Index ATTUALITA' - Maggio 1997


Amatemi o sparisco

L’anoressia è una domanda di aiuto, una richiesta di conforto e di riconoscimento di un dolore tanto forte e lacerante da non essere possibile riuscire ad articolarlo se non in un linguaggio universale che è quello del corpo

L’anoressia ha ucciso una ragazzina di 13 anni che si e lanciata in un volo di sette piani per un chilo di troppo! Così hanno titolato i maggiori quotidiani italiani sul caso della ragazza di Milano. E poi si interpellano i soliti esperti che a parere dei media ci dovrebbero illuminare sul caso: dalla celeberrima Fabiola de Clerque (fondatrice dell’ ABA) che ha fatto dell’ anoressia il suo vessillo sino a docenti universitari, a primari ospedalieri. Quando ci sono casi clamorosi come può essere il suicidio di una bambina di 13 anni hanno tutti qualcosa da dire, forse nella malcelata speranza di esorcizzare un senso di colpa latente che è più sintomo di ignoranza che altro. Si piazza la faccia di Kate Moss al centro della pagina come per dire "è tutta colpa dei modelli che ci propina la società", questa società effimera e fasulla che esalta la bellezza. Tutto questo è disgustosamente facile, peggio di chi se ne lava le mani poiché dietro a tutti questi predicatori c’è una pesante dose di ipocrisia. Quanti realmente sanno che cosa sia l’anoressia? Non certo chi usa la testimonianza di una vittima sopravvissuta come quella propinata dalla televisione che con il suo faccino dice "ora sono guarita e felice", né tanto meno questi sociologi che dall’alto della loro cattedratica conoscenza imputano tutto alla mancanza di stima di sé o ad una personalità debole.

Ma non è ancora finita: si fa anche l’identikit dell’anoressica "età compresa tra i 13 e i 18 anni, le cause: depressione, disturbi del comportamento ossessivo, dell’ organizzazione della propria personalità … , quanto può durare; periodi brevi, ma anche due anni fino a diventare cronica con disturbi che durano tutta la vita" ( cito testualmente La Stampa martedì 22 aprile ’97).
L’anoressica non è una bestia rara, questa patologia deve essere studiata in modo approfondito. Invece molto spesso si ha la presunzione di poter dire di che si tratta solo guardando i sintomi ma non sempre dove c’è fumo c’è anche l’incendio.

Sino a questo momento hanno tutti fallito, la chiave dell’anoressia non l’ha ancora trovata nessuno e tutte le scienze e le cosiddette pseudoscienze si sono rovinosamente incartate. L’anoressia non è solo un disturbo comportamentale che si esplica con il rifiuto del cibo che viene usato per sopperire a qualche mancanza, non è solo un desiderio di ottenere, tramite un visibile deperimento, un’identità negata dalle società industriali .

Tutte queste ipotesi, vere in parte(ma solo in parte) rendono confuso l’ambito della ricerca: molti ritengono di poter scorgere in questa patologia una sorta di evoluzione di altri disturbi ossessivi .

L’anoressia è una malattia vecchia come l’uomo, ma la cronaca la fa apparire come la peste che attanaglia la società contemporanea: ma è poi vero?

No, non è vero. Già ne parla la mitologia, Ovidio nelle sue Metamorfosi racconta come la sofferenza consumi il corpo di Eco, Euripide stesso nella sua Medea dice che la sofferenza procuratale dal tradimento di Giasone l’aveva fatta sciupare .

Cosa significa tutto ciò? Semplicemente che l’anoressia è una domanda di aiuto, una richiesta di conforto e di riconoscimento di un dolore tanto forte e lacerante da non essere possibile riuscire ad articolarlo se non in un linguaggio universale che è quello del corpo .

Una anoressica non è necessariamente un’adolescente, ci sono donne che maturano il loro stato di anoressia in età adulta. E fermo restando che la sindrome anoressica ha la sua controparte paradossale nella bulimia (mangiare molto e poi vomitare), i casi di anoressia puri sono rarissimi e comunque il più delle volte sostenuti da tutta una serie di farmaci che permettono di raggiungere la tristemente nota magrezza innaturale .

Con questo atteggiamento (e mi rivolgo a tutti: dai medici, ai mass-media agli educatori ed ai genitori) non riusciremo a debellare l’anoressia. Mi rendo conto comunque che buona parte di queste reazioni sono dettate da un sentimento di profonda impotenza che è ben noto a coloro che hanno esperienza diretta di questa malattia .

E’ necessario rendersi conto della complessità dell’anoressia e di come essa coinvolga interamente una famiglia al punto da stravolgerne i ritmi quotidiani, da mutarne a volte in modo radicale anche le abitudini più consolidate. L’ambiente esterno, quello degli spettatori che assistono incapaci di fermare le funamboliche attitudini dell’anoressica, deve essere educato a dare il giusto peso a tutti i messaggi che ella lancia, si deve essere consapevoli che certe pratiche alimentari nascondono una complicazione magmatica di emozioni, di sensazioni sia fisiche che psichiche che l’anoressica di volta in volta cerca di equilibrare e che sono il presidio di ogni sua certezza.

L’individualità dell’anoressica è esasperata all’ennesima potenza, la sua personalità poggia su di una forza di volontà incredibile che si traduce in tutta una serie di ordini che ella dà a se stessa, ordini ai quali sente di dover obbedire per continuare a vivere nell’unico modo che ritiene degno.

I media devono cominciare a parlare in maniera più critica e consapevole di questo problema cercando di evitare luoghi comuni o interpretazioni. L’universo dell’anoressica ha una sua ben precisa coerenza e delle regole determinate, ha degli scopi ben precisi che non si limitano al desiderio di un corpo magro al quale è destinato un’identità: quello che sono lo sanno, vogliono solo essere riconosciute .

Il suicidio è il messaggio limite del quale ella si avvale per essere finalmente vista in quel dolore che la imprigiona. E che la fa sentire una creatura esclusa da un mondo che, secondo lei, non la potrà mai veramente comprendere e quindi accogliere.

Roberta Paolini