Peter
Green, allinferno e ritorno
La
storia di questo bluesman londinese autore di "Black
magic woman" dei Santana e poi famoso con i
"Fletwood Mac" conferma la cosiddetta
"maledizione del blues". Perché salito i cima
ai vertici della musica tra gli anni 60 e i
70, precipitò lentamente ai limiti della follia
entrando e uscendo dalle cliniche psichiatriche dopo aver
fatto i lavori più disparati e umili. Ora Greenbaum (il
suo vero nome di ebraica) è tornato a suonare e cantare
con un gruppo tutto suo tra concerti dal vivo e cd. Anzi,
è tornato a vivere Peter Green and
Splinter group
Cè una costante nella musica
e specialmente in quella blues: gli artisti spesso
sembrano portarsi dietro maledizioni oscure che ne minano
lesistenza in maniera pesante. La storia di Peter
Green segue ordinatamente questo filone "noire"
che parte da Robert Johnson e i suoi patti con il diavolo
per finire, non ultimo, con Kurt Cobain (suicida). Questa
storia però forse non finirà in maniera così tragica
perchè ci sono importanti segnali che qualcosa sta per
cambiare e una volta tanto lhappy end avrà il
sopravvento. Peter Green è tornato, ragazzi !
Lanno scorso al
festival blues di Pistoia la serata dedicata al suo
ritorno ha segnato una data storica nel mondo della
musica blues, da lì infatti ha preso ufficialmente il
via la rinascita artistica di un uomo che arrivato ai
limiti della follia ce la sta mettendo tutta per tornare
ad essere il fenomeno musicale che era.
Peter Greenbaum (ebreo)
nasce il 26 ottobre 1946 a Londra. Nella sua adolescenza
alterna luso del basso alla chitarra, ma è con
questultima che si guadagna popolarità e rispetto
tra le varie band emergenti nella swingin london dei
primi anni sessanta. In quegli anni circolano per la
città personaggi del calibro di John Mayall ed un certo
Eric Clapton. Ed è proprio grazie ad un litigio che
Mayall si appresta a sostituire Clapton con il nostro
Peter. E linizio di quella che è stata
sicuramente una carriera sfolgorante: in certi momenti
infatti la popolarità di Peter Green ha gareggiato con
quella dei mitici Beatles. Chi non ricorda "Black
magic woman" di Carlos Santana ? Bene, quel pezzo è
uscito dalla vena artistica del nostro Peter, bluesman
bianco e per giunta ebreo. Infatti in quegli anni non
sono pochi i suoi singoli che rimangono in vetta alle
classifiche inglesi contendendosi i primati con i pezzi
dei Rolling Stone e dei Beatles.
Nel 1969 con i
"Fletwood Mac" la popolarità è enorme e i
suoi conti in banca salgono vorticosamente. Ma qualcosa
già allora comincia ad incrinarsi, i rapporti con il
resto della band si fanno sempre più tesi e lanima
artistica di Peter vive sempre più con difficoltà lo
show business dellepoca: in fondo lui è sempre e
solo un musicista di blues. Di tutta la produzione di
quegli anni la gemma più rara che ha lasciato è un
album doppio intitolato "Blues Jam in Chicago"
uno degli album di blues più belli in assoluto con
collaborazioni di artisti del calibro di Otis Spann,
Willie Dixon, Shakey Horton ed altri.
In breve la vita di Peter
cambia radicalmente, il rifiuto verso quel modo di vivere
è totale. Così molla tutto, band, soldi, popolarità e
la sua mente precipita in abissi dai quali non riuscirà
più a risollevarsi. Barelliere presso un ospedale e
guardiano in un cimitero sono alcuni dei lavori che si
troverà a fare, mentre il suo stato di salute mentale
precipita sempre di più nellapatia e nella
paranoia. Con vari tentativi di cura in varie cliniche
psichiatriche e travagliati momenti di rinascita
artistica più o meno, ma quasi sempre meno, riusciti.
Si arriva così al 1996 ed
è grazie alla testardaggine di alcuni suoi amici che i
tentativi di farlo rinascere hanno successo e la sua
apparizione a Pistoia Blues nonostante la sua evidente
difficoltà a suonare, ha del miracoloso. Con lo Splinter
Group parte un tour che attraversa tutta lEuropa e
sancisce la definitiva rinascita artistica di una stella
di primaria grandezza. Il cd è la fedele testimonianza
di tutte quelle serate passate a fare del blues ma
soprattutto passate a cercare di essere il musicista di
una volta. La band esprime una forza non comune e nel
disco non sono pochi i momenti in cui Peter ha ancora
bisogno dellaiuto di Nigel Watson per fare
dellottimo blues. Ma non importa: quello che conta
è il risultato finale. E quello è senzaltro
positivo, le composizioni di Robert Johnson come
"Travelling riverside blues" e "From four
till late" sono cantate da lui con molta fatica e
suonate forse solo da Nigel, ma il bello è proprio
questo. Ora si può legittimamente sognare di ritrovare
in Peter Green il suono e la grinta che ne fecero il più
nero dei bluesman bianchi. E scusate se è poco.
Già adesso comunque di
questo album non si butta via niente, il blues è suonato
con il giusto feeling da una band di tutto rispetto. Cozy
Powell alla batteria , Neil Murray al basso, Spike Edney
alle tastiere e il nosto Nigel Watson alla chitarra danno
un groove speciale al disco e il nosto Peter si inserisce
egregiamente in questa perfetta macchina da blues.
Sperando in un prossimo "Blue jam in Chicago",
non resta intanto che dargli un "bentornato,
Peter".
Marco Pasetto
|