Index ATTUALITA' - Settembre 1997


"Nemico vietcong, perdonami"

Raccolta da una giornalista dell’Associated Press, questa storia è apparsa anche sulla Cnn. C’è un giovane soldato americano in Vietnam che conserva per trent’anni la foto "rubata" al primo nemico ucciso: un giovane vietcong con una bambina al fianco. E poi c’è la sua coscienza, che non gli dà pace; il tentativo di liberarsi di quell’immagine e il destino che gliela riporta davanti; una lettera struggente per chiedere perdono e la decisione di conoscere il destino di quella ragazzina che lui ha reso orfana. Sembra un romanzo o un film. Invece è una storia vera. Di guerra e di uomini che, a volte, riescono a restare uomini

E’ una perfetta storia da film. Se non fosse per due particolari: i sentimenti e le angosce sono veri e non di celluloide. E il finale non è ancora stato scritto. Anche se Richard Luttrell lo aspetta dal 1967, quando diciottenne soldato dell’esercito Usa avanzava arrancando su una montagna in una zona chiamata Chu Lai, nel Vietnam. Senza sapere che la sua vita sarebbe rimasta segnata da una piccola, innocente fotografia

Così si torna a trent’anni fa, con Richard che avanza e all’improvviso si trova davanti il suo primo soldato vietcong. E’ a dieci metri da lui, in mezzo alla foschia: l’Ak-47 contro il suo M-16, il primo sguardo occhi negli occhi e i lunghi secondi di silenzio agghiacciante. Poi la decisione, il soldato Luttrell tira il grilletto per primo e non lo molla fino a caricatore vuoto. I suo compagni uccidono altri due vietcong, ma lui quasi non se ne accorge, resta vicino alla "sua" vittima. Gli altri frugano negli zaini dei morti, si prendono le fibbie dorate della cintura come souvenir. Il giovane Richard no, neanche il portafoglio caduto nell’erba. Meno quella piccola foto che spunta fuori: è l’immagine a colori del soldato che ha ucciso, in divisa kaki, accanto a lui una bambina di 7 o 8 anni con le treccine nere, la testa reclinata, l’espressione seria. Tutti e due hanno la stessa mascella stretta, lo stesso naso tondo. E’ evidente che sono parenti, forse padre e figlia. Luttrell non sa perché, ma la infila nel suo portafoglio. E nella sua coscienza.

E lì resta per 22 anni. Ogni volta che Richard Luttrell, ora sposato con figli, capelli bianchi e lavoro a Rochester, nell’Illinois, cambia portafoglio, salta fuori quella foto. L’ha tenuta separata da quella dei suoi familiari, e fa in modo che resti nascosta. Ma in testa c’è sempre. "Tutte le volte che la prende in mano resta turbato" spiega la moglie Carole. Ma non se ne può liberare: l’ex yankee in qualche modo ha fatto un patto segreto e silenzioso con l’uomo della foto che, quel giorno, stava solo combattendo per la sua patria. "Non sarebbe stato giusto gettare via la foto" sussurra Luttrell. Ma solo adesso ha deciso cosa fare per liberarsi da quel senso di colpa che lo tormenta dal 1967: trovare quella bambina.

Per anni non parlerà a nessuno della guerra del Vietnam. Tanto meno ai suoi figli. "Tu hai avuto una vita fortunata, due bambini, una bella famiglia - spiega adesso - Poi guardi questa foto e sai che lei, questa ragazzina, non ha più un padre. Mentre i miei figli crescevano, io mi domandavo sempre che destino avrà avuto lei…". Chissà se sono padre e figlia. E chissà cosa c’è scritto dietro la foto, una frase che Luttrell non ha mai fatto tradurre. Per mancanza di coraggio, per disperazione, chissà.

Nel 1989 però la svolta: dopo tanti anni di angoscia Luttrell decide di dare un taglio alle sue sofferenze. E il luogo è il Vietnam War Memorial di Washington, un muro dove sono incise le migliaia di nomi dei soldati americani caduti. La sera prima della visita è nella sua stanza d’hotel in Virginia, prende carta e penna e scrive una lettera "impossibile", destinata a quell’uomo che ha ucciso. Per spiegargli perché sta per staccarsi da quella foto dopo averla tenuta con sé dal 1967: "Caro signore – dice – Mi perdoni per averle tolto la vita. Ho fatto quello che mi avevano insegnato per uccidere i vietcong. Molte volte in questi anni ho fissato la sua immagine e quella di sua figlia, se così è. E ogni volta il mio cuore e il mio stomaco bruciavano dal senso di colpa. Io so che lei era un soldato coraggioso che difendeva la sua terra, ma ora è arrivato il momento per me di continuare a vivere". Il giorno dopo Luttrell mette foto e lettera dentro un piccolo sacchetto di plastica, lo depone alla base del muro di granito del War Memorial e lo copre con una pietra. La moglie gli scatta qualche foto e se ne vanno.

"E’ stato come togliersi dalle spalle un enorme peso – racconta – E mai avrei pensato di rivedere quell’immagine". Ma si era scordato di quel patto silenzioso tra lui e il giovane soldato nordvietnamita. Così l’inverno scorso Richard Luttrell è nel suo ufficio a Springfield quando entra un amico e gli mette sul tavolo un libro, "Offerings at the Wall" (Offerte al Muro) è il titolo. "Vai a pagina 52" gli dice. E il passato ritorna: c’è una copia della sua lettera e "quella" foto, a pagina intera.

Pensare che a 49 anni Luttrell non riesce ancora a vedere i film sul Vietnam. E ci sono notti in cui non riesce a dormire e gli sembra di essere ancora nella foresta, al buio, con l’M-16 in mano. Così quando quella foto è tornata come una coltellata dentro la sua vita, ha sentito di nuovo tutto il dolore della ferita aperta. E ha capito che c’era un solo modo per guarire: cercare quella ragazzina, oggi quarantenne ma per il soldato Richard, in fondo, rimasta sempre una piccola orfana. Per colpa sua.

Pochi giorni dopo infatti l’ex soldato Usa ha scritto a Le Van Bang, l’ambasciatore vietnamita a Washington. Chiedendogli aiuto. "Per anni ho portato il senso di colpa per avere ucciso quell’uomo – scrive nella lettera – E’ sempre con me, come un cancro che mi divora il cuore e la mente. Mi rendo conto che solo con una fotografia potrebbe essere impossibile identificare quel soldato o la sua famiglia, ma io non posso continuare a vivere così…". E l’ambasciatore, anche lui soldato vietcong negli anni ’60, gli ha risposto commosso: la sua lettera mi ha colpito, chiederò notizie all’Associazione dei veterani del Vietnam. "Chi è morto il suo dovere lo ha fatto, chi è vivo deve ancora fare il suo" scrive Van Bang.

Ora la foto è finita anche su un quotidiano in Vietnam, spingendo un ex vietcong a scrivere a Luttrell qualche mese fa e a comporre una canzone sulla sua storia. Ma Richard spera che la pubblicità lo porti a quella ragazza, o almeno ai parenti dell’uomo che uccise trent’anni fa. Vuole dare un nome a quel volto, e vuole spiegare cosa è successo e che morì da soldato coraggioso. Ma se anche i parenti rifiutassero di vederlo, capirebbe. "Comunque vada, accetterò. Perché nel mio cuore so che ho fatto tutto quello che potevo". Ma la strada è lunga: "Io mi sento ancora colpevole - dice - Il fatto è che in qualche modo tutti vorremmo essere perdonati. Certo è strano, nella vita si riesce a perdonare chiunque, anche quelli che ci hanno fatto più male. Ma provare a perdonare sé stessi è la cosa più incredibilmente difficile che ci sia".

a.m.