Index Cultura - Novembre 1997

Lo sviluppo dell’identità

2^ puntata

Nella prima parte (Nautilus di ottobre) abbiamo affrontato il tema generale del percorso che permette ad ognuno di sviluppare la propria identità. In questa seconda puntata ci occuperemo dei quelle che rappresentano due possibili vie di sviluppo: quella che agisce secondo le categorie del Vero Sé e quella che si appoggia maggiormente sulle categorie del Falso Sé.

Nella prima parte di questo lavoro abbiamo presentato, lo sviluppo dell’identità come un processo unico, soffermandoci sulle caratteristiche di base che lo contraddistinguono. Volendo compiere una più attenta riflessione sull’argomento occorre vedere come all'interno del processo di costruzione dell'identità si possono sviluppare due diverse linee di evoluzione con esiti significativamente diversi: da un lato una crescita verso quello che possiamo chiamare il Vero Sé e dall'altro l'instaurarsi della predominanza di un Falso Sé.

Vedremo di seguito le caratteristiche principali presentate dal predominio di uno o dell'altro di questi due aspetti, ricordando che si tratta di tendenze non irreversibili, ma certamente significative nell'esperienza quotidiana di ognuno.

Non essendo lo scopo di questo scritto quello di delineare i fondamenti teorici di queste linee evolutive, si rimanda a chi fosse interessato a questo approfondimento alle indicazioni bibliografiche finali.

Il Vero Sé all’opera

Lo sviluppo di un Vero Sé è l'elemento fondamentale che permette all’uomo di riconoscersi come quel "qualcuno" di speciale e di esclusivo che persiste nel tempo e nello spazio, come quell'entità unica che continua ad esistere indipendentemente da come le altre varie parti del Sé cambiano e si spostano, a seconda dei momenti e delle situazioni.

In altri termini possiamo pensare il Vero Sé come quello "zoccolo duro" che permette alla persona di mantenere saldi i suoi bisogni di continuità nel tempo, nello spazio e nella causalità di cui si è già parlato nel numero precedente.

Il Vero Sé può quindi essere visto come partner che rappresenta la realtà delle funzioni dell'Io e in più ha il compito di identificare ed esprimere i singoli desideri di ognuno.

E' l'Io che integra e sintetizza le varie immagini del Sé formate dall'esperienza psicosociale. Ad esempio ognuno gestisce le relazioni o i compiti attraverso uno stile personale e questa esperienza viene integrata dall'Io per rinforzare l'immagine che egli ha di sé stesso.

Il Vero Sé mantiene uniti tra loro le immagini interne del Sé ed i vari comportamenti esterni, ciò ha la grande funzione di permettere alla persona di riconoscere i gesti che caratterizzano la sua vita come oneste espressioni di se stesso, come manifestazioni esterne in cui si può agevolmente riconoscere: "Si, questo sono proprio io!".

Per usare un'immagine, elaborata da Masterson, possiamo dire che noi tutti siamo come un caleidoscopio (idee, comportamenti, speranze, delusioni, persone, situazioni, ruoli ecc.). I pezzi sono gli stessi, e, come i vetri colorati del caleidoscopio, formano anch’essi modelli e figure sempre diverse e sempre in mutamento. Non solo, ma il caleidoscopio viene mosso da quel Sé stabile che tiene il tubo verso la luce, guarda e lo ruota, e riconosce come proprie le immagini che ne scaturiscono, gli piacciano a meno. Esse sono comunque immagini del Sé, che nella loro evoluzione e mutevolezza conterranno sempre una componente costante di base che la fa riconoscere come proprie.

Appare quindi chiaro come sia lo svilupparsi di questo Vero Sé che permette all'uomo di sperimentare appieno gli aspetti basilari di una vita "matura". Seguendo una proposta di Masterson potremmo proporre una sorta di elencazioni di quelle che risultano essere le principali caratteristiche positive dell’azione del Vero Sé.

a) La possibilità di cogliere i veri sentimenti che vengono sperimentati, senza bisogno di negarli. La più diretta conseguenza di ciò sta nella possibilità per la persona di riconoscerne che le esperienze della vita, proprio nella loro molteplicità, possono essere più o meno adeguate al proprio Sé e che esiste sempre la possibilità di decidere sul come utilizzare i sentimenti provati, senza nessun automatismo o schiavitù.

b) La capacità di riconoscere i propri desideri e di identificare le proprie le mete. Ciò implica la possibilità di trasformare e, se del caso, di adeguare i propri sogni e le proprie fantasie ad occhi aperti traducendoli in progetti commisurati alla realtà e quindi fondamentalmente fonte di soddisfazione e non di continua frustrazione.

c) La consapevolezza dell’importanza del sentirsi "riconosciuto" da parte degli altri, pur mantenendo il diritto soggettivo a compiere, indipendentemente da ciò, le proprie esperienze, siano esse scelte di vita o di piacere, e quindi il riconoscimento di possedere una adeguata stima in sé stessi anche a prescindere dall’ottenerne conferma e approvazione da parte degli altri.

d) La capacità di placare le emozioni e i sentimenti, quando essi possano diventare troppo dolorosi. Il Vero Sé non permette all'uomo di "sguazzare" nella sofferenza, come invece accade quando predomina il Falso Sé.

e) La possibilità di prendere con sé stessi e con gli altri degli impegni e di attivarsi per portarli coerentemente a termine: E’ questa caratteristica che permette di realizzare gli obiettivi di studio e di attività professione.

f) L’espressione della propria creatività intesa come capacità di sostituire modelli di vita, che bloccano l'auto-espressione, con altri, ugualmente o maggiormente soddisfacenti. Questa capacità permette alla persona di affrontare adeguatamente anche quelle situazioni della vita che la obbligano a fare i conti con le esperienze dolorose di perdita e di lutto, ed inoltre gli permette di tenere comunque sempre in conto la propria priorità di valori.

g) Sperimentare appieno l’intimità, intesa come la possibilità di vivere una relazione stretta con una persona provando solo una minima e, per altro, controllabile ansia di abbandono o di inglobamento. Su questo aspetto sarebbe necessario un capitolo a se stante, per ora basti ricordare come la "distanza" affettiva che ognuno di noi elabora nei confronti degli altri appare assolutamente decisiva per lo sviluppo di una adeguata relazione interpersonale.

h) La capacità, quando è necessario, anche di stare da soli. Il Vero Sé permette all'uomo di stare solo senza sentirsi per ciò stesso abbandonato, senza costringerlo a ricercare a qualsiasi prezzo una compagnia.

i) La continuità del Sé. L'Io di un'esperienza è continuo e collegato con l'Io di tutte le altre esperienze che ogni uomo ha fatto e farà; il centro interno rimane lo stesso anche quando l'esperienza è diversa, quando si vivono sentimenti alterni, quando varia l'umore ecc..

Questi sono gli aspetti del Vero Sé, formatosi nei primi tre anni di vita, continuamente modellato, plasmato e rinforzato dalle varie esperienze fino alla morte.

Forse la radice della libertà personale dalle relazioni schiavizzanti, dagli oggetti come scopo della vita, trova in questa linea evolutiva personale la sua radice fondamentale.

Quando predomina il Falso Sé

Accanto allo sviluppo descritto, che indubbiamente è significativamente denso di interessanti prospettive, si delineano tutta una serie di problematiche che, pur senza manifestarsi sempre come disturbo psichico conclamato, possono portare un individuo a sviluppare atteggiamenti e comportamenti non adeguati nei riguardi dei suoi rapporti con persone o cose del mondo circostante.

Uno degli aspetti emergenti in questi ultimi anni è quello della presenza sempre più numerosa di persone che appaiono come intrappolate dal loro bisogno di adattarsi ai desideri e aspettative degli altri in modo quasi camaleontico. In molti casi si tratta di persone che si sentono a disagio senza qualcuno o qualche abitudine che le controlli: diventano ansiosi di fronte all'idea di dover gestire da soli la loro vita.

Queste persone sembrano costantemente impegnate a sabotare il proprio slancio alla libertà e il gran piacere di viverla. Sembrano predominati dalla paura e dal panico e alle prese con atteggiamenti francamente autolimitanti, se non addirittura autodistruttivi.

Alcuni hanno bisogno del gruppo, dell'unione simbiotica, dell'ospedale o della prigione, di un leader o di un secondino a cui affidarsi per la direzione da prendere. Sembra quasi che siano indotti a ritenere che sia meglio combattere ogni giorno contro un ambiente ostile o soggiacere a regole imposte da altri, piuttosto che gestire da soli la propria vita e affermare il proprio Vero Sé.

Lo stesso "consumare" non li vede attori protagonisti, bensì gregari di una sorta di rito collettivo che dà significato alla persona in quanto consumatore.

Non solo per queste persone l'obiettivo primario è l'evitare di sentirsi male, ma anche aspetti dell'esperienza quotidiana come l'amore e il lavoro vengono a perdere una delle loro fondamentali funzioni che è quello di fornire un significato alla vita; nelle relazioni assumono un ruolo passivo e di impotenza, cercando qualcuno che si prenda cura di loro piuttosto che qualcuno che le ami e le rispetti come all’interno di un rapporto paritario.

Queste spinte negative arrivano a determinare l'atteggiamento con cui l'individuo interpreta la sua vita, soffocando le inclinazioni positive e aumentando il senso di vuoto interiore. Quando queste persone chiedono a sé stesse: "che cosa ho fatto nella vita?", la loro risposta tipica è: "niente!": se il Falso Sé comanda non si può riconoscere alcun valore a sé stessi. Non si tratta qui di un misconoscimento delle cose fatte, bensì del loro valore, del loro significato intrinseco per la persona.

Non si tratta di individui che presentano delle evidenti patologie, anzi spesso danno l’impressione di una completa normalità. "Intellettualmente sono integri e dotati e mostrano grandi capacità di comprensione in qualsiasi campo intellettuale. Quando cercano di essere produttivi (e sforzi in questo senso sono sempre presenti) il loro lavoro è buono dal punto di vista formale ma è del tutto privo di originalità. Si tratta sempre di una imitazione laboriosa e persino abile di un modello, senza la minima traccia di apporto personale" (Deutsc)

Presi in questa morsa che non permetterà loro di esprimere e affermare autenticamente sé stessi, la loro vita emotiva arriva spesso ad essere caratterizzate da rabbia cronica, frustrazione e sensazione di essere ostacolati.

Quando nell'uomo predomina il Falso Sé ci si trova di fronte ad una sostanziale esperienza di vuoto verso la quale la reazione più frequente è quella di cercare in tutti i modi di riempirla in qualche modo: ecco allora che lo spazio personale si intasa di molte cose (lavoro, hobbies, ecc.) fino al punto che non c'è tempo per pensare e per accorgersi del vuoto stesso.

Proprio a causa di questo lavoro di "riempimento" costante e continuo, queste personalità possono essere esposte a vivere la normale situazione di crisi della mezza età in modo più drammatico, in quanto da un lato può manifestarsi una presa di coscienza dell'impossibilità di realizzare quanto avevano fantasticato e dall’altro lato emerge il rimpianto di non avere affermato sé stessi come persone autonome.

In qualche modo emblematica è la vicenda di James Forrestal, il ministro della difesa degli Stati Uniti, che si suicidò poco dopo essersi dimesso dall’incarico.

Il suo parroco nell’omelia funebre spiegò la sua morte con parole lucidissime: "In verità, ben poche tragedie non si basano su situazioni personali ed intime e non capita certo spesso che un uomo si tolga la vita se la cittadella interiore della sua felicità è ancora salda. Poiché essa rappresenta per lui un posto in cui rifugiarsi: una vita all’interno della vita stessa, e la gioia che proviene da essa rinnova le forze e fa rinnovare la forza d’animo. Ma nel caso che abbiamo davanti, la devozione per il pubblico servizio è stata sostituita dalla misera speranza di una felicità personale" (Rogow).

Altro momento critico lo si può situare negli anni della vecchiaia, che portano così tanti cambiamenti e perdite sociali, ambientali e personali. Si tratta di situazioni che richiedono una flessibilità emotiva e una adattabilità che generalmente questi individui non hanno, proprio perché non sono mai stati pienamente in grado di gestire in modo efficace il cambiamento e la perdita. A maggior ragione in questa fase è possibile che si attivi un grave scompenso depressivo.

Una esemplificazione delle diversità che si instaurano a seconda della predominanza del Vero o del Falso Sé, la si può cogliere negli adolescenti e nel loro modo di amoreggiare.

Nell’adolescente le storie d'amore hanno un duplice scopo: contribuire a stabilire una identità sessuale nelle relazioni con gli altri e quello di fare una specie di ricerca al fine di identificare e sperimentare il tipo di persona che lo attrae e suscita il suo affetto.

Se l'adolescente ha un Sé sano, il feedback che deriverà da questa sperimentazione lo aiuterà a determinare la scelta definitiva del partner e questa sarà una scelta appropriata e caratterizzata da un reciproco scambio di dare ed avere, entro il quale il Vero Sé di entrambi i partner sarà rinforzato e valorizzato.

Infatti, nella prospettiva del Sé e del suo sviluppo, la definizione dell'amore sta nella capacità di riconoscere il Vero Sé dell'altro in modo caldo ed affettuoso, senza esigere legami soffocanti, e nella capacità di godere l'attrazione sessuale, che alimenta la relazione, in modo tale che il benessere del partner diventa importante tanto quanto il proprio.

Questo investimento nell'altro espande, arricchisce e completa l'esperienza del Sé.

Al di là di questi esempi, l'attenzione a questi meccanismi dovrebbe permettere di guardare in modo più disincantato, o forse dovremmo dire meno ideologico, a ciò che accade nelle vicende umane.

Spesso una distratta utilizzazione della scala sociale di valori come unica griglia di lettura della situazione vissuta dagli altri può produrre equivoci che non colgono la vera essenza delle persone: ecco che una persona che passa la sua vita con una dedizione totale al lavoro viene considerata positivamente, mentre un'altra che con la stessa compulsività manifesta comportamenti antisociali viene giudicata negativamente.

Non si vuole con questo arrivare a negare l'importanza dei valori e del loro utilizzo come criterio morale individuale e sociale, ma solamente fermare l'attenzione sul fatto che, dal punto di vista dei meccanismi psichici i due individui sopra descritti sono molto più simili tra loro di quanto una osservazione superficiale, o solamente legata ai comportamenti esteriori, possa far credere.

Questa attenzione, oltre che di indubbia importanza per chiunque si occupi di psicologia clinica, appare utile anche per altri settori di intervento o di organizzazione di una qualsiasi agenzia educativa. Si tratta di un'attenzione che pone al centro non tanto l'azione, ma le sue motivazioni.

a. z.