
1816,
la zattera degli "albanesi"
In
un dipinto ora al Louvre la storia del naufragio della
fregata francese Medusa sembra ricalcare fedelmente
quello che sta succedendo ora sulle coste adriatiche.
Dove gommoni carichi di disperati albanesi vanno incontro
a una sorte a volte tragica
Il dipinto "La zattera della Medusa"
(1818-1819) di Théodore Géricault ora al Louvre di
Parigi racconta un episodio di cronaca accaduto nel 1816:
la fregata francese "Medusa", dopo un ammutina-
mento e diversi tentativi per tenerla a galla, naufraga
nell’oceano, al largo della costa africana. I
naufraghi si precipitano sulle scialuppe, ma queste non
sono sufficienti e, così, 149 di essi vengono stipati su
di una zatterona di fortuna al traino dei barconi. Nella
crisi di una tempesta, però, chi governa le scialuppe
ordina di tagliare le gomene che rimorchiano la zattera
le persone che vi si trovano muoiono, uno dopo
l’altro, nei 15 giorni di terribili sofferenze
passati sopra la rudimentale imbarcazione in balìa delle
onde, prima del recupero dei quattordici superstiti da
parte della nave "Argo": sulla zattera si è
consumato, non solo il dramma di un incidente ma, secondo
la testimonianza dei sopravvissuti, una tragedia umana.
E’ una
rappresentazione romantica che si avvale anche di motivi
espressivi classici e in cui l’intuizione
dell’artista, attraverso la narrazione concitata
dell’evento, piena di contrasti (disperazione -
speranza, vita - morte, luce - ombra) riesce a
trasmettere un significato che va ben al di là del fatto
di cronaca: come se, nel microcosmo della zattera si
rivelasse tutto intera la realtà della natura umana.
"I GOMMONI
ALBANESI"
Difficile non vedere nelle
foto delle pagine dei giornali di questi giorni, che
narrano con ricchezza di dettagli la vicenda dei gommoni
albanesi naufragati al largo dell’Italia, la
sconcertante somiglianza dei particolari con la vicenda
del naufragio della "Medusa": la pietà e il
dolore dei parenti che cercano di trattenere a bordo, o
legati all’imbarcazione, i corpi ormai senza vita
dei congiunti; la priorità assoluta e violenta
dell’istinto di sopravvivenza; la sopraffazione sui
più deboli; la speranza tradita nell’avvistamento
di navi che però non si fermano a soccorrere.
Il realismo di Géricault
induce il pittore a rappresentare "la disfatta
dell’ideale, l’inutilità e la negatività
della storia, l’ostilità tra l’uomo e la
natura, l’incombere della morte negli atti della
vita" (Argan). Ma l’arte che rappresenta
tale contraddittorietà delle passioni dell’uomo è,
come dice ancora Argan, "rifiuto morale della
concezione classico-cristiana dell’arte come catarsi".
L’arte, dunque, non deve fare molti sforzi di
immaginazione per rappresentare certi orrori insiti nella
natura umana. Arte è, talvolta, vita. Forse anche i
naufraghi della "Medusa" avevano raccontato ai
soccorritori che , alla fine, li avevano tratti in salvo:
"C’erano anche i pescecani, li abbiamo visti,
erano a pochi metri da noi".
Sull’immagine di oggi
non c’è più nemmeno la grama consolazione di
un’intermediazione estetica e non viene concessa la
piccola via di fuga di un dubbio, più psicologico che
reale: sarà stato proprio così o si tratta, magari, di
un’enfasi nella fantasia di un pittore ?
G.G.
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