Lo
sviluppo dellidentità
3^ puntata
Nei
due numeri precedenti abbiamo visto inizialmente il
percorso che permette ad ognuno di sviluppare la propria
identità (ottobre). E come tale la crescita può essere
beneficiata dalla preponderante azione di quello che
abbiamo chiamato il Vero Sé, o in qualche modo inibita
dallazione del Falso Sé (novembre). Questo mese
affronteremo il rapporto che ogni persona costruisce con
due variabili fondamentali nel processo di costruzione
della sua identità: il tempo e lo spazio
Il tempo nella vita
psichica
Quanto descritto nei
numeri precedenti si apre ad alcune osservazioni in
merito ad alcuni problemi che l'uomo di oggi vive e che
appaiono importanti, anche alla luce del necessario
tentativo di favorirne lo sviluppo più idoneo.
Il primo luogo occorre
riflettere sul significato del tempo.
Da un punto di vista
culturale l'esperienza del tempo ha subito in questi
decenni un mutamento decisivo.
La visione del mondo e
della natura come entità astratta, indipendente
dall'uomo e soggetta a leggi certe e immutabili, sembra
entrata definitivamente in crisi.
Oggi si assiste ad una
spinta per un ricollegamento dell'uomo con la natura e
con le sue leggi in una sorta di equilibrio ecologico nel
quale i mutamenti dell'uno influenzano quelli dell'altro
e viceversa, e in cui il tempo dell'uomo e il tempo della
natura tornano a collegarsi.
In questa direzione sembra
che l'uomo contemporaneo vada scoprendo che il tempo non
è più solamente un tempo storico o un tempo meccanico,
e divenga sempre più importante la ricerca di un tempo
interiore che poi è il tempo dei propri personali ritmi
di evoluzione e maturazione.
L'uomo sembra percepire
che vi è una distinzione tra il tempo dell'azione e il
tempo della riflessione e della elaborazione; quanto
detto può essere inteso, in altri termini, come il
percepire che c'è un tempo dell'essere nel mondo e un
tempo del rifugiarsi nel proprio spazio interiore.
Ma questa è un'esperienza
per molti versi inquietante perché prefigura
l'incertezza e l'ansia che ogni processo di
interiorizzazione prevede: riflettere e rielaborare ha
sullo sfondo il cambiamento e cambiare non è, al fondo
delle cose, piacevole e gradito a nessuno, questo al di
là delle affermazioni esteriori. Questa tra laltro
è una traccia interessante per analizzare il proliferare
di molte organizzazioni che forniscono alluomo
risposte "certe" e
"deresponsabilizzanti" circa il suo futuro (su
questi aspetti sarebbe interessante aprire un dibattito
su queste pagine).
Su questa difficoltà
personale si inserisce il "tempo" della
società, del lavoro, nel quale tutto procede sempre più
velocemente, fino alla saturazione del tempo stesso. Una
società cui le istituzioni decidono, o vengono demandate
a decidere, la ripartizione delle ore; ed ancora il
"tempo" della società del consumo, in cui
viene privilegiata la dimensione dell'"usare"
rispetto a quella del "vivere" il tempo.
In questo senso molte
delle stesse conquiste dell'uomo contemporaneo mostrano
tutta la loro ambivalenza.
Così, ad esempio,
l'enorme velocizzazione dei tempi dell'informazione, fino
all'esperienza di vivere in tempo reale gli avvenimenti
del mondo intero, indubbiamente hanno dato un grandioso
contributo alla crescita della libertà individuale, ma
hanno anche messo a dura prova i tempi di rielaborazione
individuale di cui l'uomo è capace. Si vedano, a questo
proposito, gli studi sui brainframes di Derrick de
Kerckhove.
L'evoluzione tecnologica
è stata fonte di benessere, ma chiede modalità e tempi
di adattamento che appaiono spesso non alla portata di
tutti i membri della società o comunque non compatibili
con i vari momenti che ognuno si trova a vivere: è come
se l'uomo non avesse più tempo di fermarsi se lo ritiene
per sé stesso importante, fermarsi a riflettere, a
ripensare e, perché no, a sognare.
Questa esperienza è tanto
più paradossale se si considera che il cosiddetto
"tempo libero" è una tangibile conquista dei
nostri anni: una conquista forse così
"pericolosa" da non poter essere vissuta
pienamente. Daltra pare, come osserva Abbate, tempo
libero è proprio una brutta parola, che sa di
pianificazione, di un quotidiano dove le ore sottratte al
lavoro vengono circoscritte con un segno di matita sul
calendario. "Il tempo libero dovrebbe glorificare,
forse, la nostra certezza di riconoscere il bene e le
pianure della vita, e non dovremmo buttarlo via, non
dovrebbe trovarci inermi, poveri ed ottusi consumatori di
merci scadenti, di gioie poco autentiche fatte di inutili
corse, di inutili gite, di uneuforia coatta che non
porta nulla alla coscienza se non lincerta
consapevolezza desserci nel mondo".
La stessa esperienza del
tempo risulta essere un fenomeno complesso: vi sono
eventi con una durata ed un esito tutto sommato
prevedibile (ad esempio sappiamo che un bambino nasce
circa nove mesi dopo il concepimento); altri eventi sono
più aperti nel tempo, cosa ben realizzabile
nell'esperienza del bambino piccolo che non sa quando la
madre, momentaneamente assente, tornerà da lui, o se
tornerà, tanto da essere spesso veramente angosciato.
Ancora vi sono momenti particolarmente intensi - dare
alla luce un bambino, il piacere sessuale, le vette del
misticismo, probabilmente la stessa transizione alla
morte - che contemplano un'allentarsi dei legami del
tempo che può portare fino alla regressione a
temporalità più primitive, ad una perdita parziale del
senso di identità.
Ma la privazione che
l'uomo subisce di questo "tempo" ha anche dei
suoi proseliti, appare per certi versi ricercata.
L'ideologia contemporanea dell'azione come regola
principe della società raccoglie tanti seguaci perché
viene a rappresentare un grande meccanismo di difesa
verso l'ansia che nasce dalla possibilità e dalla
difficoltà del cambiamento o, in termini diversi, dalla
paura sempre insita nell'esercizio della libertà, della
scelta tra diverse opzioni.
Lo spazio e la sua
valenza psicologica
La rilevanza psicologica
dello spazio è stata troppo spesso trascurata,
nonostante in questi anni si siano sviluppate numerose
indagini sulle necessità territoriali sia dell'uomo che
degli animali. E' ormai innegabile che l'essere umano ha
dei bisogni spaziali che gli sono fondamentali in quanto
organismo biologico (benché sotto questa aspetto, come
in altri, egli sia più flessibile di altre forme di vita
nelle sua capacità di adattarsi). Si tratta di bisogni
modellati dal costume culturale e dal particolare
atteggiamento personale verso i bisogni e i significati
delle costanze percettive.
Lantropologo Edward
Hall sostiene che: "L'uomo ha molti bisogni,
pulsioni o tropismi. Tra questi, quelli più comunemente
presi in considerazione sono la fame, la sessualità,
l'autoaffermazione. Ma altrettanto fondamentale può
essere il bisogno di far valere un diritto o di
organizzare il territorio, per non parlare del bisogno di
mantenere modelli di ben definita distanza dai nostri
simili" (p 42)
E chiaro che il
termine spazio lo stiamo usando sia nella sua accezione
di spazio psicologico, sia in quella di luogo fisico.
Anzi proprio sugli intrecci tra questi due aspetti e
sulle conseguenze per il nostro continuo lavorio di
costruzione di una identità, che vorrei portare
lattenzione dei lettori.
Da questo punto di vista
una particolare riflessione merita il significato che ha
la casa, intesa come luogo che la persona abita. Jung
sosteneva che la casa ha una valenza intrapsichica, tanto
che egli la assumeva come strumento di analisi per
l'animo umano. Egli affermava che esiste un rapporto tra
la persona e la sua abitazione e che l'abitazione attuale
ha un rapporto triangolare con la casa di origine, con la
casa dell'infanzia. Si tratta di un rapporto spesso
conflittuale e non sempre efficacemente risolto in modo
positivo, ma questo processo appartiene alla ricerca
personale di una propria individualità e di una propria
indipendenza, cosa che viene di fatto ostacolata con
l'entrata in una "casa" istituzionale (dal
collegio alla caserma, dallospedale alla casa di
riposo) nella quale i significati degli spazi sono
predeterminati rispetto alle scelte della persona.
La casa può allora essere
considerata come un luogo privilegiato dove una persona
si rapporta e vive con le sue superfici, con i suoi
oggetti che costituiscono un modo privilegiato di
espressione del proprio inconscio, nel senso che ciò che
sta fuori è l'espressione del mondo interno della
persona, anche se sta fuori di essa.
Ricordando quello che si
era detto a proposito dellimportanza dei confini
per lo sviluppo dellidentità (Nautilus, settembre
1997), possiamo parlare della casa come una sorta di
superficie intermedia tra il mondo interno e quello
esterno della persona; come un'interfaccia che lega
assieme immagini altrimenti spezzettate, con una funzione
analoga a quella della pelle che contiene, raccoglie,
accomoda le parti interne della persona; dà ad esse una
forma riconoscibile, le difende dalle intrusioni
dell'esterno (vedi i lavori di Anzieu e di Bick sulla
funzioni della pelle) .
Questa riflessione ci deve
far pensare a come molte volte il nostro desiderio di
tornare a casa, la nostra nostalgia per la casa possa
esprimere anche il desiderio del ritorno in una sorta di
"grande culla" dove le angosce possono trovare
ricompensazione; tantè che spesso il ritorno
fisico presso la casa agognata risulta, alla fin fine
deludente.
La casa vissuta non è
dunque uno spazio inerte, ma "spazio abitato che
trascende lo spazio geometrico" (Bachelard).
La casa prende
dall'interno la propria forma, così come un vestito, che
per sentirselo addosso non deve essere né troppo stretto
né troppo largo, ma modellato su di sé, con quel tanto
di comfort armonioso che non incute né timore, né
depressione.
Non solo, ma la
funzionalità degli spazi e degli oggetti non coincide
sempre con il loro significato psicologico, ad esempio
una maniglia non è solo funzionale all'apertura di una
porta, ma trasmette anche significati di apertura. Nel
regno dei significati la maniglia apre, così come la
chiave chiude.
Sempre nel regno dei
significati sono importanti tutti i
"nascondigli" e le cose necessarie a
nascondere: nascondere nella casa, nell'animo, agli
altri, a noi stessi. Ecco allora che comodini ed armadi
diventano oggetti e soggetti che hanno il significato
della segretezza, dell'intimità, del mistero. "Lo
spazio interno dell'armadio è uno spazio di intimità,
uno spazio che non si apre di fronte a chiunque"
(Bachelard). E allora, per ritornare allesperienza
delle nostre case: in quante di esse è accettato il
diritto che i suoi membri possano avere spazi privati
accessibili solamente a loro stessi, di cui gli altri non
hanno le chiavi?
Un altro aspetto è quello
degli angoli: ogni angolo, sia esso ricercato per
nascondersi, sia esso incontrato "perché ci si
sbatte il muso", è nell'immaginazione una
solitudine, invoca l'immobilità, l'essere intrappolati.
Heidegger dice che "molte costruzioni albergano
l'uomo, ma poi succede che egli non abiti in esse se per
abitare un luogo non si intende solo l'avervi il proprio
alloggio".
Infine occorre riconoscere
nella case degli spazi abitativi dei singoli soggetti,
delle singole persone e non solo dell'intera famiglia, o,
nel caso dellistituzione, dell'intero gruppo degli
ospiti e degli operatori.
Ciò significa ritrovare
nella casa luoghi, ambienti, ritmi, colori che connotino
la differenza, che connotino degli spazi personali e non
solo delle funzioni. Questa comporta passare del neutro,
dall'asettico al personale, un personale che si
concretizza in spazi riconoscibili, individuali e
differenziati nuovamente per i significati che hanno più
che per le loro funzioni.
Seppur la nostra
riflessione si è interessata dei significati, dobbiamo
constatare come anche in questo campo siamo alle prese
con una pericolosa deregulation per quando riguarda un
altro significato dello spazio: la distanza.
Basti pensare alla
confusione che gli attuali mezzi di comunicazione pongono
tra il vicino e il lontano, un tempo parametri
fondamentali delle relazioni umane.
Virilio presenta un
interessante esempio in proposito. La solidarietà è
basata, tradizionalmente, sullamore per il
prossimo. Oggi, invece, ci viene detto di amare il
lontano come noi stessi. Non il lontano in senso
metafisico, ma quel lontano che vediamo nel video, colui
che non puzza, colui che non ci infastidisce. E qui
assistiamo ad una fondamentale inversione: il lontano la
vince sul prossimo. Come diviene più facile amare questo
lontano che non disturba, non fa rumore, non viene a
bussare alle nostre porte, non ci secca. E come scompare
dincanto il prossimo che disturba, infastidisce,
con la sua sola presenza accanto a noi.
Ma ecco presentarsi anche
unaltra inversione: un tempo il lontano,
lestraneo era il nemico, colui da cui difendersi,
ora invece questa presenza asettica diviene più
amichevole di colui che sta nella porta accanto. Ed ecco
la solitudine dei grandi agglomerati urbani.
a.z.
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