Index PRIMOPIANO - Aprile 1997


Un detective per Milena

I parenti di Milena Bianchi non cedono: la versione ufficiale dell’omicidio per loro non regge. E sospettano che Mounir, il fidanzato respinto accusato dell’assassinio, non fosse solo. "Polizia italiana e tunisina fanno di tutto per scoraggiarci dall’indagare - dice ora lo zio di Milena - Ma noi continuiamo". Ed ecco perché, dopo quelli che chiamano errori, distrazioni e cattiva volontà, manderanno un investigatore privato in Tunisia per scoprire la vera storia di quel 23 novembre del 1995

Adesso che Gilda Milani è rimasta senza forze, sono gli altri, i parenti, a raccogliere la spada. Perché a quella storia del fidanzatino respinto che invita Milena a casa, la strangola, la carica sulla Vespa e la seppellisce sul greto di un fiume secco a un chilometro da casa e poi, una settimana fa, confessa tutto, proprio non ci credono. Per questo contestano il questore della Criminalpol Nicola Simone che accetta le tesi tunisine. E per questo martedì 1 aprile hanno fatto eseguire una seconda autopsia sui resti di Milena. Mentre aspettano i risultati degli ultimi due fermi della polizia di Nabeul, compreso quel Sami considerato il fidanzato ufficiale di Milena. Comunque manderanno anche un investigatore privato in Tunisia e chiederanno di costituirsi parte civile al processo

"Se sono venuti fuori altri particolari dall’autopsia? Altrochè - spiega Matteo Milani, 45 anni, zio di Milena e assessore comunale - Il corpo della ragazza presenta delle mutilazioni. Insomma, non ci sono più nè le dita nè gli anelli che avevamo visto ancora a Nabeul. Le hanno tolto anche la collanina, e la testa è staccata dal corpo. Per questo i medici legali hanno detto che è impossibile stabilire le cause della morte. Il fatto è che hanno ridotto tutto in modo da impedire altre verifiche".

Oppure la bicicletta che la ragazza usava quel 23 novembre del ’95: "Quando l’abbiamo trovata il lucchetto nella ruota posteriore era aperto e senza chiave. Milena l’avrebbe chiusa, invece dicevano che l’aveva lasciata lei così".

E’ duro con le autorità tunisine, Matteo Milani. Ma per loro, i familiari, è quasi peggio quello che non hanno fatto le autorità italiane: "Il dottor Grande della Criminalpol era in aereo con noi, l’ultima volta. E ha fatto di tutto per scoraggiarci a indagare ancora". Ancora: l’accusa contro ministeri e investigatori è "di non aver mai chiesto nulla ai tunisini. La casa del giovane accusato infatti non l’hanno mai vista, è stata la tv a riprenderla e a consegnare il nastro a uno di noi per portarlo fuori. Altro che indagini: noi eravamo presenti, abbiamo visto cosa facevano. E cioè che erano più preoccupati di controllare noi che di indagare".

E quell’avvocato-faccendiere tunisino che appena 10 giorni fa vi disse "Ho visto Milena"? "E’ un uomo che tratta direttamente con i politici, conosce anche personaggi influenti in Italia, ha buone credenziali. Almeno credevamo. Ma degli incontri con lui erano informati anche polizia e ambasciatori. Non aveva mai parlato di soldi, caso mai, diceva, a cose fatte. Invece Milena l’hanno trovata sotto terra...".

E adesso cosa vuole, cosa chiede la famiglia di Milena? "Vogliamo sapere quando è morta veramente - sospira Matteo Milani - Vogliamo la certezza e la tranquillità sui tempi e sui luoghi. Se la ragazza è morta subito, come racconta Mounir. Oppure se è rimasta in vita ancora. E allora per noi sarebbe un omicidio di Stato".

Alessandro Mognon