La storia e la tivu'
Lo
storico Emilio Franzina ci racconta la sua
"avventura" di conduttore di un programma
culturale in televisione
Per un caso di quelli che
capitano di tanto in tanto nella vita mi sono trovato,
nei mesi scorsi, a lavorare in televisione. Dico alla
Rai, per intendersi, visto che oggidì la varietà delle
emittenti è grande e non circoscritta soltanto alle
maggiori private (Mediaset,TMC, ecc.): lItalia,
anzi, pare che sia il paese dove le televisioni private
dilagano e prosperano spartendosi, evidentemente, le
risorse di un florido mercato pubblicitario. Di tivù ce
nè di più da noi, nel bel paese, che in molti
altri dEuropa messi insieme.
E inutile che cerchi
adesso di imbastire, a partire da una esperienza tutto
sommato "privata", ancorchè svolta in
pubblico, chissà quale ragionamento filosofico. Non
appartengo alla schiera degli apocalittici,ma nello
stesso tempo non sono nemmeno dalla parte degli
integrati, per usare una antichissima terminologia di
Umberto Eco, né, daltro canto, potrei mai
indulgere a semplificazioni accusatorie del
mezzo,quantunque di pretesa ascendenza popperiana. Sono e
rimango un praticante (praticone?) con un po di
mestiere in più e , al massimo , col vantaggio di poter
sfruttare e mettere a confronto le sue competenze
vere,nella mia fattispecie quelle dello storico, con
quanto passa , da un lato e dallaltro dello
schermo, il buon convento televisivo. Altro elemento di
vantaggio sta senza dubbio nel fatto che esso, il buon
convento, sino a una improbabile revisione da sempre
annunciata e mai realizzata, risulta essere, come dicevo
(vuoi per ampiezza delle disponibilità e dei mezzi, vuoi
per età, vuoi per la sua natura di servizio pubblico),
losservatorio forse migliore per misurare gli
attuali rapporti dellopinione corrente o se si
preferisce del "gusto medio" con certi oggetti
divenuti ormai misteriosi tipo cultura, informazione
scientifica, alta divulgazione. Cancellati, tolta qualche
rara eccezione, dai palinsesti dorario umano - in
Rai quasi solo Piero Angela resiste col suo SuperQuark -
i programmi genericamente colti vivono, e
linformazione storica non fa eccezione, al di qua
della linea dombra, sul limitare della notte e
insomma, per dirla tutta, in fasce dascolto
délite non per scelta bensì per resistenza umana
al sonno.
Nel mio caso, il caso
iniziale da cui sono partito, nel senso di fato e di
circostanza, le cose sono andate così. Dietro richiesta
della nuova struttura Educational ho cominciato in
novembre a fare ricerche per un progetto di racconto che
sulle prime, saputa lora della probabile messa in
onda, avevo proposto di intitolare "Storia notturna
del Novecento". In realtà il titolo è rimasto
quello deciso dalla struttura ossia "Tempo. Storia
dautore" e la ragione sociale della
trasmissione per quanto minacciosamente riservata in
partenza a persone insonni, a vagabondi del telecomando
notturno e a simili bizzarri soggetti che sono in mezzo a
noi varrà a spiegare la tenuta del nome: il mio impegno
consisteva nel passare in rassegna preventiva una
infinità di "produzioni Rai" del passato più
e meno recente alla ricerca di spunti utili a ricostruire
un profilo della prima metà del secolo.
Dovevo solo stare attento
a un particolare: i "prodotti" suddetti
bisognava che fossero firmati da "au- tori" di
grido, da registi cioè o da giornalisti di alto profilo
e di grosso nome. Requisito non difficile da rispettare
perché a far data dal lontano 1958, agli albori della
Tivu di stato, erano stati sempre per lo più personaggi
di tale estrazione a occuparsi di storia e a narrarla con
il supporto di immagini che io avrei dovuto, insomma,
cannibalizzare.
Detto fatto ho lavorato
intensamente per un paio di mesi e mi sono misurato con i
mille problemi che dirò fra poco riuscendo tuttavia a
preparare la base materiale e irrinunciabile del
programma che ha cominciato ad essere trasmesso -
rigorosamente dopo il TG della notte - su Rai1 fra la
mezzanotte e mezza e luna davvero grosso modo il 3
marzo 1997. Ogni sera, pardon ogni notte quindi, da
lunedì a venerdì sino al 28 marzo di questo 1997, la
mia trasmissione è andata (e va tuttora per qualche
giorno comprese le repliche mattutine al venerdì su Rai3
verso le 9 ) in onda consentendo prima di tutto a me di
rivedermi e di criticarmi. Qualcuno, a maggior titolo, lo
ha fatto censurando la mise o i capi di vestiario, altri
garbatamente accennando a certi limiti della regìa lo
hanno rifatto collindicare difetti e col suggerire
rimedi (sul "Corriere della sera" del 12 marzo,
tempestivamente, Aldo Grasso, una vera autorità in
materia, e sin troppo benevolo nei miei riguardi, ha
anche sfiorato il tema delle mie "cravatte
domenicali" in armonia con lufficiosità delle
interpretazioni storico-televisive), altri infine si sono
con- centrati sul problema che sta a cuore anche a me,
più come cittadino, direi, che come conduttore: perché
a quellora di notte e perché dovendo sottostare,
visibilmente, a così tanti vincoli.
Dellora sè
detto. E quella riservata in Rai agli
approfondimenti dordine culturale e scientifico e
ne han fatto le spese, recentemente, personaggi ben più
famosi del sottoscritto a cominciare dal poveroVittorio
Gassman in veste di lettore dantesco. Né la scienza né
le lecturae Dantis, né tantomeno la storia, cioè, hanno
diritto di cittadinanza nelle prime fasce e questo già
dovrebbe far meditare. Ma cèdellaltro e
alludo ai vincoli. Per "Tempo. Storia
dautore" essi si sono rivelati di ogni specie
e non tutti prevedibili in anticipo. Fra i materiali Rai,
darchivio, una gran quantità non si è salvata o
risulta di-
spersa, trasmissioni
famose dei primi anni sessanta, in particolare, non si
trovano più o sembrano al momento irrecuperabili e
inutilizzabili con grave pregiudizio dellequilibrio
di ogni riflessione sulmodo di far storia, durante il
tempo, da parte della Tivù. Altre produzioni famose -
sul genere del celebre "Nascita di una
dittatura" di Sergio Zavoli - devono sottostarre al
placet, per altri versi comprensibile (in televisione non
è raro veder "rubate" immagini a colleghi più
bravi) , del primo autore. Alcune che incorporano in dose
massiccia i filmati di proprietà dellIstituto Luce
(per la storiacontemporanea italiana sarebbe come dire
quasi tutti vista lincidenza nelle trasmissioni di
Caracciolo,di Bisiach, di Petacco ecc. dei famosi
"film-Luce" danni trenta e quaranta)
devono far fronte aicosti per diritti con royalties che
si aggirano sul milione di lire al minuto....
Uno storico, anche di
bocca buona, che debba aggirarsi in simili meandri
vincolistici, e seppure a livello di fonti secondarie,
quali sono quelle conservate nella cineteca della Rai,
una delle più grandi dEuropa, rischia
linfarto o come minimo lequilibrio nervoso.
Quello mio personale è stato messo a dura prova oltre a
tutto ciò perché ho leggermente accettato di condurre
in studio, assieme a una giovane scrittrice, Margherita
DAmico, la trasmissione. Solo per registrarla
assecondando una scenografia spartana ed elementare che
implicava però la post-produzione (e cioè il
rimontaggio successivo dei brani da me selezionati per
raccontare questo o quel momento della grande storia
novecentesca sino alla seconda guerra mondiale) ci son
voluti venti giorni venti di ruvida applicazione. E qui
ho fatto la facile scoperta di dover pencolare, alla fin
fine, dalla parte degli apocalittici e dei popperiani
perché il mio tempo di parola, in media cinque minuti
nellarco di ogni puntata da ventottto, non sarebbe
bastato mai a segnalare nonché la natura dei problemi e
delle questioni tirate in ballo dai filmati
nell"interpretazione" dautori
famosi, nemmeno la loro semplice esistenza.
E stato frustrante
per me adattarmi alle regole del linguaggio televisivo
che, certo lo sapevo di già,sono diverse da quelle della
comunicazione distesa e che prevedono un sagace incastro
di discorsiorali (brevi, quasi per flash) e di immagini
rappresentative: ma se le immagini devono sottostare a
vincoli del tipo che ricordavo e se vanno in onda a notte
fonda e se sovrastano visibilmente le risorse del parlato
(di ogni parlato) come la mettiamo con il senso critico e
con le funzioni di acculturazione del messaggio
televisivo? Una risposta ultimativa non cè sebbene
sia chiaro che diverse collocazioni orarie nella
programmazione e, soprattutto, uno spazio più ampio
(larco di tempo ideale è quello della banale
lezione o conferenza, fra i 40 e il 45/50 minuti)
consentirebbero di articolare il pensiero un po
meglio controbilanciando materialmente quella che rimane
e forse deve rimanere una caratteristi ca del linguaggio
televisivo ossia la brevità, la stringatezza,
lessenzialità.
A me, tuttavia, qualche
dubbio rimane anche su questo punto visto che poi tante
volte ho fatto lamara scoperta dei ritardi
procurati comè sempre successo, ad esempio, quando
la mia trasmissione doveva posticipare il suo avvio per
colpa di Bruno Vespa e del talk show di turno (qui
"Porta a porta" con sforamenti anche di 45
minuti !). In realtà proprio se pensiamo ai talk show
anche la tivù prevede allora amplissimi spazi verbali (o
monopolizzati da ometti alla Vespa,da furboni alla
Costanzo, da santoni alla Santoro ecc. o spezzettati e
isterizzati da giornalisti alla Gad Lerner, da star
esotiche alla Friedman, da direttrici di rete in calore
dintegrazione al potere alla Annunziata ecc.)
E dunque? Dunque la
storia, la cultura, la letteratura e larte una
propria misura la potrebbero avere e se in tivù non ce
lhanno dovrebbero rivendicarla. Non tutti gli
ascoltatori sono nottambuli e non tutti sono lieti di
doversi sorbire le frivolezze della tivù generalista e
del giornalismo piacione e chiacchierone a scapito di un
minimo di aggiornamento offerto e proposto con garbo e,
perché no?, in termini avvincenti. Se fosse solo
lAuditel a stabilirlo, o lo share, saremmo a posto
(certe trasmissioni di storia non la mia che non ha mai
superato la barrriera delle 500.000 unità di ascolto -
hanno dato prova in passato di saper reggere per più
puntate i pubblici di milioni di telespettatori a patto
di essere manda te in onda a orari un tantino umani:
Nicola Caracciolo, colle sue punte di 8/9 milioni di
ascolto lo dimostra). Il fatto è che non dagli indici di
gradimento dipende la programmazione, ma da un insieme
diverso di fattori e di circostanze a tratti immaginabili
(interessi politici, equilibri di potere e di
sottopotere, piccole nicchie feudali ecc.) e a tratti del
tutto imprevedibili: se avrò la forza (e il coraggio)
che ci vogliono a parlarne, ne farò oggetto di una
prossima riflessione per gli amici di Nautilus a cui dò
quindi, con i saluti di rito, un appuntamento a breve
scadenza.
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