DAVID BOWIE
"EARTHLING"
Bowie,
seppure a cinquant'anni suonati continua a sperimentare,
rinnovarsi e a dare il meglio di sè
Sarà forse per la naturale
disposizione - molto diffusa dalle nostre parti - a
confondere gli artisti con i calciatori che spesso
tendiamo a pensare che un musicista pop debba dare il
meglio di sè nel giro dei primi due-tre anni. Regola che
certo ben si applica a merdine secche come (cito a caso,
non c'è che l'imbarazzo della scelta) Happy Mondays o
Charlatans (evito di fare esempi nostrani, sarebbe come
sparare sulla croce rossa: prendete una rivista di due
anni fa e ditemi quante folgoranti promesse del rock
italiano esistono ancora). Con la vera ispirazione,
tuttavia, l'età c'entra poco o nulla. Borges ha
cominciato a scrivere dopo i quarant'anni, Sterne ha
scritto Tristram Shandy dopo i cinquanta, il regista
portoghese De Oliveira ha realizzato alcuni dei suoi
capolavori in prossimità dei novanta. Non ci sarebbe
quindi molto da stupirsi che, a cinquant'anni suonati,
David Bowie continui a sperimentare, a rinnovarsi, a
sfornare album come questo "Earthling" che
nessun ragazzino avrebbe saputo concepire così al passo
con i tempi. Dopo il complesso e pretenzioso thriller
musicale "Outside", Bowie torna a una delle sue
strategie più caratteristiche: quella di mescolare alto
e basso, rumorismo e ritmi da discoteca.
"Earthling" non è un disco perfetto; ma
raramente i dischi di Bowie, neanche i grandi dischi come
"Hunky Dory" e "Heroes", lo sono
stati. Ci sono però dei guizzi, delle intuizioni (il
singolo micidiale "Little Wonder", il caos
programmato di "Satellites", la cupa
"Seven years in Tibet" per dirne qualcuna). Ma
soprattutto - a differenza della maggior parte delle
produzioni di oggi - c'è uno stile. Lo stile
riconoscibile con cui Bowie ha attraversato indenne anche
i momenti peggiori della sua carriera (come il dopo
"Let's dance") riuscendo, come capita solo ai
grandi (sorry, mi vengono in mente solo i Beatles e
Zappa), ad esplorare strade diverse mantenendo nel tempo
una precisa identità artistica. Chi ha visto il video di
"Little Wonder" sa cosa voglio dire.
Massimiano Bucchi
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