Buddista per
caso
Sta
facendo il giro dEuropa per presentare il suo
ultimo film, "Sette anni in Tibet". Dove è un
nazista redento che sposa il pacifismo dei monaci. Ma
anche se nella vita si professa pacifista e tollerante,
Brad Pitt, ultimo "bello" del cinema, non
intende farsi coinvolgere dalla moda buddista di
Hollywood. Perché, dice in questa intervista, "sono
solo un adulto che si mette su del cerone"
Brad Pitt è assolutamente uguale a
come appare sullo schermo. Alto, ma non troppo, biondo,
occhi di un azzurro intensissimo perennemente distratti
da chissà quali pensieri. Bello, non molto espansivo,
quando parla accompagna le parole con marcato accento di
chi è cresciuto in una piccola città di provincia del
Missouri. Lo abbiamo incontrato in occasione della
presentazione del suo ultimo film Sette anni in Tibet,
diretto dal regista francese Jean-Jacques Annaud.
Mister Pitt, lei ha dichiarato che non è stato molto
facile girare alcune scene del suo film, perché non era
capace di avvertire il dolore in maniera così profonda
quanto richiedeva il suo personaggio Heinrich Harrer...
È, vero, ma sa questo
capita a tutti gli attori. È il nostro mestiere, ma ci
sono certe giornate in cui ti svegli ed è difficile
recitare come si dovrebbe.
Sette anni in Tibet racconta
la storia di una grande amicizia tra un alpinista tedesco
e il Dalai Lama allindomani delloccupazione
cinese del Tibet. È, però, anche la storia della
trasformazione di un uomo da egoista e cinico ad attento
ai valori della vita...
Non è un caso, infatti,
che Harrer abbia passato gli ultimi quarantacinque anni
della sua vita a lavorare per la pace. Era un nazista,
era un uomo orribile. Poi lumiliazione del campo di
concentramento britannico, il vagare solo per due anni
sul confine tra India e Tibet e lamicizia per il
giovane Dalai Lama lhanno migliorato e trasformato.
Lei è universalmente
riconosciuto come un "sex symbol" degli
anni Novanta. Quanto influisce questa consapevolezza
sulla scelta dei film da intepretare?
Sono tutte sciocchezze.
Anchio verrò messo da parte un giorno come tutti i
divi hollywoodiani. Desidero solo interpretare pellicole
che rimangano e che non svaniscano via con gli anni.
Qualche film va, qualche altro no. Questa è la storia.
Cosa pensa della ventata di
buddismo che spira su Hollywood ? Molti divi da Tina
Turner a Richard Gere sono, infatti, buddisti.
Lattrazione che il
buddismo esercita sugli americani si spiega facilmente.
Fin da piccoli ci hanno messo in testa valori come denaro
e successo. Una volta realizzato il cosiddetto
"Sogno americano" e raggiunti sia i soldi che
il successo, si scopre di non essere felici, e che
cè un vuoto profondo e inspiegabile. E allora il
richiamo di quel mondo lontano e irraggiungibile diventa
importante. Noi viviamo in una società violenta e
egoista. Una piccola nazione pacifica e serena come
quella tibetana ci appare un miracolo.
Lei, però, non sembra
essersi avvicinato eccessivamente ai principi del
buddismo...
Io non sono buddista, ma
sono vicino ai suoi principi. Credo nel rifiuto della
violenza, nella semplicità e nel rispetto della cultura
altrui. Vengo da una famiglia religiosa, che mi ha
insegnato a rispettare le idee degli altri e le loro
religioni. Sono, però, insofferente delle regole, delle
leggi e delle costrizioni. Non so stare dentro una
disciplina.
E in che cosa crede?
Un film come Sette anni
in Tibet significa la scoperta di una cultura e di un
intero universo. Implica il conoscere prospettive,
principi di vita, di un mondo che non conoscevo e questo
ti modifica. Personalmente, però, credo nella famiglia,
nel matrimonio, nel sostegno reciproco e non vedo
lora di avere dei figli. Da buon americano del
Missouri penso che più delle prediche contino i fatti,
le proprie azioni e su questo gli uomini vanno giudicati.
Qual è il suo rapporto
con la natura?
Mi è sempre piaciuto
stare da solo, in contatto con la bellezza, il silenzio e
la serenità della natura. Per me è sempre stata un
rifugio. Era come varcare la soglia di mondi irreali e
bellissimi. Gli alberi dietro casa mia erano un mondo a
parte.
Cosa pensa della
cultura tibetana e della lotta per la sua salvaguardia
che alcuni suoi colleghi stanno portando avanti?
La cultura tibetana è
come la foresta pluviale amazzonica. La sua scomparsa
toglierebbe ossigeno a tutto il mondo.
Lei pensa che film come Sette
anni in Tibet possano modificare
latteggiamento cinese nei confronti del Tibet?
Non lo so...forse se la
maggior parte dei cinesi vedesse il film...sa io rimango
sempre un po stupito di queste domande. Io sono
solo un attore, cosa vuole gliene freghi a qualcuno di
quello che io penso riguardo alla politica. Io sono solo
un adulto che si mette su del cerone...
Marco Spagnoli
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