Index Cultura - Ottobre 1997

Tranquilli bambini, c’è il tenente Colombo

Il meccanismo dei telefilm dello scalcinato investigatore interpretato da Peter Falk mette in luce uno degli aspetti fondamentali della psicologia infantile (ma anche dell’adulto): la possibilità di identificarsi con un simbolo all’apparenza debole che riesce a sconfiggere quello forte. Cioè il bambino di fronte al complesso e incomprensibile mondo degli adulti

Sicuramente la nuova stagione televisiva arriverà prima o poi ha riproporci alcuni tra i telefilm che appaiono più inossidabili al passare degli anni; mi riferisco alla serie del tenente "Colombo" interpretata da Peter Falk. Un successo di tale portata non è dovuto al caso: così può valere la pena di proporre alcune riflessioni sui particolari motivi che possono motivare tale fortuna.

E’ fuori di dubbio che si tratta di una serie ben confezionata, d’altra parte l’alta professionalità statunitense in proposito è ormai largamente riconosciuta. In questo Colombo non si discosta da altre produzioni, che pure non hanno raggiunto la sua popolarità. Il protagonista è un bravo attore, ne sono testimonianza le interpretazioni da lui fornite in molti film; gli stessi protagonisti, che di volta in volta lo affiancano, nel ruolo di colpevoli, rappresentano il meglio dello star-sistem televisivo americano di ieri e di oggi: ma i buoni attori da soli non bastano a determinare la riuscita di uno spettacolo, come clamorosi e noti insuccessi stanno a testimoniare.

Esauriti glia spetti, per così dire generali, non ci resta che entrare nel merito della vicenda narrata da questi telefilm. Il primo elemento che balza agli occhi è che si tratta di racconti polizieschi del tutto particolari: fin dall’inizio lo spettatore è messo a parte del nome del colpevole, del suo movente, del mezzo usato per compiere la sua opera ed anche delle strategie per procurarsi un alibi inattaccabile. Quindi, dal punto di vista della ricerca del colpevole, non ci sono sorprese. Inoltre ogni racconto segue uno schema assolutamente identico per il quale lo spettatore non viene stimolati ad un processo immaginativo, quanto piuttosto a riconoscere qualche cosa di già visto e a cui è affezionato.

La notevole ridondanza che così si crea favorisce un atteggiamento di rassicurante fiducia sull’esito della vicenda: la domanda fatidica che sorge di fronte ad una vicenda gialla "chi è il colpevole?", viene sostituita dalla più rassicurante "chissà cosa architetterà Colombo per far cadere nella rete il colpevole?". Perché il godimento sta in effetti tutto qui: nello scontro tra l’assassino e Colombo, nella minime variazioni attraverso le quali quest’ultimo realizzerà il suo colpo.

Si tratta, come abbiamo visto, di una vicenda a due personaggi le cui rispettive caratteristiche sono ben delineate e sempre uguali nei vari episodi.

Se prendiamo il esame il colpevole possiamo vedere che, per il solito, si tratta di una persona appartenente ad un ceto sociale superiore, affascinante, ricco. Abita case sfarzose e spesso è una vera celebrità nel suo campo. A tutto ciò affianca una grande intelligenza e una notevole protervia: in sintesi un personaggio potente, abituato ad eliminare chi si frappone al suo cammino, vendicativo, spietato: caratteristiche queste che molto spesso lo accomunano alla sua stessa vittima.

Di contro Colombo si presenta in modo assolutamente dimesso, con quel sua impermeabile sempre sgualcito; bruttino, con quel suo occhio di vetro che lo costringe a piegare buffamente la testa per guadare; guida un’auto che sembra reggersi più per uno strano scherzo del destino che per mezzi propri, e , somma normalità, parla sempre della sua famiglia, moglie in testa, possiede un cane con il quale intrattiene dei rapporti decisamente animistici: non a caso lo chiama "cane " e basta.

Quando poi Colombo viene a contatto con il colpevole e con il suo ambiente assume un’aria meravigliata e incredula per tanta ostentazione di potenza e ricchezza, si comporta in modo goffo e impacciato e, non ultimo, risulta un vero e proprio rompiscatole, assolutamente digiuno del ben che minimo bon-ton, della benché minima discrezione.

Diciamo la verità: chi scommetterebbe una sola lira su di un tipo così? Ma ecco che Colombo, con domande apparentemente innocenti e paradossali, con finte ingenuità o pedanterie, riesce a tessere la sua ragnatela attorno la colpevole, fino a che l’arguzia vince sulla protervia. Emblematica in proposito la scena in cui il nostro eroe, che si sta allontanando meditabondo, si ferma all’improvviso, si volta e rivolge al colpevole una domanda che, nella sua inquietante semplicità, gli fa’ mancare letteralmente la terra sotto i piedi.

Il motivo narrativo che sintetizza questa vicenda sembra esse "il debole prevale sul più forte": questo appare come l’elemento decisivo per il successo di questa serie. Vediamo di spiegarne la ragione attraverso un esempio letterario ancora più chiaro. Nella "Mille e una notte" vi è una novella intitolata "Il pescatore e il genio": La vicenda narra di un pescatore che, tratto a riva un vaso di rame, ne libera un gigantesco genio, il quale minaccia di ucciderlo per vendicarsi così di chi un tempo lo aveva lì imprigionato. I pescatore riesce a salvarsi soltanto grazie alla sua astuzia: mettendo il dubbio il fatto che un omone così grande potesse veramente essere uscito da un recipiente tanto piccolo, induce il genio a rientravi per dimostrare che nulla gli è impossibile. Allora il pescatore richiude velocemente il vaso e lo rigetta in mare.

Non è la stessa strategia usata da Aladin contro Jafar nel cartoon disneyano? Non è forse quello che fa Colombo inducendo il colpevole, che si sente tanto sicuro della sua forza, prima a collaborare con lui e poi, via via, a scoprirsi sempre di più? Questo tema , ripreso dai fratelli Grimm ne "Lo spirito nella bottiglia", mette in luce uno degli aspetti fondamentali della psicologia infantile, che in qualche modo persiste anche in età adulta.

Il bambino, per quanto intelligente sia, si sente incapace ed inadeguato di fronte alla complessità del mondo che lo circonda e di fronte alla necessità di fronteggiare le potenti figure dei genitori all’interno di quel complesso di relazioni che va sotto il nome di situazione edipica. Al bambino, come osserva Bruno Bettlheim, è di grande aiuto il potersi identificare, attraverso le fiabe, con degli eroi che, pur apparendo deboli, così come lui si sente, alla fine riescono a prevalere. In questo modo si sente rassicurato e incoraggiato rispetto alla possibilità di mettere in moto la sue potenzialità vitali senza timore di essere per ciò stesso punito.

Un po’ come di fronte al mito di Davide e Golia, lo spettatore sente la vicenda di Colombo come la sua vicenda, e, se Colombo è in grado, con la forza della sua astuzia, ad avere la meglio sul malvagio potente, ebbene anche lui potrà farlo verso i "malvagi" che incontra nel suo mondo esterno e che, più probabilmente, porta dentro di sé come raffigurazioni del mondo infantile. Una favola dunque, magari aggiornata nell’ambientazione, e, come tutte le favole che si rispettano, non ci stanchiamo mai di farcela raccontare.

a. z.