
Mister Bean,
l’odioso irresistibile
E’
stato fulminato dall’incontro giovanile con Jacques
Tati. Così Rowan Sebastian Atkinson, compassato
ingegnere plurilaureato a Oxford, è diventato
l’esilarante pasticcione quasi muto di decine di gag
tv e ora di un film. Un successo che, come racconta in
questa intervista lo stesso protagonista, ha un segreto:
la crudeltà
Sposato, due figli,
quarantadue anni a Natale. Rowan Sebastian Atkinson è un brillante ingegnere
plurilaureato a Oxford e Newcastle. Fino qui questo
estroso curriculum di un compassato ed elegante
gentiluomo britannico non lascerebbe minimamente
presagire che l’alter-ego di Atkinson sia una delle
figure più famose e importanti dell’immaginario
collettivo degli anni Novanta. Ovvero quel Mr. Bean
perfido pasticcione che fa sganasciare dalle risate con
le sue gag il pubblico di mezzo mondo.
Mr. Atkinson, chi è il
suo comico preferito?
Premetto che - seppure
alle orecchie di molti potrà sembrare incredibile - non
ho visto nulla o quasi di Buster Keaton e non ho visto
molti film di Charlie Chaplin. Invece, posso dire di
essere stato sempre ispirato da altre due grandi figure
della comicità mondiale: Stan Laurel e Jacques Tati. Nei
suoi rari momenti di bontà, Mr. Bean assomiglia molto a
Stanlio. L’incontro con Tati, all’età di
diciassette, mi ha aperto una finestra sul mondo della
comicità visuale. È stato un momento davvero importante
della mia vita, una vera e propria svolta anche se - poi
- ci ho messo più di dieci anni per arrivare a dei
livelli accettabili di "umorismo fisico".
Quest’anno ricorre
il ventennale della morte di Groucho Marx. Cosa ci dice
dell’umorismo dei Fratelli Marx, ne è stato in
qualche maniera influenzato ?
Adoro la comicità dei
Marx Bros. Mi sono sempre piaciuti tremendamente e
soprattutto mi è sempre piaciuta la loro anarchia. Ho
sempre considerato Mr. Bean un Natural Born Anarchist, un
anarchico nato che assomigliava molto a quegli
"anarchici nati" che erano i Fratelli Marx. Tra
di essi, però, il mio preferito in assoluto era Harpo
che veniva un po’ sottomesso all’ego dominante
della comicità verbale di Groucho ed era un po’
troppo sfruttato dagli altri della famiglia. Era davvero
un visionario, assolutamente irresistibile.
Che cosa la fa ridere
oggi?
Adoro la "commedia
della crudeltà" e mi piace molto inserire nei miei
personaggi la mancanza di decenza e di discrezione.
Cosa pensa di Mr.
Bean ?
Lo considero un
individuo "insulare". Un essere egoista e
solitario con rari contatti con gli esseri umani. È per
questo che per Mr. Bean il rapporto con gli oggetti è
davvero importante. Per noi che abbiamo creato il suo
personaggio era necessario caratterizzare gli oggetti
usati da Mr. Bean come la macchina, il rasoio,
l’orsetto perché non essendo la sua una comicità
verbale, avevamo davvero bisogno di legare la sua
immagine a delle cose.
Si dice che i comici,
nella vita di tutti i giorni, siano persone molto
tristi...
Io mi definirei ragionevolmente
serio e abbastanza tranquillo, ma questo non vuole dire -
spero - che io sia triste e noioso. Conosco questo
rinomato cliché e in effetti credo che sia una diceria
messa in giro proprio dai comici. È raro che qualcuno mi
fermi per la strada perché tutti pensano che io sia poi
del tutto diverso dal personaggio che interpreto.
Mr. Bean è una figura
nuova dell’umorismo, tipicamente "Anni
Novanta". Come lo ha "costruito"?
Io sono il prodotto del
sistema scolastico privato del Regno Unito. La mia non
vuole essere una critica, ma è un dato di fatto che io
abbia potuto osservare da un punto di vista privilegiato
le miserie umane e la vita in generale. Io mi sono
divertito moltissimo a scuola e all’Università, ma
fare l’attore era qualcosa che sentivo fortemente
dentro di me e che portavo avanti parallelamente agli
studi. Per fare l’attore bisogna potere osservare la
vita. Non da un punto di vista necessariamente esotico,
ma è comunque necessario potere guardare bene le persone
che ti circondano. È questo che permette all’attore
di essere attore.
Marco Spagnoli
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