Nord Est, è lora di andare a scuola
Il
tanto acclamato "miracolo" economico del
Triveneto richiama lattenzione da tutto il mondo
imprenditoriale. Ma ha un grave handicap: nessuno lo sa
proporre come modello riproducibile altrove. Così la
buona reputazione del sistema che ha dato vita ad aziende
internazionali come Benetton, Luxottica o Diesel non
riesce a diventare "egemonia culturale".
Finchè, spiega leconomista Paolo Gurisatti in
questo intervento, non si troverà un punto di incontro
tra ricercatori, imprenditori e politici per fondare una
"Harvard" del Nord Est
Le piccole imprese del
Nord Est, i distretti industriali, le reti si sono
conquistate sul campo, sul mercato internazionale, quella
che si può definire una buona reputazione produttiva.
Gli operatori globali sanno che dalle nostre parti è
possibile acquistare prodotti e servizi di qualità ad un
prezzo conveniente. Alcuni hanno capito anche che
qualità ed efficienza sono, dalle nostre parti, il
frutto di un modello di organizzazione del lavoro e
dellimpresa assai lontano da quello predicato
dallortodossia economica del scientific
management e della business administration
americana e dallo stesso sistema giapponese del just
in time e della qualità totale. Ciò che un
osservatore attento non riesce però a vedere è se nel
Veneto o in Emilia cè qualcuno capace di vendere
il modello, di ricavare cioè dallesperienza
produttiva e organizzativa degli ultimi anni un sistema
codificato ed esportabile di gestione dellimpresa e
delleconomia. Non è chiaro insomma se il Nord Est
riuscirà a passare dalla buona reputazione
allegemonia.
Laspettativa è
forte e chiaramente percepibile in quasi tutti i paesi
del mondo: dal Giappone al Brasile sono ormai molte le
associazioni di piccoli imprenditori e le amministrazioni
che vogliono conoscerci meglio, che vengono in visita,
chiedono spiegazioni, suggerimenti, contatti. Tutti
questi esprimono una domanda di formazione e di
cooperazione di fronte a cui le nostre strutture di
ricerca, le nostre istituzioni, le nostre imprese
sembrano impreparate. Non si tratta di generici
investimenti culturali, si tratta di organizzare una
risposta soddisfacente ad una domanda internazionale.
Ciò avrebbe conseguenze rilevanti non solo sulla
capacità del Nord Est di darsi una più chiara identità
nello scenario globale, ma anche sulla capacità delle
nostre imprese di aggiungere alla reputazione del
prodotto una solida reputazione di sistema.
Gli esportatori del Nord
Est sanno benissimo quanto sia difficile far riconoscere,
anche a molte nostre tecnologie, un rating da serie A,
pur in presenza di livelli di qualità vicini e a volte
superiori a quelli tedeschi o giapponesi. La possibilità
di dimostrare che il successo delle nostre imprese non è
frutto soltanto di una favorevole congiuntura, che lo
sviluppo di reti come quelle di Diesel, Luxottica e
Benetton non è occasionale e può essere replicato,
è quello che manca per ottenere un definitivo
riconoscimento internazionale.
Ma quanto investe il Nord
Est su questa opportunità ? Praticamente nulla! Anche se
alcuni studiosi (come Enzo Rullani nel Veneto e
Sebastiano Brusco in Emilia) sono identificati in tutto
il mondo come intellettuali organici alla piccola
impresa, leader nella ricerca sul modello
post-fordista di sviluppo, la maggior parte dei
docenti universitari continua a tramandare il mito della
grande impresa americana; al Cuoa, prestigioso centro
veneto di formazione post-universitaria, si continua a
proporre un master in business administration;
al Centro Studi sullImpresa e sul Patrimonio
Industriale di Vicenza, embrione di archivio storico
delleconomia del Nord Est, mancano i fondi
indispensabili per ricostruire anche solo una mappa
attendibile dellimprenditoria minore.
Sul fronte esterno poi,
salvo casi sporadici, gli investimenti in reputazione
sono inesistenti. Pochissime imprese esportatrici sono in
grado di portare con sé una immagine convincente del
Nord Est e delle sue istituzioni, dei fattori di forza
del territorio. A chi domanda un modello di sviluppo e di
cooperazione (ad esempio i discendenti degli emigrati
veneti, friulani, marchigiani del Brasile e
dellArgentina) il Nord Est risponde esportando
merci. Eccezioni ci sono, ma restano eccezioni.
Da alcuni anni, ad
esempio, con scarsissime risorse della Regione e del
sistema camerale, lUniversità di Padova promuove
corsi di formazione in Argentina e Brasile sullo sviluppo
della piccole imprese e sui problemi
dellintegrazione economica. A tali corsi
partecipano giovani discendenti di veneti che desiderano
studiare in Italia e ai quali vengono consegnate borse di
studio per sei mesi. Alcuni di loro, dopo la permanenza
in Veneto sono diventati assessori alle attività
economiche, animatori di centri di servizio alle piccole
imprese, funzionari di associazione, hanno attivato
contatti e relazioni che potrebbero portare ad una
crescita degli scambi e della cooperazione industriale.
Ma è una goccia nel mare! Unesperienza
interessante, ma isolata, che non produce massa critica a
fronte di interventi simili dei concorrenti tedeschi e
americani, presenti da tempo nelle scuole, nelle
strutture commerciali del Sud America
"italiano".
Non so quando e dove sarà
fondata la Harvard del Nord Est, ma appare chiaro
che senza un luogo di incontro tra ricercatori,
imprenditori e policy makers che sappia produrre la
ricetta originale del Made in Nord Est, saranno in
molti ad appropriarsi di quello che giustamente Diamanti
definisce un modello senza borghesia.
Investire sulla identità
e sulla reputazione significa lavorare per
unipotesi Politica con la "P" maiuscola,
avere il coraggio di puntare ad una possibile egemonia.
Trasformare un sistema di successo in un modello non è
facile. Bisogna offrire a policy maker e ai piccoli
imprenditori di tutto il mondo una strategia plausibile
per crescere e svilupparsi senza incorrere nelle
distorsioni delle grandi imprese e delle grandi
metropoli. In questa direzione, finora, non sono stati
fatti progressi significativi.
Paolo Gurisatti
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