
Amatemi o sparisco
L’anoressia
è una domanda di aiuto, una richiesta di conforto e di
riconoscimento di un dolore tanto forte e lacerante da
non essere possibile riuscire ad articolarlo se non in un
linguaggio universale che è quello del corpo
L’anoressia ha ucciso
una ragazzina di 13 anni che si e lanciata in un volo di
sette piani per un chilo di troppo! Così hanno titolato
i maggiori quotidiani italiani sul caso della ragazza di
Milano. E poi si interpellano i soliti esperti che a
parere dei media ci dovrebbero illuminare sul caso: dalla
celeberrima Fabiola de Clerque (fondatrice dell’
ABA) che ha fatto dell’ anoressia il suo vessillo sino a docenti universitari, a
primari ospedalieri. Quando ci sono casi clamorosi come
può essere il suicidio di una bambina di 13 anni hanno
tutti qualcosa da dire, forse nella malcelata speranza di
esorcizzare un senso di colpa latente che è più sintomo
di ignoranza che altro. Si piazza la faccia di Kate Moss
al centro della pagina come per dire "è tutta colpa
dei modelli che ci propina la società", questa
società effimera e fasulla che esalta la bellezza. Tutto
questo è disgustosamente facile, peggio di chi se ne
lava le mani poiché dietro a tutti questi predicatori
c’è una pesante dose di ipocrisia. Quanti realmente
sanno che cosa sia l’anoressia? Non certo chi usa la
testimonianza di una vittima sopravvissuta come quella
propinata dalla televisione che con il suo faccino dice
"ora sono guarita e felice", né tanto meno
questi sociologi che dall’alto della loro
cattedratica conoscenza imputano tutto alla mancanza di
stima di sé o ad una personalità debole.
Ma non è ancora finita:
si fa anche l’identikit dell’anoressica
"età compresa tra i 13 e i 18 anni, le cause:
depressione, disturbi del comportamento ossessivo,
dell’ organizzazione della propria personalità
… , quanto può durare; periodi brevi, ma anche due
anni fino a diventare cronica con disturbi che durano
tutta la vita" ( cito testualmente La Stampa
martedì 22 aprile ’97).
L’anoressica non è una bestia rara, questa
patologia deve essere studiata in modo approfondito. Invece
molto spesso si ha la presunzione di poter dire di che si
tratta solo guardando i sintomi ma non sempre dove
c’è fumo c’è anche l’incendio.
Sino a questo momento
hanno tutti fallito, la chiave dell’anoressia non
l’ha ancora trovata nessuno e tutte le scienze e le
cosiddette pseudoscienze si sono rovinosamente incartate.
L’anoressia non è solo un disturbo comportamentale
che si esplica con il rifiuto del cibo che viene usato
per sopperire a qualche mancanza, non è solo un
desiderio di ottenere, tramite un visibile deperimento,
un’identità negata dalle società industriali .
Tutte queste ipotesi, vere
in parte(ma solo in parte) rendono confuso l’ambito
della ricerca: molti ritengono di poter scorgere in
questa patologia una sorta di evoluzione di altri
disturbi ossessivi .
L’anoressia è una
malattia vecchia come l’uomo, ma la cronaca la fa
apparire come la peste che attanaglia la società
contemporanea: ma è poi vero?
No, non è vero. Già ne
parla la mitologia, Ovidio nelle sue Metamorfosi racconta
come la sofferenza consumi il corpo di Eco, Euripide
stesso nella sua Medea dice che la sofferenza procuratale
dal tradimento di Giasone l’aveva fatta sciupare .
Cosa significa tutto ciò?
Semplicemente che l’anoressia è una domanda di
aiuto, una richiesta di conforto e di riconoscimento di
un dolore tanto forte e lacerante da non essere possibile
riuscire ad articolarlo se non in un linguaggio
universale che è quello del corpo .
Una anoressica non è
necessariamente un’adolescente, ci sono donne che
maturano il loro stato di anoressia in età adulta. E
fermo restando che la sindrome anoressica ha la sua
controparte paradossale nella bulimia (mangiare molto e
poi vomitare), i casi di anoressia puri sono rarissimi e
comunque il più delle volte sostenuti da tutta una serie
di farmaci che permettono di raggiungere la tristemente
nota magrezza innaturale .
Con questo atteggiamento (e
mi rivolgo a tutti: dai medici, ai mass-media agli
educatori ed ai genitori) non riusciremo a debellare
l’anoressia. Mi rendo conto comunque che buona parte
di queste reazioni sono dettate da un sentimento di
profonda impotenza che è ben noto a coloro che hanno
esperienza diretta di questa malattia .
E’ necessario
rendersi conto della complessità dell’anoressia e
di come essa coinvolga interamente una famiglia al punto
da stravolgerne i ritmi quotidiani, da mutarne a volte in
modo radicale anche le abitudini più consolidate.
L’ambiente esterno, quello degli spettatori che
assistono incapaci di fermare le funamboliche attitudini
dell’anoressica, deve essere educato a dare il
giusto peso a tutti i messaggi che ella lancia, si deve
essere consapevoli che certe pratiche alimentari
nascondono una complicazione magmatica di emozioni, di
sensazioni sia fisiche che psichiche che
l’anoressica di volta in volta cerca di equilibrare
e che sono il presidio di ogni sua certezza.
L’individualità
dell’anoressica è esasperata all’ennesima
potenza, la sua personalità poggia su di una forza di
volontà incredibile che si traduce in tutta una serie di
ordini che ella dà a se stessa, ordini ai quali sente di
dover obbedire per continuare a vivere nell’unico
modo che ritiene degno.
I media devono cominciare
a parlare in maniera più critica e consapevole di questo
problema cercando di evitare luoghi comuni o
interpretazioni. L’universo dell’anoressica ha
una sua ben precisa coerenza e delle regole determinate,
ha degli scopi ben precisi che non si limitano al
desiderio di un corpo magro al quale è destinato
un’identità: quello che sono lo sanno, vogliono
solo essere riconosciute .
Il suicidio è il
messaggio limite del quale ella si avvale per essere
finalmente vista in quel dolore che la imprigiona. E che
la fa sentire una creatura esclusa da un mondo che,
secondo lei, non la potrà mai veramente comprendere e
quindi accogliere.
Roberta Paolini
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