Milena e la
speranza di sabbia
Giovedì
27 marzo scorso la polizia tunisina ha trovato il corpo
di Milena Bianchi, la studentessa di Bassano scomparsa
nel nulla a Nabeul, in Tunisia, nel novembre del 1995.
Uccisa da uno spasimante respinto (forse) e seppellita
sotto il greto di un torrente secco, in mezzo alle dune
alle porte del paese. Così ieri, davanti a tremila
persone senza parole, Bassano ha celebrato quel funerale
che nessuno credeva possibile. E Gilda Milani,
lirriducibile madre di Milena che laveva
cercata per 16 mesi assieme a famiglia e amici sfidando
tutto e tutti tra appelli, proteste, viaggi e denunce,
ieri aveva il volto della speranza perduta. Perduta sotto
una manciata di sabbia
Se la
speranza perduta mercoledì 2 aprile avesse voluto un
nome e un volto, non poteva che scegliere i suoi. Gilda
Milani, lirriducibile madre che mai aveva creduto
alla morte della figlia Milena, scomparsa in Tunisia il
23 novembre del 1995, è diventata una figura
trasparente, più bianca e fragile dei mille fiori
bianchi che aveva davanti. Certo cera il dolore del
marito Bertillo Bianchi, degli altri parenti, degli amici
e delle quasi 3 mila persone dentro e fuori la chiesa di
Santa Croce a Bassano, tutti lì per i funerali della
ragazza. O meglio di quello che resta della giovane
studentessa uccisa da uno spasimante respinto mentre era
in vacanza a Nabeul, vicino ad Hammamet e seppellita
sotto la sabbia, come dicono (non credute) le autorità
tunisine. Ma tutto quello che è successo, quei 16 mesi
di battaglie, appelli su tv, giornali e anche su Internet
(proprio attraverso Nautilus), viaggi e denunce contro
linerzia delle indagini e poi lo strazio del
ritrovamento appena giovedì scorso, sembra pesare solo
sulle spalle di Gilda Milani.
Così mentre lei parole
non ne ha più, liniziativa è passata nelle mani
di altri. Come lavvocato romano Nino Marazzitta,
incaricato dalla famiglia di continuare le indagini. E
che ieri ha annunciato di aver dato mandato ad un
detective dellagenzia Tom Ponzi di Milano.
Destinazione: Tunisia. Ma anche di rivolgersi
allambasciata italiana per farsi mettere a
disposizione un avvocato tunisino e costituirsi parte
civile al processo contro Mounir Taib Ben Salem, il
ventenne di Nabeul arrestato per lomicidio. Sempre
che sia stato lui da solo, sempre che sia stato veramente
lui, sempre che non succeda chissà cosa in questa storia
senza fine.
Tante le lacrime, ieri, ma
tutto in silenzio. Non una sola parola contro la Tunisia,
la polizia, gli investigatori italiani, gli sciacalli o
anche solo la malasorte. Qualche lacrima anche del
ministro della Sanità Rosy Bindi "qui in segno di
partecipazione anche a nome del ministro degli Esteri
Dini" dirà alla fine; e piange lonorevole
Pozza Tasca, che ha accompagnato la famiglia fin
dallinizio dnella disperata ricerca di Milena; la
posizione più scomoda va al sottosegretario agli Esteri
Patrizia Toia, che deve difendere Dini dalle accuse di
"totale assenza" delle istituzioni italiane
lanciate da Gilda e Bertillo Bianchi.
Tanto lei, lex madre
di ferro diventata di cristallo, ora non sente niente.
Leggono lettere e preghiere gli amici, i rappresentanti
del Comitato pro-Milena Bianchi, i parenti. Ma non cambia
lespressione del viso di Gilda Milani, sempre
seduta se non accartocciata. Il parroco di santa Croce,
don Dino Manfrin, sulla vicenda giudiziaria di Milena
accenna solo al "silenzio assoluto (sulle indagini)
che speriamo scevro da complicità". Legge un
telegramma del Papa che "per Milena Bianchi
barbaramente uccisa implora pace e gioia eterna".
Qualcuno ricorda "tutti quelli scomparsi che non
sono ancora tornati, la piccola Angela Faito, Silvia
Melis...". Milena Milani, sorella di Gilda, chiede
scusa "perchè non ci sono i nonni di Milena: in
questi mesi sono invecchiati precocemente e le loro menti
si sono ottenebrate".
Poi la bara bianca esce
dalla chiesa, un applauso leggero, non un grido o una
parola. Il cimitero è di fronte, per Milena Bianchi
cè un loculo proprio al centro, inciso cè
solo il suo nome. Ma a questo Gilda Milani non regge, se
ne va prima, appoggiata al marito. E come se le
avessero tagliato quel filo di speranza su cui aveva
camminato come unequilibrista da quel 23 novembre
del 95, come fosse precipitata. Per 16 mesi è
stata limmagine della donna battagliera: quella che
esce dal cimitero è limmagine della donna
sconfitta.
Alessandro Mognon
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