The For
Carnation
Promised
works (Runt)
C'è qualcosa di prezioso, di
esplicito ed ineffabile, di terribile ed irrevocabile che
scorre tra le note in questa realizzazione dei For
Carnation, qualcosa che, appena la vista diventa meno
confusa e sembra che si possa guardare meglio, scompare
dietro i pini (Grace beneath the pines).
Autori dell'incrocio tra
un minimalismo alla Codeine e l'autoreferenzialità dei
Palace sono Brian McMahan e David Pajo degli Slint
insieme con Doug McComb e John Herndon dei Tortoise.
Promised works è un titolo che sembra aver a che fare
con il passato, come se tutto quello che dovesse
accadere, vinta l'indolenza, venga dopo lungo tempo
fuori.
E viene davvero fuori in
preparativi per una rivelazione, un disvelamento, in una
lunga attesa che cresce lentamente fino a diventare
parossistica attraverso canzoni quali Saloche sembra
appartenere, in certi momenti, a Leonard Cohen o come la
scarna Lymn Marshmallow in cui sembra che si siano
incontrate quasi per caso parole e musica e che la stessa
forma canzone sia tralasciata. O addirittura dimenticata,
cosa che avviene quando il basso di In on the Swing,
seguendo una sua linea ripetitiva ipnotica sciolta dagli
altri strumenti per poi muoversi in simbiosi con la
chitarra nel finale, rende così vere e sofferenti le
semplici linee del cantato.
Episodi come How I Beat
the Devil e I Wear the Gold, più dissonanti e robusti,
propongono soluzioni nuove molto particolari: la tensione
cresce senza però sfociare nel noise. Le capacità
compositive fuori dal comune del duo ex-Slint sono
potenziate ed esaltate dall'appoggio dei due Tortoise
basti sentire Winter Lair in cui un solo rintocco di
piatti esplode immenso, immerso in un lungo arpeggio di
chitarra ed un flusso continuo di bar chimes. Quello che
succede è che, mosso, sconvolto dai pochi suoni (quando
si dice toccare le "corde" giuste), qualcosa,
dentro, esplode: l'inquietudine che viene dalla
normalità dallo sgangherato, quotidiano dalla
non-verità di tutti i giorni. Che sia art-post-rock?
g.e.
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