ATTUALITA' - Luglio 1997 | |
"Ciò che unisce le donne a livello internazionale - al di là di considerazioni di classe, cultura, religione, nazionalità o origine etnica - è la loro vulnerabilità nei confronti delle violazioni dei diritti fondamentali e i loro sforzi perseveranti per rivendicare questi diritti". A dirlo è Amnesty International. Ma per vedere che la donna-vittima ha ancora una lunga strada da percorrere basta guardare il nostro Paese. Dove la giustizia è considerata più un mezzo punitivo che unistituzione in difesa dei diritti dei più deboli. E alla fine a fare da protagonista, nei libri gialli come nella realtà di tutti i giorni, è sempre il carnefice. E mai chi lo ha subito A chiunque può capitare di ritrovarsi vulnerabile. Chiunque può cadere nel ruolo scomodissimo di vittima. Ma questa parte poco ambita viene assegnata spesso a chi possiede pochi mezzi di difesa, cioè potere contrattuale e forza fisica. Le donne italiane si ritrovano a dover fare i conti con un sistema giudiziario tanto lento da risultare inefficace, e con una legislazione ambigua e poco comprensiva nei confronti delle vittime. Il nostro garantismo non garantisce chi ha subito un'aggressione, una violenza, un'ingiustizia. Infatti nel nostro paese il numero dei delitti impuniti è enorme, almeno quanto la lentezza delle procedure. L'impunità ha sempre avuto un fascino tutto speciale per chi possiede qualsiasi tipo di privilegio. Che si tratti di una posizione di prestigio o di vile danaro o anche solo di muscoli, non fa differenza. Qualsiasi mezzuccio può essere usato come arma contro chi è più debole, tanto la legge non fa paura. L'omicidio insensato e feroce della studentessa romana, di cui tanto si è scritto, probabilmente è il frutto di questo mito dell'impunità. Per tanto tempo, la forza del privilegio e la protezione dell'omertà hanno garantito il diritto di osare senza limiti. Fino ad uccidere gratuitamente, per puro divertimento. A parte il caso estremo dell'omicidio, esistono molte maniere di annullare una persona insieme ai suoi diritti fondamentali. La si può trattare come un oggetto trascurabile o un capro espiatorio, la si può derubare di tutto, le si può togliere dignità e identità, la si può mutilare, la si può ridurre in schiavitù. Oppure la si può dimenticare o abbandonare. Sono crimini che vengono esercitati all'interno della famiglia, a volte a con l'avallo di leggi scritte o di usanze culturali condivise. A volte anche in società evolute si formato nicchie di impunità in cui i diritti più elementari, diritti che vengono dati per scontati, vengono tranquillamente calpestati. Recentemente la polizia colombiana ha scoperto un'organizzazione che si occupava di commercio di donne bianche. A quanto pare, dal 1994 ben 500 ragazze sono state rapite e deportate in Europa, in particolare si parla di Austria e Olanda. Si credeva che la tratta delle bianche fosse una leggenda metropolitana, invece a quanto pare è una realtà internazionale. "La vittima soffre del crimine più ancora della società, che è un'astrazione in nome della quale si realizza la giustizia." M.Franchimont, La victime dans le procés penal Jt 1997 In altri paesi fioriscono organizzazioni femminili che difendono i diritti delle vittime. In Italia siamo ancora agli inizi, o per meglio dire all'età della pietra. Servizi di accoglienza delle vittime, diritto della vittima di ricevere informazioni sulle vicende giudiziarie che la riguardano, un riconoscimento legale della vittima. Fantascienza per la legislazione italiana, una realtà in altri paesi come Canada, Stati Uniti, Belgio. La "Giustizia" italiana sembra dimenticare troppo spesso quale sia la funzione fondamentale della legalità: sostituire il diritto del più forte con una legge che tuteli i diritti di tutti. Non sono in pochi a pensare che il compito della magistratura sia solo quello di punire, come se alla base dello Stato di Diritto non ci fosse nulla di concreto se non un vago bisogno di ordine e di vendetta. La legalità funziona solo se il valore delle leggi viene accettato, riconosciuto e rispettato. Alla base di questo rispetto ci dovrebbe essere il riconoscimento di un contratto che lega i cittadini al rispetto e alla tutela reciproci. Invece le leggi vengono vissute come una serie di imposizioni punitive, di codici astrusi validi solo quando fanno comodo, o al limite quando puniscono delitti particolarmente impressionanti. Spesso viene invocata la "libertà" contro la legalità, dimenticando che senza le noiose norme scritte la libertà coinciderebbe con la legge della giungla. La legittima difesa dovrebbe essere un diritto scontato, ma non lo è. La legge italiana dimentica le vittime, non le riconosce, spesso le umilia. Nel giugno di quest'anno una donna svedese è stata incriminata per uso di arma impropria. Il suo delitto? Aver usato una bomboletta di gas lacrimogeno per salvarsi da uno stupro. Davvero una bella figura per il bel paese, che punisce chi ha l'ardire di difendersi, ma in compenso non garantisce nessuna sicurezza per le strade. Non si tratta di pretese ridicole, ad esempio le strade di Vienna alla sera sono accessibili anche ai bambini non accompagnati. Anche il fascino del carnefice è molto attuale. Quando i riflettori mettono in luce qualche crimine efferato tutti gli sguardi, le attenzioni, le fantasie, vengono rivolte all'assassino. Chi è l'assassino? Mostro da giustiziare, o sbaglio della società da sanare? Dove sistemarlo, sulla sedia elettrica o sul lettino di qualche psicocoso? Che futuro lo aspetta, lettere d'amore in carcere, o schiere di fanatici forcaioli che applaudono assistendo all'esecuzione? Sicuramente il sangue attira: curiosità, paura, rabbia, proibito. Ma crea anche necessità urgenti: bisogna trovare una giustificazione al male. I rimedi previsti sono due: o sopprimere o giustificare. Per sopprimere il male si usano certi marchingegni sinistri e intriganti: sedie elettriche, ghigliottine, camere a gas, iniezioni letali. Basta premere il pulsante, e il male non c'è più. Per giustificarlo invece si indaga intorno alle cause che possono aver prodotto il gesto orribile. Chi è capace di tanta crudeltà non può essere un essere umano come noi! Ma siccome l'incarnazione del male non ha la coda né le orecchie a punta, anzi ha addirittura l'aspetto di una personcina tranquilla, questa frottola non regge a lungo. Allora non può che trattarsi di un pazzo. Se non c'è traccia di pazzia, si cercano le cause sociali: l'assassino diventa una vittima della società. Se la società non può essere incolpata, allora è vittima di qualche anomalia genetica. In questo modo, la volontà umana è ridotta ad un puro nulla. Il male è ridotto ad un puro nulla. Ma se l'assassino è una vittima, alla vittima dell'omicidio non resta altro che scomparire. Il suo ruolo è solo quello di subire. Si tratta di un ruolo banale, che non nasconde alcun mistero. E dopo aver subito, la vittima deve farsi seppellire in silenzio, anche se non è morta. Per chi sopravvive troppo spesso non c'è solidarietà. Niente riflettori, niente applausi, niente lettere d'amore. Anche nella letteratura gialla, è la figura dell'assassino che viene rincorsa dalla suspence. Non ci si identifica con chi viene ucciso, ma con chi uccide. Si osserva al microscopio l'assassino, lo si odia, lo si ammira apertamente. Tra vendetta o perdono, punizione o giustizia, ci si dimentica della vittima, nell'ansia di afferrare lo strumento giusto per negare l'esistenza del male. La facciata del mondo giusto va salvata, l'equilibrio ristabilito. Il criminale o è un mostro, o un fantoccio inerte in balia di un fato malvagio. Il male va ammazzato con la legge del taglione, o mimetizzato come l'ombra di un bel quadro. Peccato per chi si ritrova proprio dentro il cono d'ombra. La nostra fallimentare giustizia ci costa carissima in termini di denaro, tempo e vita. Sono due le categorie di delitti che rischiano la punizione: quelli che finiscono sotto i riflettori dei media, e quelli che feriscono la suscettibilità di chi ha i mezzi per pagarsi un avvocato, il tempo di seguire le lungaggini burocratiche, e magari anche l'assistenza psicologica per affrontare lo stress. Le leggi dovrebbero essere scritte per difendere dei diritti, non per propinare punizioni che plachino sensibilità offese o desideri di vendetta. Certo la difesa rende necessarie misure coercitive, punizioni e multe che funzionino come deterrente. Ma tutto questo è secondario, mentre dovrebbe essere proprio la parte più dimenticata, ovvero la vittima, il fine ultimo dei codici. Ecco alcuni indirizzi utili. http://www.show.it/tel_rosa/page01.asp |