
Studiare? Un sacco bello
Il
saggio "recuperare gioia nel sapere" di Piero
Morpurgo ha ricevuto il Premio Don Lorenzo Milani -
Sezione Docenti assegnato il 31 maggio a Bassano del
Grappa e bandito con il supporto di ACLI, CISL-Scuola e
Banca di Credito Cooperativo nel trentesimo anniversario
della morte del noto priore di Barbiana
Più di trent’anni or
sono i ragazzi di Don Milani osservavano: "Quando
i laureati criticano la scuola e la dicono malata si
dimenticano d’esserne i prodotti. Hanno poppato
l’infezione fino ai 25 anni. Non sono più capaci di
pensare che possa valer qualcosa chi non ha fatto i loro
studi". Son parole che non andrebbero mai
dimenticate. Purtroppo oggi abbondano nelle aule
scolastiche i laureati dalla memoria corta: essi hanno
dimenticato di essere stati studenti; essi non rammentano
di aver frequentato le scuole di ogni ordine e grado e di
aver passato anni stupendi con le maestre e periodi
tormentati e proficui con gli insegnanti.
Viviamo in un paese di
smemorati che finge di non ricordare un’infanzia
che, densa di passioni e timori, vide l’attenta
presenza di insegnanti talora burberi e insensibili, ma
molto spesso attenti ad osservare e comprendere ciò che
accadeva attorno a loro.
Il disagio dello studente
non è certo scoperta recente e ben rammento che, in
quegli anni che son passati alla Storia per
l’esplodere della violenza giovanile e del
terrorismo, tanti -pur professando teorie estreme si
dedicarono alla lettura e alla discussione collettiva
delle Lettere dei ragazzi di Barbiana. Questi
incontri avvenivano durante le ‘ore rubate’ dei
collettivi, ma anche nei pomeriggi nelle sedi dei
sindacati come nelle stanze delle parrocchie e non era
affatto raro che a guidare questi dibattiti vi fosse
qualche insegnante. Questa attenzione al libro di Don
Milani portò a un intenso confronto tra i
‘grandi’ e i ‘piccoli’, tra coloro
che si approssimavano al diploma e quanti erano appena
usciti dalla terza media; tutto ciò alimentava molte
speranze destinate ad infrangersi in altrettante
disillusioni. Abbattersi serviva a poco, benché in un
momento di amarezza una mamma mi disse con crudele
coraggio che, a quell’età, sarebbe stato ben strano
che ognun di noi sprizzasse sempre di gioia. Era ed è
vero; non si poteva e non si può far finta che la
sensibilità che c’è in ognuno di noi non sia
soggetta allo smarrimento giovanile; è questo un
disorientamento che non potrà mai esser affrontato con
la commiserazione, semmai occorrerà operare affermando
il piacere del leggere e del conoscere.
Proprio di recente è
stato scritto che: "La felicità ha bisogno del
limite, senza diventa una corsa per raggiungere un
traguardo che subito si sposta... Ha dominato una
concezione pessimistica della vita, come di una valle di
lacrime, di una patologia dello spirito. La vita è bella
se l’uomo non la rovina, se la società non la
trasforma in una guerra dominata dalla paura e dunque da
una continua difesa che suggerisce l’attacco. La
felicità è corrispondere alle proprie esigenze, non
alle mode. Non è mai felicità il possesso delle cose, o
non può ridursi ad esso. Non è ossessione
dell’impegno, della vittoria di uno sull’altro.
La scuola non deve porsi come gara per sopraffare gli
altri. Importante è stare con gli altri e frequentare un
luogo per imparare divertendosi, scoprendo le proprie
capacità sapendo che le più importanti sono quelle che
hanno una valenza per tutti. Si deve tendere ad elogiare
la vita, a escogitare strategie per passare il tempo in
modo piacevole. Stare con gli altri senza invidia e per
dare parte di se stessi".
Pertanto dinanzi al
disagio giovanile, al rischio di smarrire uno studente e
di perdere la possibilità che sia contento di leggere e
di conoscere non si dovrà dar luogo a un compatimento
che ingenera debolezza nell’allievo. Tutt’altro
occorrerà esaltare le capacità di chi ascolta
convincendolo di quante possibilità abbia nel poter
affrontare i propri limiti.
E’ una storia antica,
e questa vicenda può essere rappresentata in classe
dalla lettura dei brani delle Confessioni di
Sant’Agostino e di quelli di Don Milani. In queste
occasioni lo studente si rende conto che il suo malessere
fu anche di altri e che può essere superato con
l’aiuto di chi insegna e la volontà di chi
apprende. Si tratta in sostanza di ‘umanizzare’
il percorso dell’apprendimento. Nella mia esperienza
ho visto quanta attenzione vi fosse in classe tutte le
volte che ho letto quel che aveva trasmesso
Sant’Agostino. Così nel leggere il ricordo delle:
"innumerevoli menzogne usate per ingannare il
pedagogo e i maestri e i genitori, tanto era grande il
mio amore per il gioco, la mia passione per gli
spettacoli frivoli... Nel gioco stesso, dominato dal vano
desiderio di eccellere, spesso carpivo arbitrariamente la
vittoria con la frode" ogni giovane lettore
avvertirà che i propri smarrimenti hanno radici tanto
lontane da essere rintracciate nella storia profonda del
pensiero dell’umanità.
Il filosofo aggiungeva poi
come fosse stato colpito da una tale smania per inseguire
il piacere da commettere ogni genere di peccati. Fu
leggendo un libro che si placò tanta intolleranza. Fu
così che si avviò alla carriera di maestro dovendo, a
sua volta, fronteggiare "l’eccessiva
libertà degli scolari, indecorosa e sregolata"
giacché essi "irrompono sfacciatamente nelle
scuole, col volto, quasi di una furia, vi sconvolgono
l’ordine instaurato da ogni maestro fra i discepoli
per il loro profitto e commettono un buon numero di
ribalderie sciocche che la legge dovrebbe punire..".
Ogni progetto di
intervento didattico volto al recupero dovrebbe
comportare il ‘ricordo’ di chi a scuola si è
trovato a disagio. Occorre umanizzare e far comprendere
che quelle difficoltà che oggi soffre uno studente in
difficoltà furono affrontate, e superate, da tanti altri
già nel passato lontano.
Qualche
‘percorso’ di recupero
Tanta insistenza sulla
storia della scuola, di cui furono protagonisti tanto Don
Milani quanto il maestro Manzi, così come Collodi e De
Amicis; può, con serenità, essere d’aiuto per
recuperare chi oggi appare non essere in grado di
studiare. L’orgoglio e la dignità
dell’apprendere si possono trasmettere anche
segnalando le difficoltà, le ansie, i timori, tanto dei
‘grandi’ del passato quanto del
‘professore’ che si trova a dover confessare i
suoi errori giovanili per recuperare quelli di chi oggi
lo ascolta dai banchi. Ecco dunque una serie di esempi (i
nomi sono inventati e in appendice si indicano le scuole
ove eventualmente effettuare i riscontri comunque da non
divulgare).
1) Quando iniziarono ad
affermarsi i progetti contro la dispersione scolastica e
per il recupero di chi era in condizioni di svantaggio
ebbi modo di notare che c’era chi si dedicava a
questo compito con un’unica arida motivazione:
l’incarico avrebbe comportato un miglioramento del
proprio orario di lavoro e un avvicinamento
all’abitazione. Il fatto era davvero inquietante e
avevo gran timore di unirmi a certi opportunisti.
Tuttavia una mattina un preside mi convocò per offrirmi
un incarico di quel tipo per 6 ore settimanali. Rifiutai
in modo ostinato raccontando ciò che avevo visto. Lui
replicò che i fatti gli eran noti, ma insistette. A quel
punto resi ben evidente che non era il mio mestiere
affrontare situazioni così delicate giacché intendevo
insegnare Italiano e Storia. Allora il preside, con uno
sguardo benigno che pregustava la vittoria, disse
"..e lei dovrà proprio tentare di trasmettere ciò
che ha appreso a chi ha più difficoltà: questo è il
suo mestiere".
Colpito, mi arresi. Il
giorno dopo entrai in una classe di I media con molta
esitazione: sapevo che il ragazzo si chiamava
‘Giovanni’ e che non scriveva.
Null’altro. Per la verità vani erano stati gli
sforzi della scuola di saperne di più. Quel che era dato
conoscere era un insieme di ‘leggende’:
abbandonato, ammalato (di che?), caratterizzato da
gravissimi disturbi dell’apprendimento (ipotizzati
da ignote strutture sanitarie), violento e comunque
incapace di esprimersi. Le ultime due caratteristiche mi
preoccuparono; ma non ero il solo. Infatti approfittando
del mio incarico un gruppo di genitori fece infinite
pressioni perché il ragazzo stesse sempre fuori dalla
classe. Queste richieste furono respinte dal coraggio
degli altri colleghi, tuttavia per quei clamori egoistici
mi fu difficile avviare il progetto di far lavorare
‘Giovanni’ assieme ad un gruppetto di altri
suoi compagni. Infatti ‘Giovanni’ fu fatto
uscire dalla classe e passò molto tempo a chiedermi se
davvero ero un professore tutto per lui. Ben presto
scoprii che nello scrivere il suo nome aveva
un’ottima corsiva tondeggiante e ben posata. Non era
possibile che ‘Giovanni’ non sapesse scrivere!
Pertanto nelle poche ore a disposizione gli illustrai
l’importanza della scrittura nella storia e come
questo strumento si fosse evoluto. L’attenzione era
discontinua, tuttavia in questi dialoghi fu evidente che
‘Giovanni’ aveva più di un interesse. Erano
‘passioni’ normali: le automobili, le canzoni,
i mondi lontani. Venne il giorno del ‘tema’ e a
quel punto mi imposi: ‘Giovanni’, nonostante le
sue paure, sarebbe dovuto tornare in classe e fare il
compito come tutti gli altri. In realtà con
l’insegnante di Italiano, affascinante nel garbo con
cui faceva lezione proprio quando si stava avvicinando al
pensionamento, concordammo di inserire nella terna dei
temi un titolo che stimolasse le passioni di
‘Giovanni’. Proseguimmo così sino alla fine
dell’anno scolastico, non senza incontrare qualche
episodio di intolleranza, fu così che allo scrutinio
finale ‘Giovanni’ fu promosso come tutti gli
altri senza attribuirgli alcun ‘vantaggio’: era
un ragazzo come tutti ed aveva superato i suoi problemi
con un intervento che può sembrar banale, ma che si
fondò sul rispetto della personalità dell’allievo.
2) ‘Luigi’ aveva
sempre il cappotto in classe e tremava. Si trattava di un
allievo appartenente alle Forze dell’Ordine che,
dopo ore di estenuante servizio, arrivava in classe
spesso febbricitante e seguiva i corsi per
studenti-lavoratori. Erano i giorni angosciosi della
guerra tra Iraq e Kuwait. Un conflitto che era solo
apparentemente lontano poiché in quei giorni vi fu,
anche a Vicenza, un intensificarsi dell’attività di
prevenzione antiterroristica. Il maggior impegno di
lavoro di ‘Luigi’ comportò una sua minore
partecipazione alle lezioni del corso serale. Fu così
che ‘Luigi’ si convinse di non essere in grado
di sostenere l’esame di maturità e si ritirò. In
seguito lo rincontrai e con non pochi sforzi lo convinsi
a proseguire gli studi. Tuttavia gli impegni di
‘Luigi’ erano sempre più pressanti e
probabilmente si sarebbe potuto ripetere
l’insuccesso precedente. Scopersi però che
‘Luigi’ poteva iscriversi a una classe quinta
come ‘frequentatore esterno’ e, grazie ad un
preside davvero gentile, concordammo un particolare
itinerario di studio. Per quanto gli fosse stato
possibile ‘Luigi’ avrebbe frequentato le
lezioni; mentre da parte mia mi impegnavo a dargli una
mano. Per un anno intero svolsi questa sorta di
volontariato: prestavo libri, assegnavo e correggevo i
temi, discutevo della storia e della letteratura
italiana. Il tutto avveniva negli orari più strani e nei
ritagli di tempo: era un impegno faticoso e appassionato
poiché in tutti i modi desideravo riscattare una certa
indifferenza che qualche collega aveva avuto nei
confronti di un allievo intelligente e davvero capace di
scrivere e di studiare. Alla fine di tanto lavoro non
solo ‘Luigi’ fu promosso, ma per di più il suo
tema fu segnalato al Provveditorato. Fu una grande
soddisfazione per tutti e due e il saperlo impegnato
nella repressione dei traffici clandestini di opere
d’arte aggiunge maggior valore a quella promozione
che sarebbe potuta giungere prima. Ebbe in regalo, non a
caso, un libro sui furti di opere d’arte in età
napoleonica. Vincemmo quella sfida insieme, per
solidarietà e per amicizia, e tuttora continua lo
scambio di libri.
3) ‘Alberto’ è
un ragazzino minuto che si nasconde dietro quattro file
di banchi. Il numero degli allievi facilitava il suo
desiderio di nascondersi. Ben presto fu chiaro che dietro
questo atteggiamento c’era una gravissima
difficoltà nell’esprimersi. Di certo la situazione
non si sbloccava continuando a segnare insufficienze sul
registro. Fu convocato il padre: un uomo immenso che
lavorava nei boschi. Spiegai la situazione e gli chiesi
la sua collaborazione: proposi che lui ascoltasse il
figliolo ogni sera mentre ripeteva un paio di pagine di
storia per non più di 5 minuti. Il papà mi rispose che
lui non ne capiva niente, che aveva lasciato le scuole
molto presto, che la sua ignoranza non gli consentiva di
far bene quel che suggerivo. Nonostante tante esitazioni
alla fine quel genitore accettò l’idea che avrebbe
potuto provare ad assumersi quel ‘compito’.
Passò circa un mese e ‘Alberto’ fu
interrogato: grazie all’aiuto del papà aveva
acquistato un’esposizione sicura e fluente e, da
quel momento, non ebbe più alcun problema. Fui contento
anche nel rivedere la soddisfazione di un babbo che era
evidentemente orgoglioso del suo impegno. Purtroppo fui
preso da una grande amarezza quando invitai una mamma a
rifare questo percorso onde aiutare il suo figliolo ed
ella si rifiutò. Fu allora che la signora, seccata, mi
rispose: "professore durante la settimana lavoro e
la domenica le mie otto orette di televisione non me le
può togliere nessuno!".
4) In classe, ad alta
voce, lo chiamavano la ‘mummia vivente’.
L’atteggiamento impietoso ed irriverente mi dava i
brividi. Eppure non c’era modo di far parlare
‘Luca’. Gli stessi genitori erano profondamente
preoccupati di questo atteggiamento del loro figliolo.
D’altra parte era difficile dedicarsi con la dovuta
attenzione al problema di ‘Luca’. In una classe
prima di 28 allievi è quasi impossibile organizzare
interventi individualizzati: queste sono le tristi
conseguenze di certi provvedimenti che intenderebbero
‘razionalizzare’ la vita scolastica. E’
pur vero che la collega incaricata di seguire gli allievi
che presentavano difficoltà nel metodo di studio si
prodigava con lodevole dedizione al problema di
‘Luca’. Tuttavia rimaneva quella
incontrollabile timidezza che impediva a ‘Luca’
di parlare. Venne poi il tempo dei fatidici, e spesso
inutili, corsi di recupero. La classe si svuotò: erano
rimasti una dozzina di allievi "recuperanti".
Era rimasta anche l’inutile sfrontatezza nei
confronti del più debole. Ancora una volta
‘Luca’ fu chiamato il ‘morto
vivente’. Il tutto veniva detto ad alta voce
compiacendosi del fatto che ogni volta che veniva
ripetuto l’epiteto ‘Luca’ diventasse
viola. Non ne potevo più. Per fortuna il caso aveva
voluto che alcuni "recuperanti" non fossero
affatto bisognosi di interventi nelle mie materie. Si
trattava di alcuni ragazzi e ragazze simpatici e di
grande disponibilità. Pensai allora che prima di
iniziare a parlare con un professore ‘Luca’
avrebbe potuto cominciare ad essere
‘interrogato’ da qualcuno di quei suoi compagni
con cui a stento scambiava un saluto. A turno un
gruppetto di studenti, dapprima singolarmente e poi in
più d’uno, subissarono di domande ‘Luca’.
Inizialmente le sue risposte erano quasi sussurrate; poi
diventarono percepibili anche dalla cattedra. Da parte
mia ebbi cura che tutto avvenisse con serenità. Fu verso
la fine della settimana di recupero che gli studenti
incaricati di trasformarsi in esigenti professori
esclamarono "Basta! Professore ‘Luca’ sa
tutto e ha risposto a tutte le domande che lei
generalmente ci rivolge." Lo sapevo perché nel
frattempo la voce di ‘Luca’ era diventata più
sicura. A ‘Luca’ e agli allievi disponibili
feci i giusti complimenti ed essi ne rimasero orgogliosi.
Fui tuttavia davvero stupito del gesto di stizza che mi
indirizzarono quegli alunni che si erano presi gioco di
chi era più in difficoltà.
5) ‘Alice’ in
classe guardava il vuoto e a casa non studiava. Pessimo
modo per iniziare a frequentare una prima superiore. Non
c’era verso di attirare la sua attenzione; un giorno
mi accorsi che tra i suoi quaderni malcompilati ce
n’era uno ben ordinato. ‘Alice’ rivelò
che scriveva poesie e con un certo tono di sfida mi
chiese se desideravo leggerle. Non mi tirai indietro e mi
accorsi che si trattava di una collezione di versi
stupendi che narravano una tormentata passione
d’amore. Chiesi allora ad ‘Alice’ di
presentare due di quelle poesie a un concorso e
selezionammo assieme quelle che sembravano più incisive.
La stessa preside ed altri colleghi rimasero
impressionati dell’efficacia delle parole scritte da
‘Alice’. Eppure la ragazza continuava a non
studiare e questo era preoccupante. In particolare mi
disse che odiava la ‘storia’.
L’espressione mi incitò a mettere in evidenza
durante le spiegazioni come anche migliaia di anni fa
l’umanità vivesse in un mondo venato da immense
passioni. Ad ‘Alice’ toccò il compito di
leggere un’edizione dei Lirici greci: ne
rimase turbata e affascinata riuscendo a spiegare ai suoi
compagni le impressioni positive e negative che aveva
maturato in quella lettura. ‘Alice’ si era
così convinta che non è tanto la ‘storia’ ad
esser brutta, ma piuttosto l’organizzazione dei
manuali. Tornarono alla mente le parole di Don Milani:
"In genere non è storia. E’ un raccontino
provinciale e interessato fatto dal vincitore al
contadino". In effetti nei manuali non c’è
quasi mai la volontà di rendere umani i protagonisti di
svelarne i sentimenti civili e religiosi. Avevano
sacrosanta ragione i ragazzi di Barbiana a protestare
perché in classe non si leggono i Vangeli e,
aggiungo, l’ Antico Testamento. La verità di
quella protesta è ancora attuale: ogni qual volta mi
accingo a spiegare le origini del pensiero filosofico
chiedo alla classe di portare la Bibbia per
leggere assieme almeno i primi passi della Genesi.
Quasi sempre mi vien risposto che a casa quel
‘libro’ non c’è. E’ il segno di un
degrado che ha origini antiche e che andrebbe colmato.
Nel frattempo
‘Alice’ continua ad essere distratta; tuttavia
è consapevole di essere stata incoraggiata e contenta di
aver avuto un segno di stima. A poco a poco studierà.
6) Purtroppo non è
affatto detto che ogni azione di recupero abbia sempre
successo. Torna alla mente quell’anno in cui con la
professoressa di scienze) avviammo un percorso
‘interdisciplinare’ per spiegare i diversi
aspetti -biologici e storici- della struttura di una
società. Gli studenti allora già in prima si
presentavano decorati di croci uncinate e tra le ragazze
c’era chi ostentava anelli con teschi ed altri cupi
segni di morte. In tanti avevano deciso di imitare un
programma televisivo davvero diseducativo: si mangiava in
classe durante la lezione e i banchi erano ricoperti di
lattine invece che di quaderni. Non fu facile tentare di
spiegare quale fosse il senso della trasmissione della
cultura e dei valori morali; così come fu davvero
un’impresa rappresentare il concetto del
‘lavoro’ tanto nella società umana quanto in
quelle animali. Operavamo contro un muro di indifferenza
che talvolta lasciava sgomenti. Ci fu chi scrisse su un
tema: "io da grande farò la mantenuta" e
illustrò ben bene, con dovizia di particolari, le
‘tecniche’ per raggiungere questo scopo. In
molti esaltavano le loro abitazioni piene di ogni
elettrodomestico avveniristico, ma del tutto prive di
libri poiché anche quelli scolastici venivano lasciati a
scuola giacché "impicciavano".
Quel che più destò
amarezza fu la reazione di altri colleghi che ci chiesero
un po’ stupiti: "perché vi affannate tanto ?
quegli atteggiamenti sono ‘mode’ patrimonio di
tutti i giovani!". Saranno state pure
‘mode’; tuttavia rimaneva il fatto che, con
quell’agire, si tollerava un clima degradante e alla
fine ciò che più colpì è che vinse la paura: chi si
era comportato in modo intimidatorio fu promosso, mentre
si infierì su quei pochi che avevano cominciato a capire
che a scuola si studia e che leggere è divertente ed
anche utile. Una di queste ragazze fu bocciata e
abbandonò definitivamente la scuola, eppure lei si era
resa conto dei suoi limiti e aveva cominciato a studiare;
purtroppo si trovava fuori da quel ‘coro
scanzonato’. E’ pur vero che nella classe
accanto i ragazzi scatenati nell’ostentare la loro
‘nuova’ volontà di trasgressione accettarono
la sfida di vedere se, nel passato, vi fossero state
passioni simili. Leggemmo assieme l’ Assomoir
di Zola scoprendo che la storia era fatta di tensioni che
spesso mostrano intensi punti di contatto con sogni e
speranze giovanili (in altre classi avevo già fatto
leggere Il ritratto di Dorian Gray di Wilde e
persino Le affinità elettive di Goethe sempre con
l’intento di svelare quanto sia radicato il tormento
dell’animo umano). Non solo. In particolare in
quella classe lavorammo in maniera accanita perché
-spiegai loro- l’adagiarsi su livelli minimi di
conoscenza non porta alcun vantaggio. Quando poi venne il
giorno di riconsegnare i compiti svolti chiesi alla
preside di esser presente in classe poiché non solo la
quasi totalità degli allievi si era mostrata ben
preparata; ma per di più in molti avevano riportato
giudizi eccellenti. La stessa preside confidò agli
studenti che non sarebbe stata in grado di rispondere a
molte delle domande proposte.
L’azione di
recupero oggi
Combattere la dispersione
scolastica sembra esser diventato l’impegno
prioritario di ogni istituto. In verità sarebbe stato
bene chiamare questi progetti in modo meno ambiguo; forse
sarebbe stato meglio proporre: ‘programma per
appassionare allo studio’. E’ tuttavia un
enunciato che farebbe paura agli stessi insegnanti.
E’ pur vero che proprio questo è il punto: oggi
abbiamo un panorama scolastico ove per ‘far star
bene’ l’allievo si susseguono le iniziative
ludiche e solo di rado si stimola la concentrazione
individuale, l’acquisizione di un sapere critico,
l’amore per il confronto. A questo proposito non si
può far a meno di osservare che i ragazzi di Barbiana
annotavano con acume che non di giochi essi avevan
bisogno, bensì di stimoli critici. Allora scrissero agli
insegnanti: "L’altro ostacolo che non
rimuovete sono le mode....In paese pesano...tutte le mode
fuorché quelle buone.
Chi non le accetta si
isola ... Come se non bastassero le voglie che abbiamo
dentro. Le mode hanno detto (al giovane) che i 12-21 anni
sono l’età dei giochi sportivi e sessuali,
dell’odio per lo studio. Gli hanno nascosto che i
12-15 anni sono l’età adatta per impadronirsi della
parola. I 15-21 per usarla nei sindacati e nei partiti". Allora quei ragazzi concludevano
invitando gli insegnanti a difenderli contro le
‘mode’ e questo è un messaggio tuttora valido.
Quelle righe dovrebbero
far riflettere tutti: insegnanti, genitori e studenti e
quella lettura andrebbe accompagnata dalle considerazioni
di chi ancor prima intuì quanto grande sia il rischio
della perdita della possibilità di concentrazione
individuale. Allora alla vigilia di una notte tremenda
per la storia europea, si denunciava "l'universale
indebolimento del raziocinio e lo sradicamento della
legge morale". Suscitava preoccupazione profonda
"il meccanismo dei moderni divertimenti di massa"
e la possibilità che essi fossero un impedimento alla
concentrazione poiché "la suggestibilità visiva
sempre pronta è il punto attraverso il quale la
pubblicità afferra l'uomo moderno, e lo colpisce nel
lato debole della sua diminuita capacità di giudicare.
Questo vale ugualmente per la pubblicità commerciale
come per la propaganda politica". Non sarebbe
davvero inopportuno che le linee di un progetto per il
recupero della gioia del sapere ripartissero da queste
ultime considerazioni.
Piero Morpurgo
|