Pinocchio,
nel paese dei (tele)balocchi
Può uno invitare a una
trasmissione - poniamo - Claudia Koll - e risentirsi se
uò lei si presenta con un'ampia scollatura? Detto
altrimenti, può uno imbastire una trasmissione di piazza
in puro stile Santoro e poi pretendere che la gente non
fischi, non rumoreggi, non parli e se parla dica quello
che vuole il conduttore?
Breve annotazione
rassicurante. Questo articolo trae spunto dalla
trasmissione di Gad Lerner a Venezia ma non ha nulla a
che fare né con la Lega, né con la brigata
ormai pluridecorata e pluricommentata. Fine
dell'annotazione. Ricomincio.
Una volta le tribune
politiche (non esisteva ancora l'espressione Talk Show e
la camicia coi baffi stentava a farsi notare, nonostante
la sua militanza in una loggia massonica ben più attiva
della brigata di cui sopra) erano serissime e grigie
trasmissioni in seconda serata, spesso moderate da un
serissimo signore di nome Jader Jacobelli. I critici
televisivi e gli altri benpensanti si levavano contro
questa rigidità espressiva, vedendovi l'equivalente
politico della rigidità istituzionale che allora
caratterizzava anche i varietà e i quiz a premi.
Da più parti si invocava
un rinnovamento del linguaggio televisivo e di quello
politico-televisivo in specifico. Anche per effetto della
nascita delle TV private qualcosa lentamente cambiò. A
un certo punto, addirittura, il cambiamento nel dibattito
politico televisivo si accelerò al punto da scavalcare a
sinistra quello degli altri generi televisivi. Tanto è
vero che oggi gli sceneggiati televisivi, pur avendo
assunto il nome più appariscente di 'fiction', sono
sostanzialmente identici nella struttura a quelli di
quarant'anni fa - l'unica differenza è che al posto di
Ugo Pagliai e Paola Pitagora vi trovate Castagna e la
Venier, fate un po' voi. Lo stesso vale per il varietà:
pur con alcune sporadiche eccezioni (i primi spettacoli
di Tognazzi e Vianello, Drive In ed Emilio negli anni
'80) la formula del dopoguerra si è conservata intatta
fino al Bagaglino.
Non lo show politico. Con
l'invenzione della piazza in studio, della baruffa a
tutti i costi inventata da Funari e Biscardi (fecero
scalpore le primi liti in diretta al suo Processo del
Lunedì) ed abilmente esportata in ambito squisitamente
politico da Santoro, lo spettacolo politico -
perché indubbiamente di spettacolo si tratta -
spiazza persino i critici più altezzosi e si pone come
vero e proprio contenitore di generi televisivi alla
faccia di Domenica In.
Siamo onesti: nessuno di
noi guarda Pinocchio o Moby Dick o Prima Serata per
conoscere le opinioni di Marini o quelle di Gasparri. Per
quelle, se anche le avessero, basterebbero due minuti.
No, si guardano - quando le si guardano, la trasmissione
dell'Annunziata è naufragata per carenza di ascolti e di
idee dopo poche puntate, quella di Santoro vivacchia su
ascolti da film bulgaro - per avere in un colpo solo un
assaggio di robe diverse che un tempo ci sarebbero volute
ore davanti al televisore per consumarle tutte: la pulp
fiction con schizzi di sangue e insulti (Bossi è una
sicurezza da questo punto di vista), la farsa
comico-folcloristico alla De Rege (i siparietti a latere
di Cacciari con il pubblico). I più lesti, come Santoro,
riescono talvolta a infilarci anche un pizzico di
spettacolino hard (memorabile la puntata de Il Rosso e il
Nero in cui Pacciani era messo a confronto con aspiranti
pornodive). Altri si accontentano della satira politica
tout court: impossibile non sbellicarsi quando Lerner, ex
di Lotta Continua (come del resto quasi tutte le cime del
giornalismo d'oggi, dall'Annunziata a Riotta fino al
povero Liguori), mostra una foto degli anni di piombo
accusando Bossi di fomentare il terrorismo armato con le
sue dichiarazioni?
Come e più di Mai dire
goal, il talk show politico pullula di macchiette:
l'amico dei magistrati, il nemico dei magistrati,
l'opinionista. Per non parlare degli imitatori: la
caricatura del comunista, quella dell'imprenditore ecc.
Ognuno ha un monologo, un pezzo forte come in ogni
rivista che si rispetti (lo stato sociale, l'Europa, il
fisco, di Buttiglione si sono viste su Blob cinque
comparsate diverse in cui diceva la stessa cosa, con le
stesse identiche parole). I grandi leader ormai snobbano
queste rassegne, delegando perlopi- gerarchetti di basso
rango (le nuove proposte, verrebbe da dire con una facile
analogia sanremese, se non fosse che nuove purtroppo non
sono: alcuni pare che lo facciano apposta a non far
carriera).
La vera conseguenza di
questa evoluzione del dibattito politico televisivo
(nonché di quella, perfettamente parallela,
dell'informazione politica) è rendere perfettamente
inutile ogni programma basato sul sovvertimento della
vecchia rigidità espressiva. A che serve Blob quando
Lerner da solo riesce a organizzare un programma così
frammentato e ubriacante? Come possono gli autori di
Striscia la Notizia inventarsi notizie più stralunate e
esilaranti della visita di Bertinotti alla City?
Il Mago Zurlì Assessore a
Milano? Di Pietro sponsor dello sci in Valtellina?
La maggioranza delle
situazioni e delle stesse immagini (Veltroni che
serissimamente da Gargonza commenta il futuro dell'Ulivo
con il Gabibbo alle spalle) è già commento, sbeffeggio
e satira di se stessa. E' questa la cosa buffa e, come
tutte le cose buffe, anche un po' tragica.
Ambrose Trotter
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