Corso di scrittura a puntate (10)
Le precedenti
puntate del corso di scrittura narrativa hanno
trattati questi argomenti: lincipit (Nautilus,
agosto 1996); la voce narrativa (Nautilus, settembre
1996); la molteplicità del personaggio (Nautilus,
ottobre 1996); la redazione dei giochi di ruolo
(Nautilus, novembre 1996); come si scrive un racconto
cannibale (Nautilus, dicembre 1996); ci sono regole nella
scrittura? (Nautilus, gennaio 1997); elementi di metrica
(Nautilus, febbraio 1997); libri da leggere per scrivere
(Nautilus, marzo 1997); una riflessione sui corsi di
scrittura creativa (Nautilus, aprile 1997).
In questa puntata
anticipiamo parte di un capitolo, dedicato alla descrizione,
del Ricettario di scrittura creativa, a cura di
Stefano Brugnolo e Giulio Mozzi, pubblicato presso le
edizioni Theoria (300 pp., L. 18.000). Il Ricettario
è il primo volume di una collana a basso prezzo (i Ritmi
Scrittura) tutta dedicata allo scrivere.
Contemporaneamente al Ricettario saranno in
libreria (a fine maggio, dopo il Salone del Libro di
Torino): Il mestiere di scrittore, un
libro-intervista a Pier Vittorio Tondelli, a cura di
Fulvio Panzeri (si tratta di una riedizione notevolmente
aumentata del libro con il medesimo titolo pubblicato
qualche anno fa da Transeuropa e ormai esaurito); Nel
territorio del diavolo, di Flannery OConnor
(ristampa). Seguiranno: Come sono diventato uno
scrittore di thriller, di Carlo Lucarelli, Che
cosa vogliono gli editor, a cura di Silverio Novelli,
una Guida alle scuole di scrittura in Italia, un
secondo Ricettario dedicato alla scrittura in
versi, Istruzioni per luso delle poesie
damore di Giuseppe Caliceti, ed altri titoli.
Limportanza
della descrizione
Esempi: Una mattina
in piazza Saint-Sulpice (G. Perec). Istantanee
metropolitane (A. Robbe-Grillet). Lilluminazione
improvvisa (J. Joyce). Un viaggio in un luogo vicinissimo
(G. Celati). Un viaggio dentro la propria stanza (X. de
Maistre). Cose che fanno paura (E. A. Poe). Quando il
pane diventa le Ande (F. Ponge). Come cucinare un uovo
sodo (E. Jonesco). Dipinti animati (G. Longhi).
Raccontare una storia a partire da un quadro (I.
Calvino).
Che cosa è più
importante? La descrizione o la narrazione? Rispondiamo:
descrizione e narrazione insieme. A chi dice che quando
legge un libro salta le descrizioni rispondiamo
che spesso è proprio dai luoghi, dagli oggetti, dalle
immagini che la storia nasce. Ed è descrivendo, e
lavorando sul materiale della descrizione, che si capisce
che cosa vuol dire quelle frase trita e ritrita che dice:
"il romanziere dà una visione del mondo".
Ricordiamoci che anche dio, quando fece il mondo,
cominciò dal paesaggio: luomo e la donna
arrivarono, buoni ultimi, nel sesto giorno. Se vogliamo
imparare a raccontare dobbiamo comportarci un po
come dio: cominciare dal paesaggio. Non necessariamente
dal paesaggio naturale: anzi cominceremo dal paesaggio
urbano (piazza, metropolitana, paese), poi ci spingeremo
nel paesaggio domestico (la stanza) e infine approderemo
ai grandi dominatori del paesaggio contemporaneo: gli
oggetti, i manufatti umani.
Descrivere
luoghi
Una
mattina in piazza Saint-Sulpice
Chiunque voglia scrivere e
non sappia da dove cominciare sappia che ha una
grandissima opportunità: può partire dal pezzettino di
mondo che si trova sotto il naso, può prendere un
quaderno e cominciare a descrivere questo pezzettino di
mondo con la pazienza di un bambino che stila i suoi
primi pensierini: dalla mia finestra vedo un albero e un
gatto e una donna che passa e... Sembra una sciocchezza,
e invece non lo è: niente è più difficile che
descrivere il mondo. Lo scrittore francese Georges Perec
tentò una volta di descrivere (anzi di
"esaurire", ossia descrivere completamente) un
luogo di Parigi: piazza Saint-Sulpice. Si è seduto al
tavolino dun bar, ha ordinato qualcosa, ha tirato
fuori il quaderno e ha cominciato a nominare ed enumerare
tutto ciò che vedeva, tutto ciò che passava di là.
Sentiamolo:
il giorno: 18 ottobre
1974
lora: 12 e 40
il luogo: Bar del
Municipio
diverse decine, diverse
centinaia di azioni simultanee, dei microeventi, ognuno
dei quali implica delle posizioni, degli atti motori, dei
dispendi specifici di energia:
discussioni a due,
discussioni a tre, discussioni a più persone: il
movimento delle labbra, i gesti, le mimiche espressive
forme di locomozione:
cammino, veicolo a due ruote (senza motore, con motore),
automobili (macchine private, macchine aziendali,
macchine da noleggio, autoscuola), utilitarie, servizi
pubblici, trasporti cumulativi, pullman di turisti
forme di trasporto (in
mano, sottobraccio, sulla schiena)
forme di trazione
(carrellino per la spesa)
gradi di determinazione
o di motivazione: aspettare, bighellonare, andare piano,
vagabondare, andare, correre verso, precipitarsi (verso
un taxi libero, ad esempio), cercare, oziare, esitare,
camminare con passo deciso
posizioni del corpo:
seduti (negli autobus, nelle macchine, nei bar, sulle
panchine)
in piedi (accanto alle
fermate dellautobus, davanti a una vetrina
(Laffont, pompe funebri), accanto a un taxi
(nellatto di pagare)
Tre persone aspettano
accanto alla stazione dei taxi. Ci sono due taxi, i
conducenti non ci sono (taxi con linsegna coperta
da un cappuccio)
Tutti i piccioni si
sono rifugiati sulla grondaia del municipio
Passa un 96. Passa un
87. Passa un 86. Passa un 70. Passa un furgone
"Grenelle Interlinge".
Momento di calma. Non
cè nessuno alla fermata degli autobus.
Passa un 63. Passa un
96.
Una giovane donna è
seduta su una panchina, di fronte al negozio di
tappezzerie "La demeure"; sta fumando una
sigaretta.
Ci sono tre motorini
parcheggiati sul marciapiede davanti al bar
Passa un 86. Passa un
70.
Alcune macchine si
infilano nel parcheggio sotterraneo.
Passa un 63. Passa un
87.
E luna e
cinque. Una donna attraversa correndo il sagrato della
chiesa.
Un fattorino in giacca
bianca esce dal suo furgoncino fermo davanti al bar dei
gelati; andrà a consegnarli in rue de Canettes.
Una donna tiene in mano
una baguette.
Passa un 70.
(solo per caso riesco a
veder passare, dal posto che occupo, gli autobus della
linea 84 sullaltro lato della piazza)
Le macchine seguono
delle linee di traffico evidentemente privilegiate (senso
unico per me da sinistra a destra); è molto meno
sensibile per i pedoni: parrebbe che la maggior parte di
loro vadano in rue des Canettes o ne provengano.
Passa un 96.
Passa un 86. Passa un
87. Passa un 63.
Persone inciampano.
Microincidenti (1).
Istruzioni per
luso. 1) Allinizio siamo disorientati,
poi ci prende una strana emozione: lemozione che ci
cattura davanti alle istantanee che fissano i momenti
banali ma irripetibili della vita: quelluomo che
sorride, quella donna che si sistema una scarpetta, quel
gesto, quellincontro, quel bacio,
quellespressione sono esistiti, ci sono
stati una volta almeno nel tempo e nello spazio.
Descrivere tutto ciò con pazienza ed umiltà è già un
gesto damore verso il mondo che passa,
verso tutti noi che passiamo. Il consiglio
perciò è semplice: provate a fare come Perec. Dovunque
voi siate, in qualsiasi luogo del globo (anche sul
terrazzino di casa), mettetevi comodi e annotate tutto
quello che i vostri occhi vedono. Tornate magari più
volte nello stesso luogo, in stagioni diverse, in ore
diverse, in anni diversi. Potrete stabilire degli utili
raffronti. 2) Ciò che Perec in realtà descrive è, più
che la piazza Saint-Sulpice, il suo modo di osservare il
mondo. La descrizione mette in luce, nascostamente, il
descrittore. Provate a descrivere lo stesso luogo in più
persone, senza consultarvi, e poi confrontate i vostri
testi. Farete scoperte.
Istantanee
metropolitane
Se la descrizione secondo
Perec è essenzialmente losservazione di un luogo nel
tempo, Alain Robbe-Grillet ci propone invece di
inquadrare una scena e di scattare unistantanea.
Questa è stata "scattata" in un corridoio
sotterraneo della metropolitana di Parigi:
Una folla rada di gente
affrettata che cammina tutta alla stessa velocità, lungo
un corridoio sprovvisto di passaggi laterali, limitato da
una parte come dallaltra da un gomito, ad angolo
ottuso, che però maschera interamente le uscite
terminali, e i cui muri sono ornati da manifesti
pubblicitari tutti identici che si succedono a intervalli
regolari. Essi rappresentano tutti un volto di donna,
alto lui solo quasi come una delle persone di taglia
comune che gli sfilano davanti, con un passo rapido,
senza voltare lo sguardo.
Questa figura gigante,
dai capelli biondi e ricciuti, dagli occhi inquadrati da
ciglia molto lunghe, dalle labbra rosse, dai denti
bianchi, si presenta di tre quarti, e sorride guardando i
passanti che si affrettano e la sorpassano luno
dopo laltro, mentre al suo fianco, sulla sinistra,
una bottiglia duna bibita gassosa, inclinata di
quarantacinque gradi, gira il suo collo verso la bocca
semiaperta. La legenda è scritta in corsivo su due
linee: la parola "ancora" posta al di sopra
della bottiglia, e le due parole "più pura" al
di sotto, nella parte bassa del manifesto, su di
unasse obliquo leggermente ascendente.
Sul manifesto seguente
si ritrovano le stesse parole allo stesso posto, la
stessa bottiglia inclinata il cui contenuto è pronto a
riversarsi, lo stesso sorriso impersonale. Poi, dopo uno
spazio vuoto coperto di ceramica bianca, la stessa scena
ancora, fissata nel medesimo istante in cui le labbra
savvicinano al collo della bottiglia e al liquido
che sta per scorrere, davanti al quale le stesse persone
affrettate passano senza voltare la testa, continuando il
loro cammino verso il manifesto seguente.
E le bocche si
moltiplicano, e le bottiglie, e gli occhi grandi come
delle mani in mezzo alle lunghe ciglia curve. E,
sullaltra parete del corridoio, gli stessi elementi
si riproducono ancora con esattezza (con questa
differenza che le direzioni dello sguardo e del collo
della bottiglia vanno nel senso inverso), mentre
dallaltra parte si succedono a intervalli costanti
le sagome scure dei viaggiatori, che continuano a
sfilare, in ordine sparso ma senza interruzione, sul
fondo blu-cielo dei pannelli, fra le bottiglie color
rossastro e i volti rosa dalle labbra disgiunte. Ma,
proprio un po prima della svolta a gomito, il loro
passaggio è disturbato da un uomo immobile, a un metro
circa dal muro di sinistra. Il personaggio è abbigliato
dun abito grigio, un po stinto, e tiene nella
mano destra che pende lungo il corpo un giornale piegato
in quattro. Sta contemplando la parete. Nonostante la
taglia enorme del disegno e gli scarsi dettagli di cui
sorna, il volto dello spettatore si sporge in
avanti, come per veder meglio. I passanti devono
scostarsi un poco dalla loro traiettoria rettilinea al
fine di aggirare questo ostacolo inatteso; quasi tutti
passano per dietro, ma alcuni, accorgendosi troppo tardi
della contemplazione che stanno per interrompere, o non
volendo cambiare direzione di marcia per così poco, o
perché non si rendono conto di nulla, si fanno avanti
fra luomo e il manifesto, del quale intercettano
allora lo sguardo(2).
Istruzioni per
luso. 1) Limportante è essere
indifferenti. Tutti gli oggetti cadono dentro il nostro
campo visivo come cadrebbero dentro lobiettivo
fotografico: noi non stabiliamo gerarchie, siamo più
passivi che possiamo. Guardiamo la scena come se fosse un
universo a sé stante, del quale ignoriamo la forma e le
leggi. Degli oggetti coglieremo la superficie, ma non il
significato. Leffetto finale è di piattezza e,
stranamente, di quasi incomprensibilità. 2) In modo
molto evidente Robbe-Grillet cerca di far sparire il
descrittore. Tuttavia riesce a farci sentire in modo
molto forte una cosa: che è appunto il descrittore a
mettere ordine nel mondo, ad assegnare il significato ad
ogni oggetto che appare. Il mondo, abbandonato a sé
stesso, è un caos.
Lilluminazione
improvvisa
Somigliano alle istantanee
ma sono altra cosa; le ha teorizzate nientemeno che James
Joyce e sono le epifanie. Il senso originario
della parola "epifania", che è greca, è:
"manifestazione". Mentre listantanea si
limita volontariamente alla superficie delle cose,
lepifania sembra voler cogliere un senso nascosto.
La scena che ci viene presentata è di per sé
insignificante, ma vi si sente dentro la prossimità di
una illuminazione improvvisa, della manifestazione
dun qualcosa ignoto. Così lo stesso Joyce tenta di
spiegare la faccenda:
Una signorina stava
ritta sui gradini di una di quelle scure case di mattoni
che sembravano lincarnazione della paralisi
irlandese. Un giovanotto sappoggiava alla ringhiera
arrugginita del recinto davanti a casa. Stephen passando
udì un frammento di colloquio da cui ricevette una
impressione così acuta da colpirlo.
La Signorina (modulando
discretamente): "Oh sì sono stata... in chie...
sa".
Il Giovane (sussurrando
impercettibilmente): "Io... " (ancora più
impercettibilmente) "io... ".
La Signorina (piano):
"Oh... ma voi sie... te... mol... cattivo".
Questa banale scenetta
lo fece pensare alla possibilità di raccogliere molti di
quei momenti in un libro depifanie. Per epifania
intendeva Stephen unimprovvisa manifestazione
spirituale, o in un discorso o in un gesto o in un giro
di pensieri, degni di essere ricordati. Stimava cosa
degna per un uomo di lettere registrare queste epifanie
con estrema cura, considerando che erano attimi assai
delicati e evanescenti
Altrove Joyce parlerà di
"drammi minimi", istantanee colte al volo e in
cui losservatore crede di potere avere
unintuizione piena e completa di una realtà, per
banale che sia. Si tratta di cogliere la scena come
ununità, una cosa organizzata, che ha un
suo punto speciale intorno a cui ruota tutto. Di
questo punto speciale il poeta T.S. Eliot ha detto che si
tratta del "punto fermo del mondo che ruota".
In parole più semplici diremo che si tratta di attimi in
cui ci pare di cogliere la bellezza e purezza del mondo
che è quello che è. Alcuni brevi esempi di epifanie
joyciane:
I ragazzi rimasti per
ultimi si infilano le loro cose per tornare a casa
poiché la festa è finita. Questo è lultimo
omnibus. Gli ossuti cavalli rossicci lo sanno e scrollano
le campanelle nella notte limpida, come avvertimento. Il
bigliettaio parla con il conducente; tutti e due
accennano spesso col capo alla luce verde del fanale. Non
cè nessuno vicino. Sembriamo in ascolto, io sul
gradino più alto e lei sul più basso. Diverse volte,
fra una frase e laltra, lei sale sul mio gradino e
ridiscende, e un paio di volte mi rimane accanto,
dimenticandosi di ridiscendere, e poi scende di nuovo...
(3)
Nuvole grevi hanno
coperto il cielo. Allincrocio di tre strade,
davanti a un greto paludoso, è sdraiato un grosso cane.
Di quando in quando alza il muso al cielo ed emette un
lungo ululato doloroso. La gente si ferma a guardarlo e
poi prosegue; alcuni sostano, trattenuti. forse, da quel
lamento in cui credono di udire lespressione del
loro stesso dolore che un tempo ebbe voce ma che ora è
muto, servo della fatica quotidiana. Comincia a piovere
(4).
Due donne in lutto si
fanno strada fra la gente. La ragazzina, aggrappata con
una mano alla sottana della donna, si spinge avanti. La
sua faccia è una faccia di pesce, scolorita, cogli occhi
obliqui; la faccia della donna è piccola e quadrata, la
faccia di una che tira sul prezzo. La ragazzina,
storcendo la bocca, alza gli occhi verso la donna per
vedere se è il momento di piangere; la donna,
rassettandosi un cappelluccio schiacciato, si affretta
verso la cappella del cimitero (5).
Istruzioni per
luso. Cerchiamo nella nostra memoria un
avvenimento non importante di per sé ma che ci sia
rimasto impresso. Proviamo a raccontarlo con il minimo di
parole possibile e in termini puramente descrittivi
(senza, per così dire, metterci del nostro). Forse lì
cè (può esserci) unepifania.
Un
viaggio in un luogo vicinissimo
Un giorno lo scrittore
italiano Gianni Celati si è munito pure lui di un
quaderno e ha percorso a piedi, in pullman e in autostop,
un tragitto che snodandosi lungo il Po porta fino alla
sua foce. Si pensa sempre che solo i viaggi esotici siano
interessanti; invece un viaggio in territori vicini può
riservarci sorprese anche più grandi.
Raggiunto San Daniele
Po, passando accanto a suinifici, macelli di polli,
allevamenti industriali di bovini. Sbarcato nel bar
centrale ho telefonato agli amici dellinsegnante di
matematica, per dire che arrivo presto. Ma sono solo le
quattro e mezza, ho voglia di starmene per conto mio.
La piazzetta con gli
alberelli stenti e un distributore di benzina chiuso,
sulla destra il Cinema Splendor in una malmessa palazzina
con facciata a gradini (aperto il giovedì), e
laltro bar proprio attaccato sulla sinistra con
ragazzi stravaccati nelle sedie allaperto. Accanto
a me una ragazza punk molto grassa, jeans stracciati e
giubbetti di cuoio, beve Cocacola in lattina; un vecchio
contadino dalle guance rubizze la guarda; un bambino
anche lui molto grasso si succhia in solitudine un enorme
gelato; il barista, giovane, baffuto, arriva con scritta
sulla maglietta: From the East Coast of Amerika.
Intorno cè un
grande sonno che avvolge quartieri di villette a forma di
modellini, una chiesa falso-gotica forse costruita in
epoca fascista, le due strade dove passano poche
macchine. Cè sonno nelle rogge e sulle sponde
invase dalle ortiche, negli alberi avvolti dal rampicante
convolvolo, in un cimitero di morti dimenticati che ho
visto passando, e anche nelle decalcomanie attaccate ai
vetri di questo bar, con le facce di Marilyn Monroe, Jim
Morrison, David Bowie.
Ho sfogliato un
giornale locale abbandonato sul tavolo: non riporta
nessuna notizia, parla solo di nascite, morti, battesimi,
matrimoni, bandi dasta. Mi è venuto da voltarmi
per vedere che tipi sono i lettori di quel giornale, ed
era gente che sta quieta in un bar di campagna aspettando
che passi il tempo (6).
Istruzioni per
luso. 1) Ha scritto Celati:
"unintensa osservazione del mondo esterno ci
rende meno apatici (più pazzi o più savi, più allegri
o più disperati)". Ecco la formula giusta:
osservare intensamente il mondo; non distogliere
gli occhi. Se la noia o la distrazione non ce lo
impediscono, noi vediamo davvero le cose e i
nostri simili, e limpressione sarà volta a volta
di fascinazione o repulsione, mai di indifferenza. 2)
Celati ha adottato una forma di descrizione più
articolata di quella di Perec. Il suo è infatti un
discorso ampio e organizzato. Inoltre non rinuncia ad una
forma sia pur minima di interpretazione del reale; non
rinuncia cioè a far trapelare i suoi sentimenti di
osservatore coinvolto dalle cose che osserva.
Esercizi.
Prendetevi qualche giorno di vacanza e andate in luoghi
vicini a casa vostra, ma che non siano però proprio casa
vostra. Andate a piedi, in bicicletta, in corriera;
entrate nei bar, sostate nelle piazze, gettate uno
sguardo dentro ai giardini, ai cortili, ai cimiteri;
ascoltate ciò di cui la gente parla, ma soprattutto
cercate di osservare tutto con occhi estranei: con
gli occhi di uno straniero; o, se preferite, con gli
occhi di uno che torna a casa dopo anni di lontananza.
Astenetevi però dal giudizio. Riconoscete e abbandonate
i pregiudizi (non i sentimenti, che però devono essere
trattenuti, appena accennati). E guardate, guardate...
Un
viaggio dentro la propria stanza
Gli oggetti che abbiamo in
casa a noi racchiudono una sostanza indefinibile fatta di
tempo passato, ricordi, immagini che agli oggetti si sono
appiccicate. Per mezzo dei nostri oggetti possiamo allora
raccontare il romanzo (o i romanzi) della nostra vita.
Ecco come ci ha provato lo scrittore settecentesco Xavier
de Maistre, il cui romanzo si intitola
programmaticamente: Viaggio intorno alla mia stanza:
Ho iniziato e portato a
termine un viaggio di quarantadue giorni in giro per la
mia stanza. Le interessanti osservazioni che ho fatto, e
il piacere continuo provato lungo il cammino, mi facevano
desiderare di renderlo pubblico; la certezza
dessere utile mi ci ha spinto. Provo un sentimento
di soddisfazione inesprimibile quando penso
allinfinito numero dinfelici ai quali offro
un rimedio sicuro contro la noia, e un lenitivo per i
mali che devono sopportare. Il piacere che si gode
viaggiando nella propria stanza è al riparo
dallinquieta gelosia degli uomini; è indipendente
dalla fortuna. [...].
Quando viaggio nella
mia stanza, raramente percorro una linea retta: vado dal
tavolo verso un quadro posto in un angolo; da là mi
muovo in senso obliquo per andare alla porta; ma,
benché partendo la mia intenzione sia proprio
quella di recarmici se lungo il percorso incontro la
poltrona, non faccio complimenti, e mi ci accomodo
allistante. - Una poltrona è davvero un arredo
magnifico; in particolare è della massima utilità per
ogni uomo meditativo. Nelle lunghe serate invernali, è
qualche volta dolce, e sempre prudente distendervisi
mollemente, lontano dal chiasso delle riunioni numerose.
- Un buon fuoco, qualche libro, delle penne; quante
risorse contro la noia! E ancora che piacere dimenticare
libri e penne per attizzare il fuoco, abbandonandosi a
qualche dolce meditazione, o buttando giù qualche verso
per rallegrare gli amici! Le ore scivolano allora su di
voi e cadono in silenzio nelleternità, senza farvi
sentire il loro triste passaggio.
Dopo la poltrona,
procedendo verso il nord, si scopre il letto, che è
posto in fondo alla stanza, e crea la più gradevole
delle prospettive. E disposto nel modo più felice:
i primi raggi del sole vengono a trastullarsi sulle
cortine. - Nelle belle giornate destate, li vedo
avanzare lungo la parete bianca, man mano che salza
il sole vengono a trastullarsi sulle cortine.- Nelle
belle giornate destate, li vedo avanzare lungo la
parete bianca, man mano che salza il sole: gli olmi
che stanno davanti alla mia finestra li rifrangono in
mille modi, e li fanno ondeggiare sul mio letto color di
rosa e bianco, che diffonde dappertutto una luce
incantevole nata dal loro riverbero. - Sento il garrire
confuso delle rondini che si sono impossessate del tetto
di casa, il cinguettio degli altri uccelli che abitano
negli olmi: allora mille idee ridenti colmano il mio
spirito; e, nelluniverso intero, nessuno ha un
risveglio altrettanto piacevole e tranquillo del mio (7).
Istruzioni per
luso. De Maistre ottiene leffetto di
"dilatare" lo spazio della sua stanza,
ricavandone in continuazione materia descrittiva e
narrativa. Come ha fatto? 1) Innanzitutto ha diviso il
viaggio in tappe. Non esiste viaggio senza tappe: le
tappe scandiscono lo spazio, il tempo, i ritmi narrativi
e descrittivi. 2) Ha diviso lo spazio in regioni, e ogni
regione in parti più piccole: la moltiplicazione delle
divisioni permette di isolare gli oggetti e i luoghi,
così da dedicare a ciascuno unadeguata quota di
attenzione. 3) Ogni oggetto che compare nella narrazione
è carico di tempo trascorso, di sentimenti e immagini.
De Maistre non rinuncia a nulla, spreme i suoi
oggetti fino a cavarne tutta la materia interna. 4) De
Maistre sa benissimo che il viaggio dentro la stanza è,
in realtà, un semplice pretesto, una struttura per
raccontare qualcosa. Pertanto è sempre pronto alla
divagazione e non si fa ossessionare dallangustia
dello spazio e dallincombere degli oggetti.
Esercizi. Ecco un
programma di viaggio proposto dalla nostra agenzia e
suddiviso per tappe: 1) la stanza da letto, cioè il
risveglio, ma anche la notte, dunque un luogo di sogno,
damore, dozio; 2) il bagno, luogo di
intimità, di segreti, di concentrazione, di letture; 3)
la cucina e cioè il piacere del cibo, il
confronto-scontro con gli altri familiari, i muri
impregnati di odori; 4) il salotto e cioè le
conversazioni, gli incontri con gli amici, le feste, la
grande e comoda poltrona, i tappeti morbidi, i quadri
appesi alle pareti; continuate da voi il vostro viaggio
avventurandovi (eventualmente consultate Avventure nel
mondo) fino alla cantina o alla soffitta.
Cose che
fanno paura
Losservazione
accurata può svelare il lato inquietante degli oggetti.
Gli scrittori del genere cosiddetto nero (o noir,
o thriller...) sono maestri in questo tipo di
descrizioni. Il fondatore e maestro di questo genere è
Edgar Allan Poe. Ecco una classica descrizione "de
paura" dal suo racconto La caduta della casa
degli Usher. Il protagonista si è recato in visita
ad un amico. Arriva davanti alla casa:
Non so come, ma appena
la ebbi guardata una sensazione di insopportabile
tristezza mi prese lanima... Guardavo la scena che
mi stava davanti: e lo spettacolo della casa e del
paesaggio allintorno, le fredde mura, le finestre
come vuote orbite, i radi filari di giunchi e alcuni
bianchi tronchi rinsecchiti, mi davano un avvilimento
estremo... Era un gelo nel cuore; e una oppressione, un
malessere, e nella mente un invincibile orrore, che la
rendeva inerte ad ogni stimolo della fantasia. Che cosa,
dunque, mi soffermai a pensare, rendeva tanto penosa la
contemplazione della casa degli Usher? Ma rimaneva un
mistero insolubile... condussi il cavallo sulla riva
scoscesa dun lugubre stagno dacque morte che
si stendeva, nel suo nero luccicore presso la dimora; e
guardai, ma ne ebbi un tremito ancora più profondo;
guardai, riflesse, capovolte, le immagini dei giunchi di
cenere, dei tronchi sinistri e delle finestre simili ad
occhi vuoti... quando sollevai di nuovo lo sguardo dal
riflesso nello stagno verso la casa, subii una bizzarra
immaginazione, così ridicola, davvero, che ne parlo
soltanto per mostrar limpeto delle sensazioni che
mopprimevano. La mia fantasia era così eccitata
che credetti di notare intorno alla proprietà
unatmosfera particolare, "sua" e degli
immediati dintorni, unatmosfera diversa da quella
del cielo, ma che esalavano gli alberi intristiti, e la
muraglia grigia e la silenziosa palude, una vaporosità
pestilenziale e mistica, appena visibile ma fosca, inerte
e color di piombo.
Respingendo da me quel
che doveva essere stato un sogno, cercai di esaminare
meglio laspetto reale delledificio. Carattere
principale ne pareva uneccessiva antichità. I
secoli lavevano profondamente scolorito, e minute
fungosità ricoprivano la facciata, fino al tetto, come
un delicato intreccio di tessuto. Ma tutto questo non
aveva provocato deperimenti straordinari; la fabbrica era
intatta, e cera una contraddizione violenta fra il
consistere ancora perfetto delle sue parti e il
deperimento delle singole pietre, che mi faceva pensare
allintegrità speciosa di qualche vecchia tavola di
legno rimasta lungamente a marcire in una cantina
dimenticata. Ma, a parte questa corrosione di tutta la
superficie, la casa pareva ancora abbastanza salda; forse
locchio dun puntuale osservatore avrebbe
scoperto una quasi impercettibile fessura, che, partendo
dallalto della facciata, percorreva il muro a
zig-zag perdendosi infine nelle acque malsane della
palude (8).
Istruzioni per
luso. 1) Leffetto inquietante deriva da
tanti piccoli indizi (la corrosione delle pietre, la
"quasi impercettibile fessura", ecc.) che
accumulandosi arrivano a un apice di tensione: e a questo
punto il lettore si aspetta levento orribile (che
puntualmente arriva). 2) Nella Casa degli Usher è
come se assistessimo ad una lenta metamorfosi: un
ambiente familiare assume progressivamente tratti
inquietanti. O, per usare unaltra analogia: è
come, con dissolvenza incrociata, ad una immagine se ne
sostituisse unaltra. Nel caso di Poe (e in
moltissimi altri casi) questa metamorfosi è una
antropomorfizzazione: la casa si sta animando (e
contemporaneamente decomponendo) e diventa simile ad un
morto-vivente. E il paesaggio circostante partecipa della
stessa metamorfosi. 3) E molto importante mostrare
la resistenza del soggetto che assiste alla scena, i suoi
pensieri pieni di buon senso, la sua incredulità davanti
alla manifestazione del fantastico. Questo procedimento
rende molto più credibile lavvento
dellincredibile.
Esercizi. Prova a
descrivere come luoghi inquietanti: una cava abbandonata
(è la porta dellinferno? il ventre di un grande
animale?...), linterno di un ascensore (perché non
si arriva mai? non resteremo mica chiusi dentro? chi è
che lo governa?...), una piazza vuota (dove sono finiti
tutti? cè stata una strage? la peste?...).
Descrivi come oggetti inquietanti: una caffettiera, un
cavallino a dondolo (questo è un classico dellhorror),
una sedia a sdraio, un panettone farcito di cioccolato.
Quando
il pane diventa le Ande
Lo scrittore francese
Francis Ponge ha passato tutta la vita a scrivere brevi poesie
in prosa dedicate agli oggetti più semplici e
quotidiani. Il suo libro più noto si intitola
addirittura: Il partito preso delle cose. Leggiamo
che cosa sa fare Ponge con il pane e nientaltro:
Il pane. La superficie
del pane è meravigliosa prima di tutto per
limpressione quasi panoramica che dà: come se si
avesse a disposizione, sotto mano, le Alpi, il Tauro o la
Cordigliera delle Ande.
Così dunque una massa
amorfa in stato di eruzione fu introdotta per noi nel
forno stellare, dove indurendo si è foggiata in valli,
creste, ondulazioni, crepe... E tutti quei piani subito
così nettamente articolati, quelle lastre sottili dove
la luce allunga con cura i suoi fuochi, - senza uno
sguardo per lignobile mollezza sottostante.
Quel flaccido e freddo
sottosuolo che chiamano mollica ha il tessuto simile a
quello delle spugne: foglie o fiori vi stanno come
sorelle siamesi saldate gomito a gomito tutte assieme.
Quando il pane si rafferma i fiori appassiscono e si
restringono: si staccano allora gli uni dagli altri, e la
massa si fa friabile...
Ma rompiamola: nella
nostra bocca infatti il pane deve essere piuttosto
oggetto di consumo che di riverenza (9).
Istruzioni per
luso. Ponge ha dichiarato che le sue poesie
costituirebbero un nuovo tipo di testo "che si situa
più o meno tra due generi: la definizione e la
descrizione; prendendo a prestito dal primo
linfallibilità, lindubitabilità, anche la
brevità, dal secondo il rispetto dellaspetto
sensoriale delle cose". Vediamo ora meglio come
funziona il suo metodo. Ponge isola loggetto dal
contesto, lo mette in primo piano, lo osserva con la
lente dingrandimento. Poi lo scruta come fosse un
oggetto alieno, misterioso; provvisoriamente si dimentica
di ciò a cui loggetto serve. Quando comincia a
scrivere, scrive quasi un indovinello, una descrizione
enigmistica. Paragona loggetto a un altro oggetto
(nel caso del pane, alle montagne) e poi prosegue la
descrizione in maniera equivoca, evidenziando tutto ciò
che lega i due oggetti. Notiamo che laccostamento
dei due oggetti può essere del tutto arbitrario. Infine
Ponge introduce, ma con discrezione, alcune frasi che
riguardano gli aspetti più normalmente simbolici
delloggetto, e i sensi traslati della parola con
cui lo nominiamo.
Esercizi. 1)
Descrivete una mela rubiconda come se fosse una modella
che si pavoneggia difronte a voi, il ritrattista. 2)
Descrivete una sigaretta come un oggetto destinato a una
lunga, dolorosa agonia. 3) Descrivete una caffettiera
come un oggetto provvisto di una prodigiosa sessualità,
capace di ripetute eiaculazioni. 4) Descrivete una
lavatrice come un apparato digerente, che prima mangia i
vestiti e poi se ne libera.
Come
cucinare un uovo sodo
In una
narrazione gli oggetti non vengono solo descritti: i
personaggi li adoperano, ci fanno delle cose,
interagiscono. Per imparare come funziona
linterazione personaggi/oggetti, niente è meglio
che dedicarsi alle istruzioni per luso,
cioè a quei testi il cui scopo è di spiegarci come
interagire con gli oggetti. Naturalmente vi proporremo
delle istruzioni per luso divertenti e paradossali.
Cominciamo con questa ricetta per cucinare un uovo sodo,
scritta da Jonesco:
Chiedete
un uovo sodo al vostro lattaio. Pregatelo di sperarlo,
cioè di guardarlo contro luce, per controllarne la
freschezza. Di solito luovo sarà di gallina...
Ritornate a casa cercando di mantenere luovo
intatto. E consigliabile preparare luovo in
cucina, su un fornello. Attenzione! non mettere
luovo direttamente sul fornello, ma dentro una
casseruola. In precedenza versare nella casseruola una
quantità dacqua sufficiente a coprire
luovo... Potrete ottenere lacqua anche
girando la chiavetta collocata, nella maggioranza dei
casi, sopra lacquaio; sul fuoco dovrete mettere la
casseruola contenente lacqua nella quale è immerso
luovo. Se lacqua è fredda potrete farla
scaldare dopo aver acceso il fuoco del fornello. Si
accende il fornello mediante un fiammifero estratto da
una apposita scatoletta, avendo cura di strofinare uno
dei due lati ricoperti di fosforo rosso. Poi porterete il
fiammifero al di sopra degli orifizi del bruciatore, dopo
aver fatto ruotare i bottoni che consentono al gas di
fluire dentro ai tubi e di arrivare agli orifizi
attraverso i quali esce sotto forma di fiammella...
Aspettare che lacqua giunga ad ebollizione. Poi
immergervi luovo. Potete toglierlo dieci minuti
più tardi mediante un cucchiaio onde evitare la
scottatura delle dita. Mettere luovo sotto
lacqua fresca allo stesso fine. Quindi asportare il
guscio ecc. ecc (10).
Istruzioni per
luso. Jonesco ci presenta un personaggio del
tutto inetto (se non fosse inetto non gli servirebbero
tante istruzioni) mentre, per contrasto, luovo
appare estremamente sicuro di sé. Leffetto comico
è raggiunto grazie alluso pedante della forma istruzioni
per luso. Ogni azioni è scomposta in
sotto-azioni, e così via; si raccomanda estrema
attenzione e consapevolezza per azioni che chiunque di
noi compie automaticamente. Al di là delleffetto
divertente, qui viene raffigurata una relazione
abbastanza malsana tra il personaggio e loggetto.
Istruzioni per
luso. Scrivete le istruzioni per comporre il
numero del telefono, o per prendere lascensore
(soffermatevi in particolare sullargomento:
"Attività che si possono intraprendere mentre si è
in attesa del collegamento o si aspetta che
lascensore arrivi").
Descrizioni
di descrizioni
Dipinti animati
Se un quadro è una
descrizione (di un luogo o oggetto reale, oppure di
unimmagine mentale), la descrizione di un quadro
sarà un curioso esercizio: la descrizione di una
descrizione. Così il grande critico darte Roberto
Longhi descriveva alcune tele di Caravaggio:
La Crocefissione di San
Pietro. Le cose accadono con unevidenza incolpevole
dove ognuno attende allopera sua. La desolazione
insomma è nel fatto stesso su cui sta allo spettatore di
giudicare. Sulle rocce brune che saranno (con quella luce
negli occhi) lultimo ricordo del martire, presso la
cava di pozzolana o la calcara di San Pietro in Montorio,
il pittore, impassibile, "gira" la fatica dei
serventi (il cui gesto, è doveroso riconoscerlo, è di
operai che si affaticano e non di carnefici che
incrudeliscano nella bisogna), tutti in giubboni e brache
frusti, baveri sgualciti (e pur rifiorenti nel lume),
piedi fangosi e con pochi attrezzi. E riprende da vicino
il santo, forse notissimo modello buono di via Margutta,
che, già infitto alla croce, ci guarda calmo, cosciente
come un moderno eroe laico; mentre il mantello
bigioazzurro va scivolando in angolo sotto lombra
del badile brunito, accanto al pietrone friabile e caldo
come un pane ancora impolverato dalla cenere del forno
(11).
La morte della vergine.
In realtà il quadro sembra raccontare in che modo, entro
la stanzaccia daffitto, spartita alla meglio dal
tendone sanguigno che penzola dalla volta a travicelli e
senzaltre suppellettili che una branda, una scranna
e la bacinella per le pezzuole bagnate, si lamenti la
morte di una popolana del rione. Una scena, quasi, da
asilo notturno. Ma langoscia di questi astanti
sembra prender senso e autorità infinita dal chiarore
devastante che, irrompendo da sinistra nella cerchia di
colori già stranamente fiammanti e pur combattendo con
tutte le specie dellombra, sosta per un attimo sul
viso arrovesciato della madonna morta, sulle calvizie
lunate, sui colli pulsanti, sulle mani disfatte degli
apostoli; fende di traverso il viso dolente di Giovanni;
fa della Maddalena seduta in pianto un solo massello
luminoso; della sua mano sul ginocchio un grumo solo di
luce rappresa (12).
Istruzioni per
luso. Soffermiamoci su alcuni trucchi messi in
atto da Longhi per rendere vivo il quadro. 1)
Lo statico è reso dinamico, teatrale, drammatico, in
qualche occasione perfino cinematografico. 2) Attraverso
una specie di dissolvenza incrociata alla scena sacra
viene sovrapposta una scena profana (per es.: alla
Madonna la popolana del rione, ecc.). 3) Lantico
viene reso attuale con il ricorso allanacronismo e
cioè con riferimento a situazioni e comportamenti
contemporanei. 3) Le cose, gli oggetti vengono nominati,
individuati a uno a uno, e diventano protagonisti essi
stessi della scena. 4) Infine la luce; la luce che
diventa colore assume un forza drammatica; si può
addirittura dire che è lei la vera protagonista del
dramma.
Raccontare
una storia a partire da un quadro
Italo Calvino a sua volta
ha tentato questa operazione: entrare in un quadro,
muoversi dentro i suoi paesaggi, parlare con i personaggi
dipinti. Lha fatto prendendo spunto da una serie di
dipinti di Giorgio De Chirico che ben si prestavano con
la loro enigmaticità a questa esplorazione:
Non so come sono
arrivato qui. [...]. La verità è presto detta: da
quando sono entrato in questa città, la città è
entrata in me; dentro di me non cè posto per
nientaltro. Da allora il mio sguardo scorre su
superfici levigate, sgombre, che il sole fa dorate,
lombra nere; ma a dire il vero io non so se il sole
ci sia dove sia, perduto dietro lo spessore
dun cielo verde-bottiglia, o sfoggiando la sua
giovinezza mattutina in nuvole leggere e bianche [...].
Piazze, vie, spianate sestendono davanti a me
ostentando unapparente accessibilità, come a dire:
siamo lisce e sgombre, percorretemi. [...]. Gli spazi
vuoti mi paiono ardui da attraversare; preferisco
strisciare dietro gli spigoli degli edifici, tra i
pilastri dei portici, senza avventurarmi allo scoperto;
tanto più che non saprei dove dirigermi. A chi potrei
chiedere la strada? A quei due passanti laggiù in fondo?
Mi sembrano lontani, troppo lontani; anche se adesso sono
fermi e sembra che parlino tra loro, prima che io sia
arrivato là certo si saranno allontanati. Potrei invece
interrogare una statua? Se ne incontrano molte e paiono
più facilmente raggiungibili. Ma quello che le statue
insegnano, senza che io lo chieda, è una linea di
condotta: devi stare immobile, lasciare che lo spazio
circoli intorno a te; se ti situi nel modo giusto nello
spazio, il tempo non avrà più presa su di te, la
clessidra resterà sospesa. [...]. In cima alle torri
sventolano bandiere appuntite, stendardi, orifiamme
dogni colore: se è per una festa, è soltanto
lassù che essa viene celebrata; qua sotto tutto tace. O
sarà per indicare ai naviganti da che parte tira il
vento? Ma quaggiù non vola neanche un granello di
polvere; solo lalto cielo è trascinato dalle
correnti. Daltronde non si vede anima viva sulle
torri, dalla base alla vetta.
Da ogni parte mi giri,
continuo a vedere quei due signori laggiù in fondo.
Saranno sempre gli stessi, o in ogni via, in ogni piazza,
deserte, cè un passante che incontra un altro
passante e si fermano un momento a conversare? E cosa si
staranno dicendo? Posso solo fare delle congetture: non
arriveranno mai a portata del mio orecchio.
"La città - dice
uno - non è disabitata, dato che ci siamo noi due."
"La città - dice
laltro - è estesa nello spazio, dato che siamo
visti da lontano." [...].
A questo punto, non
sono più tanto sicuro che quei due conversatori stiano
conversando, che quei due passeggiatori stiano
passeggiando, che quei due abitanti stiano abitando.
Forse essi vogliono solo dimostrare che se la città è
silenziosa, immobile, lo è proprio perché qualcuno
possa abitarvi, passeggiarvi, conversarvi. Qualcuno. Chi?
Non io, non loro. Chi è lospite ideale che la
città attende? [...].: il pensiero.
Questa città è fatta
per accogliere il pensiero, per contenerlo e trattenerlo
senza che si senta costretto. Qui il pensiero trova il
suo spazio, e il suo tempo, un tempo sospeso, come
dinvito, dattesa. Qui il pensiero sente
dessere sul punto daffacciarsi
allorizzonte della mente, e può prolungare questo
stato dincertezza aurorale e rimandare il momento
in cui sarà obbligato a precisarsi, a diventare il
pensiero di qualcosa. [...]. La città del pensiero non
suggerisce pensieri duna specie o
dunaltra, non obbliga a riflettere sulle
apparizioni e gli incontri che in essa occorrono, o a
indagare i suoi misteri. Luce, ombra, facciate,
monumenti, esseri, oggetti vi sono disposti in modo da
distogliere la mente da emozioni e passioni e
condizionamenti esteriori. [...]. Certo che in queste
piazze puoi incontrare i due Dioscuri, nudi, con una
lancia, o Edipo, cieco col bastone. [...]. Puoi
incontrare figure ieratiche, rigide come manichini, con
teste a clava o a uovo, senza volto: se nei loro corpi di
legno o pietra esse incarnano là le nostre inquietudini,
ciò vuol dire che linquietudine è ormai tutta
contenuta in loro, e in noi non resta che una calma
assorta e melanconica [...]. Queste figure prendono su di
sé le nostre inquietudini fino a renderle strane ed
estranee ai nostri occhi; perciò lispirazione che
traiamo da loro è silenzio e quiete, e quando le
incontriamo nelle piazze della città le salutiamo come
le nostre muse. [...]. Tutte le prospettive hanno un
limite: un muro o un parapetto sbarra in fondo le vie:
dietro passa un treno. Qualcosa sempre indica
laltrove: il treno con la nuvola di fumo bianca è
come la vela bianca della nave sul mare oscuro. Queste
immagini di movimento a me sembra non facciano che
confermare una cosa: io sono qui, fermo, immobile, e ci
resto. [...]. Mi sento chiuso in questo labirinto di vie
e di piazze, continuo a ripassare per gli stessi portici,
a ruotare intorno alle stesse torri, a scontrarmi con gli
stessi muri di mattoni. Cerco altri spazi, dove regni un
altro ordine, unaltra luce. [...]. Alle volte penso
che andando avanti sempre più nel cammino che questa
città mi indica, arriverò a ricomporre qualcosa che
sè spezzato; alle volte invece mi pare che sia
stata consumata una separazione definitiva. Ma
separazione tra cosa e cosa? Questo non lo so.
Certe mattine un
nitrito prorompe altissimo, vibra nellaria; un
altro nitrito gli risponde, e un altro, un altro, ora
sembrano allontanarsi, ora farsi più vicini, insieme con
un gran battito di zoccoli. Da tempo tutti i cavalli sono
fuggiti dalla città e saggirano sulle spiagge
deserte. Cè chi li ha visti galoppare sulla riva
del mare, con le criniere e le code fluenti che volano al
vento, il pelo lucido sulle forti groppe. Non so
perché questi nitriti mi turbano. Non so
perché mi senta dallimprovviso desiderio di
raggiungerli e poi trattenuto come da paura. Pare che i
cavalli siano tornati selvaggi, dotati duna forza
folle che sbriciola le rovine dei templi. Nessuno
potrebbe più sottometterli alle redini e alla sella.
Quando simbizzarriscono il rimbombo del loro
scalpitare risuona come un terremoto che fa tremare la
città (13).
Istruzioni per
luso. La tecnica, per Calvino come per Longhi,
consiste principalmente nel trattare il quadro come un
teatro: solo che Longhi lo guarda con locchio, per
così dire, del coreografo e del tecnico delle luci;
Calvino con locchio dellautore del testo che
si recita, che ha bisogno di un paesaggio, sì, di una
scenografia, ma anche di una vicenda. Esiste poi, in
questo pezzo di Calvino, un puntiglio: quello di usare
tutti gli elementi che compaiono nel quadro, nessuno
escluso. Perciò la "descrizione" del quadro
diventa un complicato gioco narrativo pieno di vincoli e
di obblighi. Tutto deve trovare un senso, incastrarsi
nella narrazione. E un po come se volessimo,
con i pezzi di un puzzle, costruire un altro puzzle
differente.
Esercizi. Scegliti
un quadro (uno che ti piace). 1) Entraci dentro e
guardati attorno, esplora lo spazio bidimensionale,
oltrepassa le soglie, scavalca i muri, interpella i
passanti, immagina di parlarci, immagina di ascoltare
ciò che si dicono tra loro. 2) Domanda, interroga,
fa supposizioni: consìderati un viaggatore in un
mondo incantato del quale ignori la storia, pieno di
oggetti dei quali ignori il senso e lutilità.
Immagine di essere capitato in un mondo alternativo, in
un mondo alla rovescia, allaltro mondo. 3) Fa
un tentativo con un quadro astratto. Immaginalo come una
carta geografica, o come la raffigurazione di un processo
mentale, o come un software (hai visto Tron? e Nirvana?),
o come il tracciato di uno strumento (sismografo,
elettroencefalogramma...).
Bibliografia
1) Perec, Tentativo di
esaurire un luogo parigino, Baskerville, Bologna
1989, tra. Eileen Romano, pp. 33-35.
2) Joyce, Epifanie,
in Poesie e prose, p. 195, Mondadori, Milano 1992.
3) Ibid., p. 189.
4) Ibid., p. 225.
5) Gianni Celati, Verso
la foce, Feltrinelli, Milano 1989, pp. 30-31.
6) Xavier de Maistre, Viaggio
intorno alla mia stanza, Guida, Napoli 1987, pp.
25-29, trad. R. M. Losito.
7) E. A. Poe, Opere
scelte, a cura di Giorgio Manganelli, Mondadori,
Milano 1977, pp. 263-266.
8) Francis Ponge, Il
partito preso delle cose, Einaudi, Torino 1979, p.
33, trad. J. Risset.
9) Jonesco, Teatro 2,
trad. it. G. Morteo, Torino, Einaudi, 1969.
10) R. Longhi, Caravaggio,
Editori Riuniti, Roma 1982, p. 56.
11) ibid., p. 63.
12) In un numero della
rivista F. M. R.
di Stefano Brugnolo e Giulio Mozzi
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