Che
ridere, vado a scuola
Lex
insegnante Domenico Starnone, in pensione da poco, non ha
perso labitudine di raccontare il mondo scolastico
tra umorismo e ironia. Come da tempo fa con i romanzi
("Ex-cathedra") e articoli sul Corriere della
Sera e sul Manifesto. Un riso amaro sui mille problemi
della didattica italiana. Incapace di crescere e,
soprattutto, di far crescere
Finiamola una volta per
tutte con maestrine dalle penne rosse e piccole vedette
lombarde, parafrasando Oscar Wilde: "La scuola è
una cosa troppo importante per poterne parlare seriamente".
Almeno così la pensa Domenico Starnone, napoletano,
professore in pensione da pochissimo che ha sempre
insegnato nelle scuole della periferia romana, e che
unisce oltre all'encomiabile passione per l'insegnamento,
l'amore per una scrittura colta ed assai più raffinata
di quello che egli stesso vuol fare apparire. I suoi
romanzi "Ex-cathedra", "Eccesso di
zelo" ma anche gli articoli sul "Corriere della
sera", su "Il Manifesto"e su
"Cuore" sono perle di umorismo e ironia
devastanti.
Professor Starnone, che
cosa significa insegnare ?
Qualcuno ha detto che
mentre imparare si può, insegnare non si può. È un
mestiere duro e difficile, portato avanti con difficoltà
e dedizione da un buon trenta per cento del personale
docente del nostro paese. Cui bisogna aggiungere un altro
buon trenta per cento fatto di persone meno capaci, ma
sicuramente assai volenterose. È su queste persone che
si basa il sistema educativo di questo paese. Persone
sole che non vengono assolutamente appoggiate né dallo
Stato, né dalla gente.
Che immagine dà, nei
suoi libri e nei film che ne vengono tratti, della
scuola ?
I ragazzi passano a scuola
dalle cinque alle sette ore al giorno e per loro spesso
la scuola coincide con un luogo di sofferenza. Si studia
e si insegna in edifici orribili e fatiscenti oppure
nuovi e assolutamente non funzionali. In cui fa un freddo
gelido da novembre a marzo e un caldo asfissiante da
aprile a ottobre. Il problema della scuola è di
strutture e personale. Senza riforme radicali e
intelligenti non vi è alcuna soluzione. I film e i libri
servono a divertire e a far pensare, ma soprattutto a
ricordare questi problemi gravissimi.
L'arcinoto aforisma di
Oscar Wilde: "Tutti coloro che non sanno
imparare si sono messi ad insegnare" è
vero? Dai suoi romanzi sembrerebbe proprio di sì...
Ho l'impressione che le
cose stiano molto peggio. Temo che l'imparare non basti
più da tempo a far fronte al compito di insegnare.
L'arretratezza e l'inadeguatezza dell'istituzione
vanifica saperi e buone intenzioni. Gli insegnanti che mi
sono più cari sono quelli che non riescono a insegnare
pur passando la loro vita ad imparare.
Cosa pensa di come i
media trattano il mondo della scuola?
Non rientra nella logica
dei media che io parli diffusamente, mettiamo, delle
difficoltà linguistiche della mia ex-alunna Silvia
Murialdi. I media preferiscono parlarne se si impicca nel
bagno per una disperazione che non ha trovato al momento
giusto le parole. La scuola nota ai media è quella della
tragedia che si è compiuta, non dei piccoli mille eventi
attraverso cui una mole infinita di problemi
extrascolastici si rovescia nelle aule e affiora
attraverso il tran tran didattico. Anche i miei
interventi sui giornali, per trovare uno spazio e
lettori, hanno bisogno continuamente di un "belletto
mediale": gradevolezza, ironia, trucchi narrativi.
Professor Starnone, che
cos'è l'umorismo per lei?
E' la socializzazione del
malumore.
Si dice che l'umorismo
sia un fatto di cultura. E' d'accordo?
Se per cultura si intende
una buona reattività verbale, sì. Se per cultura si
intende una buona conoscenza delle tesi freudiane sul
motto di spirito, ne dubito. Conosco gente che non sa
nemmeno di che si tratta, ma ha un grande senso
dell'umorismo.
I suoi primi romanzi
erano incentrati sul mondo della scuola. Perché gli
ultimi deviano leggermente da questo tema?
Gli insegnanti sono
entrati a scuola a sei anni e non ne sono più usciti;
alcuni hanno persino sposato colleghe; quasi tutti sono
molto presenti nella vita scolastica dei loro figli. Io,
oltre a tutte queste cose, scrivo anche di scuola. Mi si
perdonerà se, ogni tanto, caccio un poco il naso fuori.
Come giudica le
ridicolizzazioni di situazioni drammatiche come quelle di
Marcello D'Orta per la serie dei libri sui bambini della
scuola elementare di Arzano?
Il libro di Marcello
D'Orta malgrado tutto conservava un'eco dei drammi della
scuola al sud. Il peggio è venuto dopo: mi riferisco
alla moda editoriale degli scemenzai.
La scuola italiana fa
più ridere o piangere?
Si può piangere ridendo.
Se lo ricorda "L'uomo che ride" di Victor Hugo?
Dietro il riso stampato sulla faccia di chi conosce il
male del mondo c'è il dolore. I potenti, invece, non
vogliono sentire parlare di sofferenze e ridono solo per
ridere, e sembra di chi non ha potere. Per di più lo
fanno con bellissimi denti, anche quando non hanno più
l'età per avere un bel sorriso. Costa molto la risata
dei potenti. Beati i loro dentisti...
m.s.
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