Index ATTUALITA' - Settembre 1997


Milena, assassino cercasi

Il giovane tunisino che aveva confessato l’omicidio della studentessa bassanese scomparsa il 23 novembre 1995 a Nabeul ha fatto dietrofront: "Non sono stato io, alcuni sconosciuti mi hanno minacciato e costretto ad autoaccusarmi". Così i suoi avvocati chiedono adesso, prima del processo, ulteriori indagini. Una vittoria per l’instancabile mamma di Milena Bianchi. Che a quella storia del raptus passionale del ragazzo non aveva mai creduto

"Io l’ho sempre detto che non poteva essere stato quel ragazzo, è vero o no?". Non una grande soddisfazione, forse. Ma per Gilda Milani è certo una piccola vittoria sentire che Mounir Taib Ben Salem, il ventenne di Nabeul, in Tunisia, che confessò di aver ucciso sua figlia Milena perché si era invaghito di lei, ha ritrattato tutto. E ora dice che fu costretto ad autoaccusarsi da uomini sconosciuti che minacciarono lui e la sua famiglia. Riaprendo così una vicenda che sembra scritta sulla sabbia del deserto, tanto è inafferrabile.

Milena Bianchi, studentessa di Bassano in vacanza a Nabeul, scompare il 23 novembre del 1995 dopo aver salutato l’amica Elena Viotto. Va a trovare un ragazzo, anche se la scusa è quella di "andare a prendere il pane". Ma nessuno la vede più. Mesi e mesi di ricerche inutili, pensando a un rapimento, poi il 27 marzo scorso la mazzata: la polizia tunisina trova il cadavere della ragazza sepolto nel greto di un torrente vicino al paese. E arresta Mounir, un amico di Milena. Che confessa l’omicidio: "La volevo, lei mi respingeva". Dice che l’ha strangolata a casa sua, l’ha caricata su una vespa e l’ha sepolta nel torrente. Da solo. Tutti, autorità locali e italiane, sospirano: "E’ fatta". Meno Gilda e Bertillo Bianchi, assieme alla madre del presunto assassino: "Non è possibile, non può aver fatto tutto da solo…".

Adesso, cinque mesi dopo, la prima conferma: gli avvocati di Mounir Ben Salem hanno presentato un rapporto al giudice istruttore tunisino chiedendo un supplemento d’indagine. Perché il loro assistito ha deciso "di non voler essere più un capro espiatorio, costi quel che costi". Racconta, Mounir, che verso metà agosto del ’96 due uomini, un italiano e un tunisino, sono venuti a casa sua. E’ solo, lo portano in garage e gli mettono una pistola davanti al naso: "Se non vuoi che succeda qualcosa di brutto a te e alla tua famiglia, dichiarati colpevole. Al massimo rischi 3 anni per omicidio involontario…" gli dicono. Poi lo caricano su una camionetta dove ci sono altre facce ignote, alcuni italiani, c’è anche una donna. "Posso fare l’identikit" assicura Mounir. Lo portano su quel torrente, Dar Chabane, dove verrà poi trovato il corpo di Milena. Gli spiegano cosa deve dire e fare. Quindi gli danno una busta con 500 dinari (circa 500 dollari). Tornano a casa sua, spruzzano un liquido rosso sui muri e gli dicono di ritingere. "Infatti Milena non fu uccisa il giorno della sua scomparsa – spiegano i difensori del giovane tunisino – Ma almeno 8-9 mesi dopo". La prova? Per i legali è l’autopsia sulla ragazza, dove si parla di "corpo relativamente in stato di non avanzata decomposizione".

Così adesso si ricomincia. Anche se non per la mamma di Milena, che non ha mai smesso di cercare: "L’ho sempre detto, ricordate? - ripete Gilda Milani – Io credo che non si sia inventato queste ultime cose. Spero che adesso, e non solo da parte tunisina, ci sia più chiarezza. E poi se anche quella di Mounir non fosse la verità al 100 per cento, è sempre più credibile dell’altra. La cosa che mi ha fatto più male, in questa vicenda, è stato proprio il sostegno che la polizia italiana ha dato alla versione delle autorità tunisine. Cosa faremo ora? Parlerò con l’avvocato. E magari al processo affiancheremo la famiglia del ragazzo".

a.m.

la storia e i precedenti (www.netics.it/nautilus/9704it/primopiano)