso la disumanizzazione
dei personaggi (per accumulazione incoerente di qualità
umane). Il rcpp postula l'eterna inconsapevolezza di Lucifero;
il rctp non nomina il divino se non in forme che ricordano più
che altro l'omino "più largo che lungo, tenero e untuoso
come una palla di burro" del cap. XXXI di Pinocchio.
La precisione è una caratteristica importante del lessico
del rcpp, che ottiene l'effetto d'orrore attraverso l'avvicinamento
dell'oggetto particolare all'occhio del lettore. La genericità
del lessico gergale del rctp ottiene invece l'effetto d'orrore
grazie al trattamento indifferenziato di qualunque oggetto, per
cui non vi è sostanziale differenza (dal punto di vista
etico, ma eventualmente anche culinario) tra una persona umana
e una merda secca.
SACRIFICI RITUALI.
La pulsione al sacrificio che domina sia il rcpp sia il rctp realizza
eventi rituali leggermente diversi. Nel rcpp il personaggio effettua
il sacrificio rituale a scopo di purificazione, consapevolmente
e senza riguardo per la propria sopravvivenza; nel rctp il personaggio
effettua il sacrificio rituale in assenza di qualunque scopo consapevole
(e spesso in assenza assoluta di scopo) e tuttavia con con un
certo (benché limitato rispetto allo standard umano) riguardo
per la propria sopravvivenza. Nel rcpp il sacrificio rituale dev'essere
perfetto; nel rctp c'è forse più attenzione alla
quantità che alla qualità. Nel rcpp sono essenziali
la forma del sacrificio, la sequenza di operazioni che lo producono,
il significato simbolico-redentore di ciascuna operazione. Nel
rctp l'essenziale è il gesto in sé e la sua ripetibilità.
Nel rcpp l'oggetto di sacrificio viene scelto accuratamente. Nel
rctp l'oggetto di sacrificio è per lo più casuale.
PARTI DEL CORPO. Nel
racconto cannibale il corpo non viene mai considerato come un
tutto (il sentimento della totalità del corpo è
qualcosa di simile al sentimento dell'anima, pertanto esula dal
concetto cannibale di genere umano) ma sempre come un certo numero
di parti. I trattamenti che vengono inflitti al corpo nel racconto
cannibale non trovano la loro ragione in una nostalgia della totalità
del corpo, bensì nella felicità della disarticolazione
del corpo. Il corpo disarticolato o addirittura disperso possiede
un tasso di responsabilità quasi nullo. Nel racconto cannibale
gli organi sessuali, in quanto memorie viventi della non più
esistente totalità del corpo (quando ciascun "tutto
il corpo" si riproduceva in altri "tutto il corpo"
attraverso l'unione sessuale con un altro "tutto il corpo"),
sono particolarmente presi di mira nell'intento di distruzione.
Nel rcpp viene spesso posta attenzione a singole parti del corpo
e l'intento di distruzione tende a realizzarsi gradualmente; nel
rctp l'intento di distruzione tende a realizzarsi in un'unica
iniziativa, tale però da provocare la disarticolazione
del corpo. Queste distinzioni sono elastiche e facoltative. Talvolta
la distruzione delle singole parti del corpo è preceduta
dalla assimilazione di ciascuna parte del corpo ad un organo sessuale.
A questo livello non è molto rilevante, se non da un punto
di vista strettamente esecutivo, la distinzione tra i sessi.
POLITICA CANNIBALE. Dall'etica
cannibale del dono delle interiora non è rigidamente deducibile
una posizione politica precisa. La posizione è senz'altro
rivoluzionaria, ma la stessa radicalità innovativa dell'etica
cannibale del dono rende sostanzialmente futile la distinzione
tra destra, centro e sinistra. I portatori dell'etica cannibale
del dono delle interiora tendono a reagire con l'accettazione
a qualunque tentativo di appropriazione politica: essi infatti
guardano con indifferenza a queste cose. Tuttavia la stipulazione
di patti è incompatibile con i principi fondamentali dell'etica
cannibale. Il principio fondamentale dell'etica cannibale è
l'approvazione di qualunque azione che porti qualunque soggetto
umano tradizionale a diventare un po' meno tradizionale, un po'
meno umano, e soprattutto un po' meno soggetto. E' evidente che
un non-soggetto non è in grado di stipulare patti e che,
qualora li stipuli, agisce unicamente a scopo decorativo e senza
ritenersi effettivamente impegnato. Un non-soggetto non è
in grado di ritenersi.
ECONOMIA CANNIBALE. I
narratori cannibali sono indifferenti a qualunque azione mercantile
che non abbia lo scopo di aumentare le loro potenzialità
di piacere. Il soggetto disarticolato è infatti in grado
di provare piacere in ciascuna delle sue articolazioni separate.
Il soggetto disarticolato prova piacere nell'essere venduto più
che nell'acquistare, nell'essere acquistato più che nel
vendere. L'etica cannibale del dono delle interiora non considera
il denaro una contropartita dotata di senso al dono delle interiora.
L'etica cannibale associa il denaro alla merda secca, la merda
secca alla persona umana e la persona umana al nulla. L'etica
cannibale non distingue tra denaro, merda secca, persona umana
e nulla. Il denaro presenta un interesse rilevante da un punto
di vista strettamente culinario: a volte il cibarsi di denaro
può sostituire simbolicamente l'antropofagia, tuttavia
il cibarsi di denaro non è mai preferibile all'autentica
antropofagia.
Giulio Mozzi
2. PUBBLICHE RISPOSTE
UN RACCONTO.
Riceviamo un breve racconto da Martha Friel, sedici anni. Lo pubblichiamo
volentieri. Il titolo è: Lolita. LOLITA. Il cantastorie passava per il paese solo due volte l'anno e quelle due volte erano motivo di grandissimo interesse per tutto il villaggio. Le storie del vecchio uomo, che col suo carretto affascinava chiunque, erano spesso fantastiche ma la sua commozione nel raccontarle lasciava nel pubblico che lo ascoltava l'impressione che le avesse vissute veramente: Il sole illuminava e riscaldava il mondo, il cielo era terso, meravigliosamente perfetto. Non una nuvola, ma Lolita camminava sotto la pioggia perché creatura senza amore. Lolita era bella, forse la donna più bella che il mondo avesse mai ospitato, ma era un essere solitario e incapace di qualsiasi sentimento. Così Lolita andava per la strada e la gente dei campi, curva sotto il solleone, la guardava con stupore procedere sotto la pioggia. Lolita non li vedeva, non li sentiva gridare, percepiva soltanto il loro timore nei suoi confronti, e allora il suo cuore si riempiva d'odio verso il mondo. Aveva percorso a quel modo tutto il Venezuela e mezza Colombia quando, dice la canzone, incontrò un vecchio rugoso e cotto dal sole. I suoi unici due denti bianchissimi e la folta barba gli conferivano un aspetto di certa autorità e sapienza, e i suoi occhi gialli avevano sempre fatto paura a tutti, ma proprio a tutti. Anche Lolita dunque si sentì attirata verso quegli occhi da uno strano magnetismo e, non appena li incontrò, un brivido, cosa mai provata prima, le percorse il corpo. Il vecchio la vide e, lui che aveva sempre odiato tutti, si intenerì nel riconoscere in lei un'altra creatura senza amore. Si intenerì a tal punto e tanto si stupì di quel suo sentimento, che si mise a piangere; Lolita capì e provò dolcezza. Non parlarono, non ne erano capaci, non l'avevano mai fatto, ma capirono di non essere più due persone senza sentimenti, o meglio, di non essere cambiati per il resto del mondo, ma di aver trovato quell'unica persona che essendo come loro poteva risvegliare cose come la felicità, la tenerezza, la pena... Stettero seduti uno di fronte all'altra per un'intera settimana, parlandosi con gli occhi e ripercorrendo con la mente i lunghi cammini che avevano fatto, riscoprirono i luoghi che avevano attraversato con indifferenza sotto una luce nuova e capirono che il mondo sarebbe stato meraviglioso insieme. Fu così, vagando tra i pensieri, che si resero conto di non essere, con molta probabilità, gli unici esseri senza amore della terra e partirono, una sera, alla ricerca dei loro simili. Lì nessuno li vide più, ma, dice la canzone, vagarono per molti secoli e i "Senza Amore" diventarono molti, sempre di più, man mano che il viaggio del vecchio e di Lolita procedeva. un giorno il vecchio morì: in quel luogo si fermò per sempre Lolita e pianse per tre mesi le lagrime che lui le aveva donato; in quel luogo nacque un villaggio mentre ancor oggi si vede sulla terra, poiché in quel villaggio non piove mai, la sagoma di Lolita accovacciata. Neanche il vento né il fuoco possono cancellare le impronte di colei che morì, grande segno d'amore, sulla tomba del vecchio, ridiventando, una volta polvere, uguale a tutti gli altri uomini.
Così finì il suo racconto
il cantastorie e già si avviava fuori dal paese quando
un dolce ricordo lo indusse a voltarsi indietro e a posare lo
sguardo su quel cumulo di terra da lui tanto amato. UN COMMENTO. Ci permettiamo qualche osservazione su questo racconto (sperando che Martha non se la prenda...). Intanto: è un raccontino ingenuo e grazioso. Ha (esplicitamente) la forma della favoletta o apologo, e questo va bene. E' un racconto "a cornice", ossia non racconta direttamente la storia ma fa comparire un personaggio che racconta la storia; e per di più fa capire, nel finale, che c'è una relazione tra il personaggio che racconta la storia (il cantastorie) e i personaggi della storia (Lolita e il vecchio). Siamo liberi di supporre che il cantastorie abbia fatto parte della carovana o comitiva dei "senza amore": non sappiamo se questa fosse l'idea di Martha, comunque viene spontaneo pensare così e in ogni caso così si ottiene una perfetta chiusura del racconto. Tra l'altro, un personaggio presentato come "il cantastorie" va benissimo per raccontare questo tipo di storia. Fin qui gli apprezzamenti. Una critica va fatta, sia riguardo la lingua sia riguardo la narrazione: in questo racconto le cose essenziali non vengono raccontate. L'avvenimento principale è, senza dubbio, questo "effetto d'intesa" che si produce tra Lolita e il vecchio. Questo avvenimento principale ha due antecedenti: la vita precedente di Lolita e la vita precedente del vecchio. Ora, Martha ci dice in sostanza: si guardarono negli occhi e si riconobbero. Questo va benissimo, ma è un po' poco. D'accordo che qui siamo in clima magico, e che le magie avvengono sempre d'improvviso e senza sforzo apparente; ma continuiamo a pensare che sia un po' poco. Ci vorrebbe qualche gesto in più. E' interessante che i due si siedano uno difronte all'altro e si guardino negli occhi; è interessante, anche se un po' assurdo, che non si parlino nemmeno. Se a questo guardarsi negli occhi si aggiungesse qualche altro gesto che mostri come il vecchio si vede rispecchiato in Lolita e Lolita si vede rispecchiata nel vecchio, tutto sarebbe molto più efficace. Certo, Martha ci dice che il rispecchiamento avviene: ma un conto è dire una cosa, un conto è mostrarla. A risolvere questo problema, che è schiettamente narrativo, può soccorrere un intervento sulla lingua. La lingua di questo breve racconto è, nel suo piccolo, abbastanza preziosa: vedi ad es. lagrime (arcaismo) usato per lacrime; una frase come il cielo era terso, meravigliosamente perfetto, eccetera. Forse una maggiore visibilità di ciò che viene narrato si può ottenere rinunciando a certi preziosismi di lessico e puntando a una maggiore concretezza della lingua. Al limite (ma questo è proprio un limite) si potrebbe cercar di raccontare la storia senza alcun accenno ai sentimenti dei personaggi, ossia sostituendo ad ogni descrizione di sentimento (es.: capirono di non essere più due persone senza sentimenti) un gesto dei personaggi (cioè un avvenimento narrativo) che produca nel lettore un effetto equivalente. Detto questo, che è l'essenziale, aggiungiamo qualche minuzia. Nel contesto lessicale prezioso di cui si è detto, stonano alcune espressioni come con molta probabilità, che con il lessico favolistico non ci sta proprio. Lolita che vive sotto la pioggia mentre gli altri hanno il sole può anche essere una bella immagine, ma bisogna stare attenti a usarla perché ricorda troppo (e pensiamo che questo collegamento non sia desiderato da Martha) la "nuvoletta dell'impiegato" dei film di Fantozzi. In sostanza, bisogna stare attenti alle stonature, e bisogna anche cercar di prevedere le associazioni d'idee che il lettore può fare: non è possibile prevederle tutte, ma qualcuna sì. E, una volta che le prevediamo, dobbiamo decidere se ci stanno bene o no. Infine: Lolita non è un nome neutro; rimanda necessariamente a Lolita di Nabokov. Tuttavia, questo collegamento non ci sembra affatto opportuno. Un altro nome sarebbe forse opportuno (a meno che Martha non abbia ragioni sue, che a noi sfuggono, per voler usare proprio quel nome lì).
Comunque, tutti i complimenti a Martha.
Le cose che il sottoscritto scriveva alla sua età erano
molto peggiori. Attendiamo di vedere dell'altro.
SCRITTURA GIORNALISTICA. Francesco
Iato chiede se abbiamo "a disposizione qualche opzione alternativa
sulla scrittura di tipo giornalistico; o, in generale, un corso
di stile e/o di scrittura da utilizzare come supporto operativo
nell'ambito della comunicazione moderna". Non ci avevamo
pensato ma, a dire il vero, si potrebbe proprio fare. Uno dei
prossimi mesi ci sarà qualcosa (promesso). Per il momento
possiamo consigliare alcuni libri:
Alberto Papuzzi, Manuale del giornalista:
tecniche e regole di un mestiere, Donzelli, pp. 200, L. 32.000.
E', tra tutti i manuali in circolazione, il più serio e
utile, del tutto libero dalle mitologie specifiche. Inoltre non
contiene nessuna banalità, diversamente dalla maggior parte
dei libri sull'argomento. Non è dedicato espressamente
alla scrittura quanto al funzionamento del mestiere di giornalista,
ed è molto attento alle questioni etiche, anche al di là
della stretta etica professionale. Particolarmente interessante
è, proprio da questo punto di vista, il capitolo dedicato
all'uso e al controllo delle fonti. E' recente (1993) e aggiornato
anche sulle questioni tecnologiche (ma naturalmente è pre-internet).
Giambattista Vicari, La scrittura
da giornale: dieci note e ventiquattro appunti per una
metodologia dell'espressione giornalistica, Longo, pp. 77,
L. 10.000. Questo invece è un libro espressamente dedicato
alla scrittura. E' piuttosto vecchio (del 1973), ma forse si trova
ancora in giro (Longo editore, via Armando Diaz 39, 48100 Ravenna).
Lo segnaliamo perché, nella sua schematicità, è
probabilmente completo: proprio nel senso che dentro c'è
tutto ciò che c'è da sapere sulla scrittura da giornale.
E in più è (cosa che funziona come una prova del
nove) un libro linguisticamente molto interessante, un esercizio
di stile laconico perfettamente riuscito.
Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca,
Trattato dell'argomentazione: la nuova retorica, Einaudi,
pp. 593, L. 44.000 (prefazione di Norberto Bobbio). Questo invece
è un libro, per così dire, nato già classico.
Gli autori sono riusciti nell'impresa di integrare la retorica
classica con la nuova retorica prodotta dall'avanzamento degli
studi linguistici, strutturalistici e semiologici (l'edizione
originale, francese, è del 1958); e il loro lavoro rischia
di durare pressappoco tanti secoli quanti è durato il lavoro
di Cicerone e Quintiliano. In sostanza è una grande opera
teorico-pratica sulla scrittura argomentativa, che include naturalmente
anche fasi di esposizione dei fatti. C'è poco di specifico
sulla scrittura (praticamente nulla sugli aspetti stilistici),
tuttavia è il massimo che si possa desiderare per gli aspetti
"macro".
COMPLIMENTI. Ringraziamo
tutti per i complimenti ricevuti, in particolare Anna Tortora.
Sappiamo che non si dovrebbe dire, ma i complimenti fanno sempre
piacere. Grazie anche agli amici Giulio, Matteo, Paolo, Pietro,
Roberto, Severino: dai quali attendiamo suggerimenti.
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