
Anoressia
– 2a puntata
Quel
digiuno dei sentimenti
Continuiamo
il viaggio, iniziato nel numero scorso, in quel mondo
così sconosciuto e inquietante che è l’anoressia.
Che non è solo "magrezza". Perché dietro al
piatto vuoto ci sono anche abbuffate senza misura,
farmaci presi fino all’assuefazione e autolesionismo
fino al suicidio. Ma soprattutto la totale perdita di
rapporto con il mondo e con le persone, alla disperata
ricerca di dare un senso alla propria vita.
L’anoressia è stata
definita dagli studiosi di mezzo mondo come una piaga
sociale. Ma cos’è l’anoressia? E come capire
in che modo una "semplice" fissazione per la
linea di cui patisce la maggior parte delle donne possa
trasformarsi in una malattia a volte mortale ?
Non è semplice
rispondere, anche perché i più tendono a sottovalutare
l’anoressia (tanto quanto si fa con la sua
controparte, la bulimia) vedendo nel rifiuto del cibo
solo una mancanza di volontà a reagire ai problemi
connessi alla vita di tutti i giorni, siano essi
personali o sociali. Soprattutto per questo motivo può
capitare, ed è capitato, che all’interno della
stessa famiglia (dai genitori ai fratelli, fino ai
fidanzati) di una persona soggetta a disturbi del
comportamento alimentare, come possono essere
l’anoressia, la bulimia o l’alimentazione
compulsiva (fagocitare una quantità incredibile di cibo
senza coerenza : mischiando un po’ di tutto e poi
ricorrere il più delle volte a mezzi catartici come il
vomito indotto, i lassativi, diuretici) nessuno si renda
conto di ciò che sta realmente avvenendo, o meglio
consumando. Forse perché l’anoressia è
immediatamente associata alla magrezza. Così, pensano,
"se la persona non dimagrisce, vuol dire che non
c’è il problema". Ma se in parte ciò può
anche essere vero, non sempre è così. O meglio non per
tutta la durata della malattia .
In primo luogo
un’anoressica non sta perennemente a digiuno,
poiché morirebbe di inedia nel giro di poco tempo,
mentre si resta ammalati di anoressia per degli anni, a
volte per tutta la vita; secondo, ciò che rende
l’anoressico-bulimica un soggetto a rischio,
clinicamente parlando, sono le continue oscillazioni del
peso ( un’anoressica può arrivare a perdere e
recuperare fino a dieci chili in un mese), che a causa di
vomito indotto, farmaci, grandi abbuffate e lunghi
digiuni innescano tutta una serie di effetti a catena che
trascinano l’ammalato in vero e proprio circolo
vizioso. L’uso di lassativi e diuretici provoca
assuefazione (così come il vomito indotto) quindi o si
comincia ad auto-prescriversi una dose aumentata (si può
arrivare in questi casi ad ingurgitare un’intera
scatola di lassativi nel giro di una giornata, siamo alle
soglie dell’intossicazione da farmaco), o cessando
l’assunzione si può verificare il cosiddetto
effetto rebound con una ritenzione di liquidi che possono
far aumentare il peso (si tratta di acqua !) di 4-5 chili
dalla sera alla mattina . Ci si rende quindi
perfettamente conto di come ci si possa facilmente
innervosire nel vedere che tutti gli sforzi fatti per
mantenere una certa magrezza (il tipico aspetto emaciato)
vengano annullati da una ritenzione di liquidi che
l’anoressica vede come grasso .
Da qui tutta una serie di reazioni violente,
condotte nella maggior parte dei casi su se stesse (molte
anoressiche si feriscono in preda a delle vere e proprie
crisi simili a quelle epilettiche), che portano in molti
casi al suicidio. Ma non è tutto: un’anoressica è
anche un’esclusa, un’emarginata; ella sente
come precluso il mondo di quelli che mangiano, non esce
quasi mai, vive in maniera ossessiva tutti i rapporti
interpersonali, difficilmente quando ha rapporti di
natura affettiva, sentimentale, sessuale (cioè quasi
mai) è capace di viverli in maniera equilibrata .
Quindi come si può ben
comprendere da questo breve, e per molti versi incompleto
quadro, l’anoressia è ben lungi dall’essere
una vita dedicata alla dieta: al contrario se
un’anoressica fosse capace di seguire una dieta
dimagrante forse tutti questi problemi non li avrebbe. Il
suo è un disagio forte nei confronti della vita e del
senso che ella non riesce ad attribuirle, questa ricerca
di una motivazione la imprigiona letteralmente in tutta
una serie di prassi alimentari. Ma non solo alimentari.
Poiché la maggior parte delle anoressiche utilizza lo
stesso meccanismo, ripeto, anche nei confronti dello
studio, del lavoro e nei rapporti umani. Il fatto è che
la gente tende a fermarsi a ciò che è sensibilmente
visibile, per questo molti genitori quando vedono le loro
figlie finalmente un po’ più in carne credono che
ormai siano guarite, come al contrario l’anoressia
può covare per anni senza necessariamente esplicarsi nel
dimagramento e può continuare sino a diventare cronica
(secondo fasi alterne di aumento e perdita di peso).
Basti pensare che molte ragazze considerate
ex-anoressiche ingrassino sino a 20-25 chili e mantengano
questo stato di sovrappeso anche per quattro–cinque
anni e poi improvvisamente, per chi è all’esterno
della malattia s’intende, come per miracolo li perda
nel giro di qualche mese. Che bella beffa (!) per chi la
credeva guarita .
Rendiamoci conto quindi che non sempre una
persona magra è un caso di anoressia e che non basta uno
psicologo o uno psichiatra, a seconda di chi vi fidiate
di più, per risolvere un problema di portata immensa.
Perchè coinvolge una persona per gran parte della sua
vita, a volte per tutta la vita. E anche perché (con
tutto il rispetto) quanti medici o psicologi italiani
sanno veramente come risolvere questo problema? Vi
assicuro che sin tanto non si sovvenzionerà il campo
della ricerca in merito al problema e non ci si deciderà
ad aumentare il numero delle strutture specializzate nel
settore dei disturbi del comportamento alimentare, si
farà ben poca strada per riuscire ad arginare un
fenomeno di proporzioni a dir poco sconcertanti. Le
statistiche dicono che una donna su cinquanta soffre di
questi disturbi: ma di casi effettivi ce ne sono ben più
di quelli rilevati.
Roberta Paolini
|