Index ATTUALITA' - Aprile 1997


La storia e la tivu'

Lo storico Emilio Franzina ci racconta la sua "avventura" di conduttore di un programma culturale in televisione

Per un caso di quelli che capitano di tanto in tanto nella vita mi sono trovato, nei mesi scorsi, a lavorare in televisione. Dico alla Rai, per intendersi, visto che oggidì la varietà delle emittenti è grande e non circoscritta soltanto alle maggiori private (Mediaset,TMC, ecc.): l’Italia, anzi, pare che sia il paese dove le televisioni private dilagano e prosperano spartendosi, evidentemente, le risorse di un florido mercato pubblicitario. Di tivù ce n’è di più da noi, nel bel paese, che in molti altri d’Europa messi insieme.

E’ inutile che cerchi adesso di imbastire, a partire da una esperienza tutto sommato "privata", ancorchè svolta in pubblico, chissà quale ragionamento filosofico. Non appartengo alla schiera degli apocalittici,ma nello stesso tempo non sono nemmeno dalla parte degli integrati, per usare una antichissima terminologia di Umberto Eco, né, d’altro canto, potrei mai indulgere a semplificazioni accusatorie del mezzo,quantunque di pretesa ascendenza popperiana. Sono e rimango un praticante (praticone?) con un po’ di mestiere in più e , al massimo , col vantaggio di poter sfruttare e mettere a confronto le sue competenze vere,nella mia fattispecie quelle dello storico, con quanto passa , da un lato e dall’altro dello schermo, il buon convento televisivo. Altro elemento di vantaggio sta senza dubbio nel fatto che esso, il buon convento, sino a una improbabile revisione da sempre annunciata e mai realizzata, risulta essere, come dicevo (vuoi per ampiezza delle disponibilità e dei mezzi, vuoi per età, vuoi per la sua natura di servizio pubblico), l’osservatorio forse migliore per misurare gli attuali rapporti dell’opinione corrente o se si preferisce del "gusto medio" con certi oggetti divenuti ormai misteriosi tipo cultura, informazione scientifica, alta divulgazione. Cancellati, tolta qualche rara eccezione, dai palinsesti d’orario umano - in Rai quasi solo Piero Angela resiste col suo SuperQuark - i programmi genericamente colti vivono, e l’informazione storica non fa eccezione, al di qua della linea d’ombra, sul limitare della notte e insomma, per dirla tutta, in fasce d’ascolto d’élite non per scelta bensì per resistenza umana al sonno.

Nel mio caso, il caso iniziale da cui sono partito, nel senso di fato e di circostanza, le cose sono andate così. Dietro richiesta della nuova struttura Educational ho cominciato in novembre a fare ricerche per un progetto di racconto che sulle prime, saputa l’ora della probabile messa in onda, avevo proposto di intitolare "Storia notturna del Novecento". In realtà il titolo è rimasto quello deciso dalla struttura ossia "Tempo. Storia d’autore" e la ragione sociale della trasmissione per quanto minacciosamente riservata in partenza a persone insonni, a vagabondi del telecomando notturno e a simili bizzarri soggetti che sono in mezzo a noi varrà a spiegare la tenuta del nome: il mio impegno consisteva nel passare in rassegna preventiva una infinità di "produzioni Rai" del passato più e meno recente alla ricerca di spunti utili a ricostruire un profilo della prima metà del secolo.

Dovevo solo stare attento a un particolare: i "prodotti" suddetti bisognava che fossero firmati da "au- tori" di grido, da registi cioè o da giornalisti di alto profilo e di grosso nome. Requisito non difficile da rispettare perché a far data dal lontano 1958, agli albori della Tivu di stato, erano stati sempre per lo più personaggi di tale estrazione a occuparsi di storia e a narrarla con il supporto di immagini che io avrei dovuto, insomma, cannibalizzare.

Detto fatto ho lavorato intensamente per un paio di mesi e mi sono misurato con i mille problemi che dirò fra poco riuscendo tuttavia a preparare la base materiale e irrinunciabile del programma che ha cominciato ad essere trasmesso - rigorosamente dopo il TG della notte - su Rai1 fra la mezzanotte e mezza e l’una davvero grosso modo il 3 marzo 1997. Ogni sera, pardon ogni notte quindi, da lunedì a venerdì sino al 28 marzo di questo 1997, la mia trasmissione è andata (e va tuttora per qualche giorno comprese le repliche mattutine al venerdì su Rai3 verso le 9 ) in onda consentendo prima di tutto a me di rivedermi e di criticarmi. Qualcuno, a maggior titolo, lo ha fatto censurando la mise o i capi di vestiario, altri garbatamente accennando a certi limiti della regìa lo hanno rifatto coll’indicare difetti e col suggerire rimedi (sul "Corriere della sera" del 12 marzo, tempestivamente, Aldo Grasso, una vera autorità in materia, e sin troppo benevolo nei miei riguardi, ha anche sfiorato il tema delle mie "cravatte domenicali" in armonia con l’ufficiosità delle interpretazioni storico-televisive), altri infine si sono con- centrati sul problema che sta a cuore anche a me, più come cittadino, direi, che come conduttore: perché a quell’ora di notte e perché dovendo sottostare, visibilmente, a così tanti vincoli.

Dell’ora s’è detto. E’ quella riservata in Rai agli approfondimenti d’ordine culturale e scientifico e ne han fatto le spese, recentemente, personaggi ben più famosi del sottoscritto a cominciare dal poveroVittorio Gassman in veste di lettore dantesco. Né la scienza né le lecturae Dantis, né tantomeno la storia, cioè, hanno diritto di cittadinanza nelle prime fasce e questo già dovrebbe far meditare. Ma c’èdell’altro e alludo ai vincoli. Per "Tempo. Storia d’autore" essi si sono rivelati di ogni specie e non tutti prevedibili in anticipo. Fra i materiali Rai, d’archivio, una gran quantità non si è salvata o risulta di-

spersa, trasmissioni famose dei primi anni sessanta, in particolare, non si trovano più o sembrano al momento irrecuperabili e inutilizzabili con grave pregiudizio dell’equilibrio di ogni riflessione sulmodo di far storia, durante il tempo, da parte della Tivù. Altre produzioni famose - sul genere del celebre "Nascita di una dittatura" di Sergio Zavoli - devono sottostarre al placet, per altri versi comprensibile (in televisione non è raro veder "rubate" immagini a colleghi più bravi) , del primo autore. Alcune che incorporano in dose massiccia i filmati di proprietà dell’Istituto Luce (per la storiacontemporanea italiana sarebbe come dire quasi tutti vista l’incidenza nelle trasmissioni di Caracciolo,di Bisiach, di Petacco ecc. dei famosi "film-Luce" d’anni trenta e quaranta) devono far fronte aicosti per diritti con royalties che si aggirano sul milione di lire al minuto....

Uno storico, anche di bocca buona, che debba aggirarsi in simili meandri vincolistici, e seppure a livello di fonti secondarie, quali sono quelle conservate nella cineteca della Rai, una delle più grandi d’Europa, rischia l’infarto o come minimo l’equilibrio nervoso. Quello mio personale è stato messo a dura prova oltre a tutto ciò perché ho leggermente accettato di condurre in studio, assieme a una giovane scrittrice, Margherita D’Amico, la trasmissione. Solo per registrarla assecondando una scenografia spartana ed elementare che implicava però la post-produzione (e cioè il rimontaggio successivo dei brani da me selezionati per raccontare questo o quel momento della grande storia novecentesca sino alla seconda guerra mondiale) ci son voluti venti giorni venti di ruvida applicazione. E qui ho fatto la facile scoperta di dover pencolare, alla fin fine, dalla parte degli apocalittici e dei popperiani perché il mio tempo di parola, in media cinque minuti nell’arco di ogni puntata da ventottto, non sarebbe bastato mai a segnalare nonché la natura dei problemi e delle questioni tirate in ballo dai filmati nell’"interpretazione" d’autori famosi, nemmeno la loro semplice esistenza.

E’ stato frustrante per me adattarmi alle regole del linguaggio televisivo che, certo lo sapevo di già,sono diverse da quelle della comunicazione distesa e che prevedono un sagace incastro di discorsiorali (brevi, quasi per flash) e di immagini rappresentative: ma se le immagini devono sottostare a vincoli del tipo che ricordavo e se vanno in onda a notte fonda e se sovrastano visibilmente le risorse del parlato (di ogni parlato) come la mettiamo con il senso critico e con le funzioni di acculturazione del messaggio televisivo? Una risposta ultimativa non c’è sebbene sia chiaro che diverse collocazioni orarie nella programmazione e, soprattutto, uno spazio più ampio (l’arco di tempo ideale è quello della banale lezione o conferenza, fra i 40 e il 45/50 minuti) consentirebbero di articolare il pensiero un po’ meglio controbilanciando materialmente quella che rimane e forse deve rimanere una caratteristi ca del linguaggio televisivo ossia la brevità, la stringatezza, l’essenzialità.

A me, tuttavia, qualche dubbio rimane anche su questo punto visto che poi tante volte ho fatto l’amara scoperta dei ritardi procurati com’è sempre successo, ad esempio, quando la mia trasmissione doveva posticipare il suo avvio per colpa di Bruno Vespa e del talk show di turno (qui "Porta a porta" con sforamenti anche di 45 minuti !). In realtà proprio se pensiamo ai talk show anche la tivù prevede allora amplissimi spazi verbali (o monopolizzati da ometti alla Vespa,da furboni alla Costanzo, da santoni alla Santoro ecc. o spezzettati e isterizzati da giornalisti alla Gad Lerner, da star esotiche alla Friedman, da direttrici di rete in calore d’integrazione al potere alla Annunziata ecc.)

E dunque? Dunque la storia, la cultura, la letteratura e l’arte una propria misura la potrebbero avere e se in tivù non ce l’hanno dovrebbero rivendicarla. Non tutti gli ascoltatori sono nottambuli e non tutti sono lieti di doversi sorbire le frivolezze della tivù generalista e del giornalismo piacione e chiacchierone a scapito di un minimo di aggiornamento offerto e proposto con garbo e, perché no?, in termini avvincenti. Se fosse solo l’Auditel a stabilirlo, o lo share, saremmo a posto (certe trasmissioni di storia non la mia che non ha mai superato la barrriera delle 500.000 unità di ascolto - hanno dato prova in passato di saper reggere per più puntate i pubblici di milioni di telespettatori a patto di essere manda te in onda a orari un tantino umani: Nicola Caracciolo, colle sue punte di 8/9 milioni di ascolto lo dimostra). Il fatto è che non dagli indici di gradimento dipende la programmazione, ma da un insieme diverso di fattori e di circostanze a tratti immaginabili (interessi politici, equilibri di potere e di sottopotere, piccole nicchie feudali ecc.) e a tratti del tutto imprevedibili: se avrò la forza (e il coraggio) che ci vogliono a parlarne, ne farò oggetto di una prossima riflessione per gli amici di Nautilus a cui dò quindi, con i saluti di rito, un appuntamento a breve scadenza.