Index MUSICA - Marzo 1997

DAVID BOWIE "EARTHLING"

Bowie, seppure a cinquant'anni suonati continua a sperimentare, rinnovarsi e a dare il meglio di sè

Sarà forse per la naturale disposizione - molto diffusa dalle nostre parti - a confondere gli artisti con i calciatori che spesso tendiamo a pensare che un musicista pop debba dare il meglio di sè nel giro dei primi due-tre anni. Regola che certo ben si applica a merdine secche come (cito a caso, non c'è che l'imbarazzo della scelta) Happy Mondays o Charlatans (evito di fare esempi nostrani, sarebbe come sparare sulla croce rossa: prendete una rivista di due anni fa e ditemi quante folgoranti promesse del rock italiano esistono ancora). Con la vera ispirazione, tuttavia, l'età c'entra poco o nulla. Borges ha cominciato a scrivere dopo i quarant'anni, Sterne ha scritto Tristram Shandy dopo i cinquanta, il regista portoghese De Oliveira ha realizzato alcuni dei suoi capolavori in prossimità dei novanta. Non ci sarebbe quindi molto da stupirsi che, a cinquant'anni suonati, David Bowie continui a sperimentare, a rinnovarsi, a sfornare album come questo "Earthling" che nessun ragazzino avrebbe saputo concepire così al passo con i tempi. Dopo il complesso e pretenzioso thriller musicale "Outside", Bowie torna a una delle sue strategie più caratteristiche: quella di mescolare alto e basso, rumorismo e ritmi da discoteca. "Earthling" non è un disco perfetto; ma raramente i dischi di Bowie, neanche i grandi dischi come "Hunky Dory" e "Heroes", lo sono stati. Ci sono però dei guizzi, delle intuizioni (il singolo micidiale "Little Wonder", il caos programmato di "Satellites", la cupa "Seven years in Tibet" per dirne qualcuna). Ma soprattutto - a differenza della maggior parte delle produzioni di oggi - c'è uno stile. Lo stile riconoscibile con cui Bowie ha attraversato indenne anche i momenti peggiori della sua carriera (come il dopo "Let's dance") riuscendo, come capita solo ai grandi (sorry, mi vengono in mente solo i Beatles e Zappa), ad esplorare strade diverse mantenendo nel tempo una precisa identità artistica. Chi ha visto il video di "Little Wonder" sa cosa voglio dire.

Massimiano Bucchi