LETTURE&SCRITTURE Dicembre 1997 | |
E dallanno scorso che ha preso piede una curiosa (e inquietante?) abitudine in campo letteraio: lautorecensione libraria. Cioè lautore che si fa la "critica". Ma se la cosa è un po antipatica per i nomi noti o peggio per quelli televisivi (cioè la categoria degli scrittori che compaiono perennemente in tv), per chi è meno conosciuto può diventare un modo anche originale per proporsi. Come fa Giovanni Bergamini, con qualche differenza: la recensione non è sua, ma la "confessione" che segue, si. Noi ve li proponiamo assieme al racconto che ci ha inviato. Rari sono i libri che parlano di politica, forse giustamente, perché alla fine si rivelano noiosi e saccenti - o propagandistici e privi di talento. Tuttavia sulla copertina di questo raro libro, "Mite incandescenza" (Torino 1997), cè una frase che colpisce: "Il confine tra realtà e sogno è molto sottile. La vita al margine tra realtà e sogno è la Politica." Raccontare una storia di politica e di un movimento pacifista che si trova a nascere e crescere in un clima di guerra civile è un atto coraggioso. Ma quello che conta è che il libro si legge col trasporto ingenuo degli anni delladolescenza. Un po come leggere Hemingway quando si hanno tra i 14 e 18 anni. Il romanzo ha uningenuità che cattura anche i più convinti assertori del realismo positivo e razionalista. Questa è la grande dote che lautore consegna ai lettori, quasi fosse una dote di matrimonio. Da questo punto di vista allora la storia diventa meno importante. Tantè che la storia si colloca in un tempo immaginario e in un luogo immaginario. Non luoghi inesistenti, ma luoghi che sono la somma di tanti luoghi visitati dalla Storia recentemente. Anche il tempo non è né nel passato e nemmeno nel futuro: è la somma dei tempi che stiamo vivendo. E adesso con molto del nostro passato. I lettori possono però stare sicuri che si ritroveranno in questi luoghi e in queste vicende. La protagonista si chiama Parsha (anche i nomi sono inventati cercando il richiamo di una cultura globale: Parsha, Stettel, Emmaili, Irving, Jophis, ecc.) e, attorno al suo entusiasmo, si crea un movimento che cerca una via di scampo dalla crisi politica ed istituzionale che attraversa il paese. Tutto questo mentre i politici e i generali litigano, mentre i mezzi blindati dellesercito presidiano le vie di comunicazione e mentre i fautori della via radicale scendono in piazza violentemente. Lhappy-end è evitato per un soffio e la conclusione lascia un che di amaro. Ma nei meandri di questo complesso romanzo, cè abbastanza materiale per una impennata finale che apre la via alle possibilità di riconquista delle iniziali aperture e prospettive. Ivo Schatz Egregio signore, permetta che mi presenti. Sono un autore modenese che scrive romanzi. Nelle librerie di Modena si può trovare il mio romanzo Mite Incandescenza edito da Trauben Torino. Quello che però tengo a dirle è come lavoro. Nella mia bottega artigiana forgio dei manufatti con materiali poveri, che a prima vista sembrano non saper bene da che parte stare. Non cè una facile etichetta che permetta di circoscrivermi in un determinato ambito, o in un certo ambiente letterario. Il mio lavoro consiste nel creare dei mondi (in parte artificiali) dentro i quali le suggestioni intellettuali possano vivere e respirare. Suggestioni che provengono dalla gente comune, con quel suo forte modo di produrre valori e filosofie di riferimento. Io sono un po come quei matti che nello sgabuzzino di casa ricreano in modelli in miniatura città o monumenti famosi. Unattività che potrebbe fare sorridere se non fosse che la Cia ha per anni ritenuto necessario avere un proprio ufficio che facesse questo per quelle città e quei palazzi dove non riusciva ad infiltrare direttamente i suoi funzionari. A proposito, non cè sulla riviera romagnola un parco divertimenti basato sulle miniature? Non chiuda adesso rimuovendomi con un vago cenno della mano e cestinandomi tra i naïf o i mitomani. Perché il mio artigianato nasce in quella terra dove lordine è emergente, il cambiamento è inevitabile e dove i "nuovi venuti" sono portatori di valori positivi. Dunque una letteratura che viene dal nulla. Daltronde la mia non è una riflessione priva di riscontri. Già oggi cè una letteratura che proviene dal nulla - almeno per una parte. Basti pensare alla diffusione dei ladri di idee. Loro sono il primo gradino di una organizzazione che porta alla diffusione del germe della letteratura che viene dal nulla. Purtroppo, però, solo di un moncone di essa. Se non mi sbaglio funziona che i ladri carpiscono tra la folla un canovaccio di idea narrativa; poi lo vendono a persone che possono permettersi di mettere sul mercato il proprio nome, la propria reputazione e la propria fama. Questi a loro volta fanno svolgere il compito a dei gosthwriters. Alla fine il prodotto così confezionato è vendibile. Dunque è già in parte letteratura che viene dal nulla. A parere mio - e di fronte alle statistiche di vendita - il sistema non funziona per la letteratura. E vero ha funzionato e funziona a meraviglia per il cinema, ma è una cosa diversa. La letteratura sembra avere bisogno di una scrittura intimamente legata alle idee narrative e ad un pensiero organico. Non basta scrivere bene, non basta avere unidea originale ed emozionante, non basta avere talento, bisogna "essere". Dunque una letteratura che viene dal nulla. Così io lavoro, lasciandomi suggestionare dalla «creazione» di nuovi valori che viene fatta dalla gente comune e costruendo dei paesaggi sullo sfondo dei quali i valori possono prendere rilievo. Cosa può fare un professionista per un artigiano un po matto? Dare una maggiore attenzione verso chi viene dalla parte sbagliata. Una letteratura che viene dal nulla richiede maggiore sperimentazione, maggiore capacità innovativa e la predisposizione a rischiare. Insomma, io vedo che una letteratura che viene dal nulla richiede un professionista della letteratura più in posizione di editor, piuttosto che di scrittore o poeta. Il resto - intendo il talento, le storie, ecc. - emerge piano piano dal caos. Però come tutte le cose che emergono, non cammina con le proprie gambe. I professionisti allora debbono armarsi di una sensibilità ad hoc per poter preparare un prodotto che possa stare al pari con i classici in dignità e in vendite. La biografia Giovanni Bergamini nasce il 3 maggio del 1956. Perché allora esce con un libro così tardi a quarant'anni di età? Scuole inferiori. Il suo talento si rivela precocemente con i primi componimenti liberi. Tutti sono disposti a riconoscergli una buona disposizione verso le lettere, ma nessuno gli sa indicare cosa fare di questo talento. Liceo classico. I vecchi professori con un piede nella pensione sono troppo distratti dalla personalità di altri giovani in grado di digerire grandi quantità di cultura, per accorgersi di quel talento. Poi i vecchi vanno in pensione, spinti via da un mondo studentesco che non li capisce e li detesta, e una nuova generazione subentra: una generazione di precari, poco preparati e insicuri. Questi notano il talento, ma sono troppo concentrati ad evitare le aggressioni degli estremisti di sinistra per indicargli una strada da percorrere. L'autore, convinto di non volersi legare con una società in pieno disfacimento, strappa ogni connessione con l'ambiente paterno - medicina - con il suo ambiente abituale - lettere - e con gli altri ambiti prevedibili - avvocatura, commercialista, ecc. Sceglie qualcosa di inusuale: l'agronomia. Laureato in agronomia, si perfeziona all'università in economia. Dopo, passa un periodo come professionista a fare studi di fattibilità e progetti strategici per enti semi-pubblici, cooperative, ecc. Rovinato da tangentopoli che riduce drasticamente i finanziamenti per questo tipo di studi ed analisi, entra nel pubblico impiego come funzionario e si dedica alla programmazione delle politiche in agricoltura. E il suo talento? Ovviamente non è molto utile nella sua professione. Però, come le erbe cattive, ricaccia germogli e alla fine esplode. Si manifesta in maniera strana, più come appendice delle ricerche iniziate all'università, piuttosto che come applicazione di studi in materia di letteratura. Per questo Mite Incandescenza è un romanzo atipico. Nel corso degli ultimi sette anni ha concorso a due premi MontBlanc con romanzi inediti. Ha sottoposto tre romanzi alla valutazione di editori, senza ricevere risposta. Ha inviato racconti alle riviste per esordienti trovando solo una volta comprensione, se non pubblicazione per un motivo tecnico - eccessiva lunghezza del racconto. Ha interessato valutatori professionali dai quali non ha ricevuto risposta. Infine ha pubblicato il romanzo Mite Incandescenza presso Trauben Torino, in distribuzione nella sola provincia di Modena. Dei e videotape Jeans, tutto jeans. Tutto era stato colorato di azzurro, a causa di quella particolare tonalità di blu del jeans. Poi, a tratti, macchie, provenienti dai giacconi, dalle felpe, dalle sciarpe, dai foulard. Un' accozzaglia di colori che offendeva l' occhio. L' effetto complessivo, per me che passavo, inosservato e distaccato, era irritante, brutto, scostante. Però, devo ammettere, non erano le persone ad ispirare una smorfia di disappunto. Io guardavo uno ad uno quei ragazzi, che si erano calati nei jeans e che avevano scelto con tanto poco gusto l' accostamento di colore. Io li guardavo e li trovavo belli, dignitosi. Le ragazze erano pulite, con i lunghi capelli pettinati. I vestiti erano freschi di bucato. I rattoppi erano tutti artificiali e fatti secondo la moda. I ragazzi invece, perlomeno alcuni, si tenevano con meno cura: avevano i capelli lunghi, trasandati e unti; la barba non era fatta e si atteggiavano a sciatti e navigati, come se uscissero ora da una bettola, freschi di puttane, di alcool e bestemmie. In definitiva erano belli tutti quei ragazzi: ma, da lontano, avrei voluto spazzarli via con una robusta ramazza, tanto erano brutti, scomposti e inadeguati a stare nel posto che avevano scelto per fare gruppo e sciame. La chiesa era una costruzione enorme, che sovrastava una piazza modesta. Le due erano separate da una scalinata, circa una decina di gradini, alti, marmorei, ingrigiti dallo smog, macchiati dagli escrementi di piccione, pieni di cartacce. Non era questa la cosa triste: non era la sporcizia o l' usura a rattristarmi. Nel vedere un monumento trascurato, avevo sempre pensato che vi fosse della bellezza in potenza. Non mi lasciavo prendere dalla bruttezza del tempo che fa sfiorire anche la più alta vetta del bello. Io, che avevo tempo, non mi lasciavo impressionare dal tempo che fugge e lascia dietro di sè solo uno scheletro disarticolato. Io pensavo alla bellezza di poter fare rinascere uno splendore in quelle cose che il tempo ingrigisce. Pensavo alla quotidiana e costante manutenzione che permette alla bellezza di durare nei secoli, nel tempo, mentre cambiano i costumi, i gusti, le attitudini, i pensieri. E, proprio mentre concludiamo che i nostri predecessori abbiano sbagliato i conti - facendo una cosa non degna di durare -, basta un restauro, una manutenzione, un nuova interpretazione che la bellezza e la grandezza nascono. Non importa che i nostri predecessori siano riusciti nel creare la vera bellezza, importa che oggi noi ne abbiamo una. Che la bellezza l' abbia messa il restauro, che l' abbia messa l' interpretazione che sia conseguente alla venerazione per l' antichità, non importa. Importa che noi siamo stupidi e stupidamente - giorno su giorno - togliamo lo sporco, rimettiamo il mattone caduto, lisciamo la superficie corrugata, rinnoviamo i fiori appassiti, ricostruiamo gli avanzi dei fasti passati. La chiesa dominava lo spazio e la sua bellezza traspariva oltre le cartacce, oltre lo smog e oltre il passaggio quotidiano di mandrie umane. I ragazzi se ne stavano lì sulla gradinata ai piedi della chiesa, incuranti della sua grandezza. Sarebbero rimasti schiacciati con le dita macchiate di cioccolato o con la bocca unta dalle patatine, se la chiesa avesse avuto un cedimento. Seduti in gruppi, che si formavano in base a sottili meccanismi psicologici, attivati da attrazione, repulsione, potere e disprezzo, i ragazzi davano l'esatta dimensione della loro idea di etnia. Ogni gruppetto diceva qui siamo noi, là sono gli altri. Lì, sotto la facciata della chiesa, avevano consumato un boccone, che si erano più volte scambiato e che era stato confezionato in modo frettoloso e al risparmio. Loro potevano consumare solo pasti poco costosi, sia per vocazione culturale, sia per disponibilità di danaro. Per loro, grandi fucine industriali preparavano cibi a basso prezzo, in serie. Poi, nell' età più adulta sarebbero passati ai cibi fatti con cura, con materie prime selezionate e in locali dove il benessere era coltivato anche nell' aspetto. Per ora, moda e necessità li portavano a consumare il pasto ai piedi dei monumenti e in modo più simile ad un branco che bruca, che ad esseri umani, frutto di una delle più antiche e sofisticate civiltà. Non c' era nulla di brutto in tutto questo, se non l' aspetto complessivo che riceveva chi si avvicinava da lontano. Poi, lentamente, mettendosi fra di loro, annusando i loro avanzi, guardando da oltre le spalle le cose che tenevano in grembo, non c' era nulla che non fosse comune anche a me, nulla che fosse veramente proprio di una razza differente o di una cultura che non mi era appartenuta. Certo erano trascurati, non erano stati allevati nell' abitudine alla cura per quello che li circonda. Tendevano ad essere indifferenti all' ambiente. tendevano a disprezzare ciò che avevano intorno, così concentrati nei loro effluvi ormonali. Ma non era questa una cosa strana, era una cosa perfettamente nell' ordine delle cose. Il tempo li avrebbe sollecitati; l' istinto di conservazione li avrebbe trasformati in attenti addetti alla manutenzione. Presto avrebbero avuto orrore della cellulite, della calvizie, della mancanza di educazione, della scarsità di cultura. Spinti da queste cose, sarebbero corsi in palestra, dal dietologo, in biblioteca, nelle scuole di bon ton. E, dopo aver curato quell' involucro incurabile del corpo, si sarebbero voltati verso il loro ambiente, la loro tradizione, riscoprendo, riattando, rinnovando tutto quello che nella loro infanzia avevano trascurato. Io in mezzo a loro meditavo, facevo considerazioni. Considerazioni non dissimili da quelle che alcuni pensionati, appoggiati poco più lontano ad una colonna della facciata, stavano contemporaneamente facendo. Guardavano questi loro pronipoti, dei quali non comprendevano nulla: né il modo di vestire, né il modo di affrontare la vita, né il modo di divertirsi. Forse io in questo ero un po' più benevolo di loro. Ma ciò era dovuto al mio stato. Non potevo dirmi vecchio, né potevo dirmi coetaneo dei giovani. Però come i giovani potevo immedesimarmi nelle loro piccole avventure, potevo condividere le loro aspirazioni e i loro batticuore. Potevo mescolarmi a loro e lasciarmi trascinare dalle loro discussioni, forse insulse, forse prive di volontà di approfondimento, ma appassionanti e celanti degli veri e propri scontri di potere. Potevo stare vicino a due amici che si scambiavano segni di solidarietà e di affetto e condividere con loro quel caldo sentimento, quella protezione reciproca e quella pacificazione che creava il loro sentimento, anche negli altri ragazzi. Ma come pensionati ero costretto a non partecipare e a rimanere al di fuori del loro interesse. Potevo condividere, ma non potevo essere oggetto del loro amore. Questa era una cosa triste. Per fortuna potevo sfuggire a questa tristezza, in ogni momento, perché potevo mescolarmi agli anziani e partecipare ai loro ricordi, ai loro rimpianti e ai loro metodi di consolarsi per la vita che era sfuggita dalla loro portata. Tutto questo é possibile perché io sono il narratore, perché miei sono i pensieri, le considerazioni e i gusti. Perché io sono un fantasma. Sì, un fantasma, o l' equivalente di un essenza invisibile ed incorporeo, ma pensante e capace di sentimenti. Io passo la maggior parte del mio tempo a dormire. In pratica, quando mi annoio o sono preda di un sentimento di frustrazione, mi basta appoggiarmi ad un angolo di una costruzione, o mettermi sotto un albero, o rifugiarmi in un posto riparato, che tutto si abbuia e passo un periodo di tempo senza pensare e senza sentire alcunché. Poi mi alzo rinfrancato e torno a guardare il mondo, perché é l' unica cosa che mi é permessa, in quanto fantasma. Manco di poteri soprannaturali, non posso comunicare con la telepatia e, fino ad ora, nessuno é mai riuscito a vedermi. Non che ne abbia mai avuto un gran desiderio, ma nemmeno nelle sedute spiritiche mi é stato permesso di esprimermi. Non so come altri fantasmi, se ne esistono, riescano a comunicare; io non ci riesco; anzi ne ho quasi paura. Chi si metterebbe a chiacchierare con qualcuno che non vede e che non dovrebbe nemmeno esistere! Poi sarei pieno di questuanti che vorrebbero miracoli, prove scientifiche della presenza del paranormale, eccetera; io non voglio cose del genere. Non sono nemmeno certo di esistere, se non perché penso in termini di io, figurarsi se sono in grado di dare risposte così importanti. Per fortuna sono curioso e quando non dormo, passo il tempo a guardarmi intorno e a gustare la vita che si diffonde. I ragazzi mangiavano, io no, ma potevo sentire gli odori e la cosa era altrettanto soddisfacente. Un gruppetto si era improvvisamente dissolto, mentre due innamorati si erano messi appena più di lato e, credendo di essere isolati dal mondo, si carezzavano, toccandosi in modo indecente. Gli altri non ci facevano nemmeno caso, nemmeno un' occhiata veniva lanciata ai due: che so, un' occhiata d' invidia, un'occhiata di disapprovazione, niente. Il gruppetto li considerava pienamente autorizzati a fare quello che facevano e nessun sentimento li poteva sfiorare. Come se due si fossero messi a fare una partita a carte; nessuno si sarebbe intromesso, nessuno li avrebbe invidiati, nessuno li avrebbe disturbati. Dei. cioè ...... Dunque dovrei spiegarmi meglio, ma queste sono cose da fantasmi e non posso mettermi a fare paragoni e metafore. Come fossero gli dei, o meglio la rappresentazione degli dei, prima dello sconvolgimento monoteistico, lo sappiamo. Chiunque nelle proprie tradizioni ha degli dei che litigano, combattono, rubano, assistono, eccetera. Beh, grosso modo é così, anche se non é per nulla così. Comunque, per descrivere cosa mi aveva attratto, prendiamo per buona la descrizione antropica degli dei. Poi, se ci sarà bisogno, cercherò di precisare meglio di cosa si tratti. C' era una riunione degli dei. Erano gli dei di una comunità di criminali organizzati. Ogni comunità ha il proprio pantheon di dei, che interviene e prende decisioni per la propria comunità. Insomma, non bisogna pensare a questi dei, come se avessero le caratteristiche di DIO. Bisogna pensarli come dei piccoli capi locali, che invece di essere materiali e di dominare con la propria banda, sono immateriali e riescono a dare ordini direttamente alle persone. Capisco che spiegare sia inutile, ma mi sento imbarazzato a raccontare queste cose, sono stato uomo anch'io (o forse donna, non mi ricordo) e capisco come ci si muova con imbarazzo nelle vicende degli spiriti e delle anime. C' era la riunione per un giudizio di tradimento. Uno della comunità stava passando ad un' altra comunità. Stava cioè per scegliere un' altro gruppo di dei. Gli uomini non erano preoccupati, perché questo uomo non portava con sé grossi segreti e il suo tradimento era veramente poco costoso per l' organizzazione. Dal punto di vista umano, la storia poteva finire così, nell' oscurità e nell' oblio. Per gli dei invece la cosa non poteva finire così facilmente. Era tradimento! Il traditore era un commerciante all' ingrosso di carburanti. Serviva caserme, ospedali, scuole, uffici pubblici, industrie, grandi palazzi. Si era affiliato alla criminalità organizzata per cultura e perché era il modo normale di mettersi in affari. C' era anche che quelli erano gli Dei di famiglia. Lui aveva sempre rispettato gli dei e seguito i loro ordini. Sapeva che gli dei lo avrebbero protetto se si fosse rivolta all' organizzazione per avviare e condurre i suoi affari. E così era stato. Aveva sempre seguito i consigli dell' organizzazione sui fornitori dai quali acquistare e sui clienti da servire e in che modo e a che prezzi servirli. In cambio non gli erano mai mancati i clienti e, se a causa dei prezzi alti, perdeva da una parte, si trovava sempre qualcuno che non avrebbe protestato per l' aumento dei prezzi. Gli dei lo proteggevano e l'organizzazione lo trattava con giustizia. Nonostante le cose strane, forse crudeli, o inspiegabili, che gli toccava di fare. C'era sempre, alla fine ed in fondo, una giustizia, che riparava i torti, che compensava gli squilibri, che proteggeva dai turbamenti. Gli dei gli avevano sempre detto che così andava bene e lo avevano sempre rincuorato nel momento del dubbio. Ora, nella discussione sul suo tradimento, uno degli dei stava dicendo: 'Quest'uomo ha sentito la voce degli dei dell' altra comunità. E' stata un'incrinatura nella nostra gestione, dobbiamo ammettere l' errore: abbiamo permesso che la voce degli altri dei arrivasse ad uno dei nostri membri, inserito nel cuore della comunità. Allora é successo che gli altri dei hanno cominciato a suggerirgli cose inquietanti. Hanno cominciato a fargli vedere come avrebbe potuto, ad esempio, in un' altra zona del paese, vendere ed acquistare in modo più favorevole. Gli hanno fatto sospettare come avrebbe potuto regolare meglio i prezzi di vendita, come avrebbe potuto acquistare a minor costo, usando altri fornitori, come avrebbe potuto usare una diversa organizzazione per i Trasporti, risparmiando moltissimo.' 'Ma questo é nulla - intervenne un' altro dio - gli hanno messo nella testa e in bocca la parola ingiustizia. Da allora va in giro a dire che i nostri ordini sono ingiusti e che sono arbitri e che sono ingiustizie le disposizioni che la nostra comunità gli fa rispettare. Ingiustizie, capite? Come se sulla terra vi potesse essere giustizia! Poi si é rivolto alla polizia: ha cominciato a fare denunce, esposti, proteste. Ingrato e irriverente. E' divenuto sordo ai nostri richiami e ai nostri ammonimenti. Sempre ha dato ascolto agli altri dei, che gli sussurravano di giustizia e di libertà e gli mostravano esempi, là dove la nostra comunità non é ancora arrivata.' Un' altro dio incalzò: 'E' passato dall' altra parte e il suo cuore adesso sente quanto sia pesante restare nella comunità che non gli appartiene. Ma non ha capito che deve cambiare comunità. Rimane fra di noi e combatte contro di noi, invocando la giustizia dei nemici e invocando i falsi profeti che dovrebbero portare anche fra di noi la via della civiltà. Ci combatte, ci odia, ci ha tradito, poterà fra noi il seme nemico. La nostra comunità é guidata da noi e governata dai capi che noi suggeriamo al cuore degli uomini. Non potrà resistere se arriveranno preti, soldati, poliziotti al servizio di una comunità diversa. La comunità va protetta oltre ogni cosa ed oltre il buon senso. Già ci sono tanti individui che non fanno parte della nostra comunità, ma questi ci portano rispetto e se ne stanno fuori dalle cose importanti. Essi vivono con quello che hanno; sanno che se c' é bisogno, ci sarà sempre qualcuno della nostra comunità pronto a dargli una mano. Ma quando ci saranno poliziotti pronti a dare una mano pure loro? La gente non ci porterà più rispetto e gli altri dei cominceranno a fare proseliti anche fra la gente comune. Allora saremo divisi e la nostra comunità dovrà combattere con le armi di strada in strada l' avanzata del nemico che viene dalle terre straniere' 'Bisogna che paghi. Bisogna che sia punito. Bisogna che muoia.' Dissero all' unisono gli dei. Così concordarono di intervenire. Così é successo che i fornitori hanno preteso pagamenti rapidi e puntuali, hanno dato sempre meno disponibilità e che i clienti si sono diradati, anche se veniva offerto un buon servizio e un buon prezzo. E' ovvio che gli dei non parlano. Non discutono e non devono essere convinti di qualche cosa. Ma per capire come si forma una decisione e una valenza che gli dei poi soffiano nel cuore delle persone, conviene che essi si esprimano come farebbero degli uomini in un consesso. Gli dei non sono nemmeno delle entità individuali definite. Essendo un fantasma, queste cose sono facili da capire, essendo uomini, non sono facili da percepire. Non sono dei in modo totale e completo, come insegnano a dottrina, non hanno generato il mondo, non hanno il potere creatore, non sono ubicuitari e onnipotenti. Sono dei semplici effetti mentali perfusi nella comunità. Cioè, quando nasce una comunità, sorgono anche i suoi dei, che la sovrintendono, pervadendo il cuore di tutti i membri della comunità. Cioè sembrano il prodotto della decisione degli uomini di essere una comunità, la conseguenza del loro orientamento comune, dei loro sforzi congiunti e organizzati, della loro fissazione di compiti e regole. Lì sorgono questi dei, che pervadono tutti i membri e li influenzano, orientandoli alla comunità. Le mie parole sono imprecise. Non é proprio così, non esattamente così. Perché non sono governanti, non sono capi, non sono despoti. Sono una specie di generalizzazione della volontà comune. Però, rispetto al singolo individuo, si manifestano come duri, spietati ed inflessibili tutori di un' autorità superiore, come giudici del comportamento, come arbitri del bene e del male. Io, che li posso vedere, posso ben dire come siano spietati e crudeli col singolo, come siano flessibili e duttili, quando cambiano gli orientamenti comuni e le necessità generali. Per gli individui é diventato un bel problema: come seguire il proprio cuore, dentro il quale soffiano i loro comandi gli dei? Perché di questi dei ce ne sono moltissimi. Ce ne sono almeno due per ogni comunità che si forma. E i poveri individui sono sempre lì a subire il soffio divino. E chi oggi giorno non partecipa col cuore ad almeno tre quattro Comunità? Si pensi che si sta sul lavoro, ed é una comunità, poi c' é la famiglia, che attraverso il contatto con la scuola, i parenti, ecc, porta all' individua almeno due o tre comunità; poi ci sono gli amici, che, se si é fortunati, appartengono tutti alla stessa comunità; altrimenti sono altre due o tre comunità che entrano nel cuore dell' individuo; e fanno cinque o sei comunità. Ognuno porta i suoi dei e tutti gli dei si disputano un posto nel cuore e tentano di far entrare il senso di colpa. Tornando al nostro traditore, egli si é chiuso in casa, in attesa di tempi migliori. Adesso vive in una sola stanza dove i suoi vecchi genitori gli portano il cibo cucinato dalle mogli di suoi parenti. La madre é l' unica che può venirlo a trovare dentro la stanza. Il padre deve fermarsi sulla porta. Come succede quando gli porta da mangiare o quando gli conduce qualche amico o parente che lo vuole visitare. Egli ha dato ordine ai suoi vecchi di fare avvicinare solo gente fidatissima e di tenere alla larga, dicendo che é morto, tutti gli altri. Passa le giornate guardando la televisione e ricordando i bei tempi. Sa di essere morto, anche se nessuno si é curato di minacciarlo o di fargli sapere che é in pericolo. Anzi ben pochi si occupano di lui: dopo il suo fallimento, la questione é totalmente rientrata e lui non é più un problema per nessuno. Ma lui vive come un braccato, anzi come se fosse già morto, solo non vuole essere una vera vittima. Il suo animo si é lasciato andare e davvero vive solo quel tanto che basta per far sopravvivere il corpo. Questo corpo vive in una stanza spaziosa, una mansarda con finestre a soffitto. L' interno é completamente ricoperto di perlina di legno. C' é un divano, una tavola rozza, una seggiola, la tv e un bagnetto appena separato da un soffietto. C' é tutto quello che serve ad un corpo. I genitori lo guardano come un matto, ma lo accudiscono amorevolmente. Lo tengono pulito e si preoccupano che non lasci il cibo. Gli portano dei tranquillanti e ogni tanto fanno venire un parente che conosce una donna disponibile. La madre passa col figlio molte ore, spesso senza parlare,seduta accanto a lui sul divano, tenendogli la mano. Il padre si avvicina solo con un lungo rituale: a voce alta nel corridoio si fa riconoscere, poi descrive cosa ha con lui o chi ha con lui. Poi, se ha una persona la fa parlare e dire il motivo della visita. Dopo questo rituale la porta viene aperta e, se c' é un visitatore, si mettono due seggiole nel corridoio dove si può parlare; mai dentro la stanza. Gli dei avevano preso la decisione. Si trattava di trovare il modo e la persona adatta per portare a termine la missione. Discussero parecchio fra loro. Uno degli dei esprimeva quello che era il dubbio di tutti gli altri: 'Siamo di fronte ad un problema: non esistono motivazioni concrete per mettere in moto la macchina della vendetta. Nessuno dei capi della nostra comunità ha motivi di vendetta. Nessuno dei capi guadagnerebbe nulla dalla morte del traditore. Chi allora si accollerà il costo di assoldare un killer? Chi accollerà ad un proprio uomo il rischio di una vendetta così futile? Dobbiamo trovare qualcuno che lo faccia spinto da una vendetta passionale.' L' altro dio colse al volo il suggerimento: ' Una vendetta per passione! bello! Di quelle passioni violente e devastanti che sorgono in persone insospettabili e che possono essere passate, nel processo, per infermità mentale. Così può andare: poco costosa e molto efficace. Possiamo cercare di far sorgere una forte indignazione in persone, o in un gruppo di persone; poi una di loro si incaricherà di portare a compimento la punizione. Sì, succede, é già successo. Siamo fortunati che la nostra comunità sia violenta, sia abituata alla violenza, e spesso ricorra alla violenza per regolare i propri affari. Così non sarà difficile trovare qualcuno che sfoghi la propria indignazione tramite al violenza. Come capita nelle faide.' Il primo rincarò la dose: 'Possiamo cominciare a soffiare sul fuoco di alcune persone e alcuni gruppi della comunità e vediamo se si alza qualcuno che ha rispetto per noi. Dico di scegliere tra i parenti più stretti, perché loro senza dubbio un po' già si vergognano. Poi scegliamo qualche creditore che non é stato pagato. Poi i dipendenti che sono stati licenziati. In tutti soffieremo il vento del risentimento, dell'insofferenza e dell'integralismo. Soffieremo un sentimento di purezza di cuore, al confronto del quale il traditore emergerà con tutta la sua sporcizia, la sua vigliaccheria e la sua grande malefatta. Renderemo sempre più insopportabile la presenza dell'uomo, aggravata dal fatto che come un coniglio si nasconde in una gabbia. Non ci sarà pietà per il disertore; non ci sarà pietà fino a che la giustizia non sarà stata compiuta, togliendo la vita come lui ha tolto la fiducia data alla comunità.' L' altro dio assentì: 'Sì, sono persone passionali. Non ci deluderanno. Il desiderio di vendetta coverà in molti cuori, quei cuori che in qualche modo sono stati colpiti dal tradimento. Dopo il periodo di incubazione, la vendetta esploderà, alimentata dalle chiacchiere dei gruppi, dal disprezzo condiviso e dalla coscienza di essere nel giusto.' Il vento soffiò per giorni e giorni. La scintilla divenne fuoco e il fuoco, ben soffiato, divenne un rogo. Le persone della famiglia, per quanto lontane e distanti dal traditore, cominciarono a mormorare contro di lui. Tutti assentivano, quando, sempre più spesso, si veniva in argomento: era una vergogna, uno scandalo; era una macchia, un disonore insopportabile. Il prescelto per l' azione fu il fratello. Egli, al contrario del traditore era robusto, per nulla flaccido. Un duro, che da tempo sapeva il fatto proprio. Conosceva i vantaggi della prepotenza e li usava per vivere. Sapeva resistere al dolore, poteva resistere per giorni e giorni nascosto in una buca con una brocca d' acqua e un pane rotondo. Lui che era sfuggito alle ricerche della polizia; lui che aveva affrontato l' esilio nei periodi più pericolosi; lui che era uscito solo con lievi condanne dai sei processi; lui che aveva costruito una vita d' onore, sulla sua fermezza, sul suo coraggio, sulla sua fedeltà, sulla sua capacità. Lui, la cui unica macchia era un fratello vigliacco e traditore. Lui non poteva sopportare oltre. L' avrebbe fatto prima, ma era via, quando suo fratello andava in giro con le petizioni, quando andava a piangere sulle spalle dei questori e degli ispettori, quando si era presentato dai politici per avere protezione. Avrebbe agito al suo ritorno, ma il fratello si era chiuso in casa, come un coniglio. Allora aveva avuto la tentazione di perdonarlo. Ma adesso la gente, quella che ha onore, parlava. E parlavano i parenti. Era una storia che sembrava chiusa, che tornava nelle discussioni, come per tormentarlo. Ora provava vergogna a stare nelle riunioni di famiglia;provava vergogna con gli amici; provava vergogna con i capi. Capì che era giunto il momento di intervenire. Bisognava lavare la macchia, ripristinando il suo onore con un gesto difficile e clamoroso, come solo lui avrebbe potuto fare. La sua dignità non avrebbe mai permesso di fingere una punizione e di mandare all' estero il fratello; non ne aveva nemmeno le possibilità economiche; e il fratello non era in condizioni di rifarsi una vita altrove, perché non era più in grado di lavorare. Doveva liquidarlo in modo che fosse chiara la punizione e fosse chiaro che era stato lui. Poi avrebbe fatto un altro piccolo esilio e sarebbe tornato con tutti gli onori e degno della fiducia dell' organizzazione. Andò a colloquio col padre. A lungo discussero della vita e di cosa é importante per un uomo nella vita. Il padre era d' accordo con quel suo figlio; vedevano la vita allo stesso modo; sapevano entrambi quelle che erano le cose importanti della vita. Ciò nonostante il padre era più sentimentale e fu difficile da convincere che c'era un solo modo di fare la cosa giusta. Era vecchio e non se la sentiva di essere brutale. Desiderava mantenere l' affetto anche dell' altro figlio, per il quale sentiva tenerezza. proprio ora che era tornato sotto il tetto della famiglia e che, come quando era piccolo, era indifeso e chiedeva protezione. Il padre faceva adesso, con una mitezza che gli era stata sconosciuta, il suo ruolo di padre affettivo. Ma gli sguardi del figlio, le sue parole, i cenni del capo e i suoi profondi silenzi, che significavano il grande affetto, il grande rispetto, che quel figlio gli portava, lo convinsero, che si trattava di operare con giustizia, per la lealtà che era dovuta, per l' onore e per il rispetto che tutti dovevano portare verso la famiglia, compresi i familiari. C' era la giustizia nei suoi atti, implacabile contro e sopra gli affetti deboli, per affermare gli affetti forti, degli uomini che hanno onore. Fissati i particolari del piano, conquistati gli appoggi necessari, il piano venne attuato un giorno di festa, all' ora della messa, quando le campane suonavano a distesa, richiamando quasi tutti i compaesani dei due fratelli, tranne loro: il primo chiuso nella mansarda con la madre e il secondo nel corridoio, stretto in un abbraccio col padre. Un impulso ancora più angoscioso aveva colto il traditore. Voleva fare testamento. Forse non aveva molto da lasciare, ma ci teneva ad impartire istruzioni per il suo funerale e ci teneva a ricordare in qualche modo i suoi cari. Per ognuno voleva fare una menzione particolare e dare qualcosa di quello che gli rimaneva, affinché si ricordassero di lui. In più, ad ognuno di quelli di cui si ricordava, chiedeva che facessero recitare delle messe in suo suffragio: ad ognuno chiedeva che la messa fosse celebrata in una chiesa particolare o in un giorno particolare. Il suo testamento non venne scritto davanti ad un notaio, che lo conservasse, fu invece dettato, o meglio recitato, davanti ad una video camera. Quel giorno di festa si era fatto portare una video camera di un conoscente, che la usava ai matrimoni, alle cresime e nelle altre ricorrenze. L' aveva anche usata quando era stato in viaggio a Venezia, per avere un ricordo delle gondole e dei grandi palazzi. La video camera fu piazzata su un treppiede in modo che inquadrasse il traditore seduto su una seggiola. Nell' inquadratura entravano anche il divano sul quale sedeva la madre con aria assente e profondamente triste e la porta di ingresso della stanza. Egli dettava i suoi desideri finali, guardando dentro l' obiettivo della macchina, come se potesse, in quell 'estremo tentativo, convincere qualcuno della sua buona fede, della sua sfortuna e del suo diritto ad essere riscattato, almeno da parte di quelli che non partecipavano alla prepotenza e all' arroganza degli usurpatori. Così ora li vedeva e li chiamava, quelli che un tempo erano stati i suoi amici, i suoi colleghi di lavoro e quelli coi quali aveva scambiato affari, affetti e patti d' onore. Usurpatori li chiamava, come se fossero un' armata di stranieri venuta ad occupare con la violenza delle armi, la sua terra natale. Come se fossero degli invasori che tenevano la popolazione sotto il giogo duro e illegittimo di un comando militare. Come se esistesse l' esigenza di una guerra di liberazione da questi non richiesti occupanti del suolo natio. Questo diceva al nastro magnetico della camera e questo consegnava a quello perché lo portasse nelle case dei suoi conoscenti e perché non lo lasciasse morire nell' oblio e nel completo disonore. Il padre, da fuori della porta lo richiamò. Lui si alzo e si avvicinò alla porta, dimenticandosi di spegnere la video camera. La camera lo riprese, mentre scostava la seggiola e si avvicinava con cautela alla porta. Il padre gli annunciò la visita del fratello e gli disse se voleva salutarlo, perché partiva per un viaggio di due settimane. Il traditore disse di non aver tempo ora, che ripassasse. Da fuori, la voce del fratello lo salutò e gli disse che aveva tempo solo in quel momento, perché doveva prendere l' aereo: era una questione di poco solo un saluto ed un abbraccio. Il padre aggiunse che gli aveva portato anche uno dei dolci che lui preferiva e con parole dolci insistette perché aprisse la porta e si facesse abbracciare dal fratello. Nel riquadro dell' obiettivo della camera si vide il fratello che toglieva il chiavistello e girava la chiave nella toppa. La madre nascose il volto fra le mani, forse per la stanchezza, forse per un accesso di tristezza. La porta si spalancò di colpo, colpendo il traditore alla tempia, il quale si abbassò per il dolore con le mani sulla ferita. Il padre entrò chiamandolo con voce lamentosa e cantilenante. Parlava litaniando e ripetendo in modo ossessivo: siamo qui per il tuo bene, vedrai andrà tutto per il meglio, noi ti vogliamo bene, lo facciamo per te. Dietro c' era il fratello, che entro, muovendosi a scatti e impugnando a due mani una pistola. Mirò ed esplose cinque colpi, uccidendo sul colpo il fratello. Si girò, senza una parola, senza indecisione e corse a prendere l' aereo che lo attendeva. Il padre e la madre rimasero immobili, in silenzio, come sulla culla di un neonato addormentato, respirando piano per non svegliarlo e per non rompere quella atmosfera incantata. All' arrivo di una nuora, il tempo ricominciò a scorrere veloce e vennero persone, vennero poliziotti e vennero gli ispettori che che trovarono la videocassetta e vennero i giornalisti ai quali la cassetta venne mostrata e venne la sera l' ora del tele giornale, durante il quale tutti poterono vedere come il fratello aveva lavato e purificato l' onore della famiglia col coraggio di andare oltre i legami di sangue. Giovanni Bergamini, MITE INCANDESCENZA, TRAUBEN, TORINO, PAG. 136 LIRE 18.000, ISBN 88-87013-07-1 |