Index MUSICA - Luglio 1997


Lezioni di musica? Chiedere di Cassandra

La vocalist nera, forte di una voce senza confini di genere, è una delle poche se non l’unica cantante che riesce a convincere senza farli litigare appassionati jazz, blues, pop e afro

Cassandra Wilson – cd "New moon daughter"

In genere la scoperta di un nuovo disco avviene in modo abbastanza casuale, e specialmente per chi è abituato ad ascoltare sempre lo stesso genere musicale non è per nulla facile andare a vedere che cosa fanno altri artisti in altri settori. Il caso di Cassandra Wilson dovrebbe far riflettere tutti coloro che tendono a fossilizzarsi nell’ascolto di un tipo di musica e non vogliono vedere al di là del loro stesso naso. Ne parlo volentieri perchè questa meravigliosa artista, etichettata come cantante jazz (e sicuramente lo è), con le sue ultime produzioni dà lezioni di blues, pop, afro e quant’altro ci si possa vedere, con una facilità e un carisma tipico dei cavalli di razza. Ho avuto la fortuna di poterla vedere in azione a Mantova la scorsa estate in occasione del suo tour europeo e vi assicuro che lo spettacolo non è di quelli che si dimenticano facilmente.

Due ore di concerto dove, anche per me che pur amando alla follia il blues tendo a storcere il naso quando devo sentire del jazz, magari free, si sono aperte le porte del paradiso. Da "Blue light till down" a "New moon daughter" il cammino musicale di Cassandra inizia una nuova fase, molto comprensibile ai più ma non per questo artisticamente meno valida, anzi questi due album dovrebbero essere studiati da tutti coloro che si ostinano a proporre musica ermetica e spesso incomprensibile. Insomma due album che nessuno si dovrebbe perdere anche se ama alla follia i Gun’s and Roses.

Vocalist eccezionale al pari e forse (è un’opinione assolutamente personale) superiore alle storiche Fitzgerald o Billie Holiday, viene ultimamente accompagnata da una band di primaria grandezza. Brandon Ross alle chitarre è un mostro di bravura e non lo è di meno l’altro chitarrista Kevin Breit, due session man che nel concerto si scambiano vicendevolmente i ruoli senza farsi per nulla rimpiangere, anche loro capaci di spaziare dalle atmosfere jazz più estreme fino a reinventarsi il blues con un rigore proprio dei neri della vecchia generazione. Il tutto condito da una tranquillità di esecuzione propria dei più bravi, quelli cioè che non corrono da nessuna parte.

Lonnie Plaxico, vero drago del mood, si alterna al basso elettrico con il fretless bass nei vari pezzi gestendo atmosfere sempre nuove e diverse. Assieme al drummer Dougie Bowne e al percussionista Ciro Baptista ha la responsabilità di tutti i groove sonori, così coinvolgenti e in sintonia che risulta difficile scindere l’apporto di ciascuno da quello degli altri.

Le atmosfere sia del concerto che del disco sono comunque sempre acustiche, dove l’artista tira sempre fuori l’anima e la sofferenza. Tutti i pezzi del cd risultano alla fine inspirati ma personalmente trovo che la cover di "Love is blindness "degli U2 sia semplicemente fantastica. Andando poi a pescare i blues che appaiono nel disco troviamo" Death Letters" di Son House e "32-20" di Robert Johnson in arrangiamenti talmente belli e nuovi che lasciano senza fiato.

Una cover poi di Neil Young, "Harvest Moon", nobilita un pezzo che nella versione originale non era poi così riuscito. Il resto, da "Last train to Clarksville" ai suoi pezzi personali quali "Salomon Sang", "Memphis"e "A little warm death" ci rimandano al suo straordinario pedigree jazz delle precedenti produzioni incrementando, se ce ne fosse ancora bisogno, l’ammirazione per questa artista nera capitata sulla faccia della terra per caso che, non esagero, ci dà una ragione in più per vivere e sperare.

Il cd, uscito nel 1995, non è certo nuovo, ma per chi non l’avesse ancora sentito rimane sempre una autentica rivelazione, assolutamente da avere. E se volete fare qualcosa di più, andatevi a comperare anche le produzioni precedenti.

Marco Pasetto