Index ECONOMIA - Gennaio 1998


L’azienda? E’ una seconda casa

Il contratto di affitto lo firma l’imprenditore, il pagamento è gestito da gruppi di volontariato, i Comuni provvedono al fondo di garanzia e il canone viene trattenuto dalla busta paga del lavoratore. Così, con la supervisione della Prefettura, l’Assindustria vicentina ha stipulato un accordo, unico in Italia, con enti e istituzioni della provincia. Per risolvere almeno in parte il problema delle case agli operai stranieri o del Sud Italia

I contratti di affitto sono stipulati direttamente dalle aziende, a pagare è un’associazione di volontariato e a garantire sono i Comuni: quello che deve fare il lavoratore è firmare una delega all’imprenditore per la trattenuta dallo stipendio del canone. E’ questo l’accordo, sicuramente innovativo in Italia, raggiunto tra Assindustria vicentina, alcuni Comuni, gruppi di volontariato e agenzie immobiliari per affrontare un doppio problema: la disoccupazione e la contemporanea mancanza di manodopera. Il tutto sotto la supervisione della Prefettura, che nella primavera del ‘97 aveva chiesto alle parti di sedersi intorno ad un tavolo.

Tutto nasce in fondo da un paradosso: tra i tanti problemi legati alla disoccupazione (su cui perfino la ferrea Germania si trova in difficoltà) c’è anche la quasi impossibilità delle aziende del Nord (e soprattutto del Nordest) a trovare manodopera. Insomma operai, possibilmente specializzati. I motivi? Che al nord in particolare e in parte anche al sud i giovani di mettersi la tuta blu non ne vogliono più sapere. Meglio altri mestieri, dicono. Ma tra gli ostacoli, anche per quelli che vorrebbero e vengono da lontano e per i moltissimi extracomunitari in cerca di lavoro, c’è quello della casa che non si trova. Perché gli affitti costano come mezzo stipendio e i proprietari diffidano degli stranieri. Così la notizia dell’accordo nella provincia di Vicenza potrebbe essere una buona notizia. Se funzionerà e se altri seguiranno l’esempio.

Il sistema in teoria è abbastanza semplice: il titolare dell’azienda stipula il contratto (di foresteria) per gli appartamenti. Però è chiaro che non se ne occupa direttamente. Così gestione e contabilità vanno in mano a una associazione di volontariato no profit che fa da tramite con i proprietari delle case e provvede ai pagamenti e al controllo generale, compresi i problemi di convivenza e le eventuali liti. Quanto ai soldi, la garanzia viene dal fatto che il lavoratore deve farsi socio dell’associazione e firmare una delega al suo datore di lavoro trattenere il canone dalla busta paga. Insomma, almeno sulla carta, tutti contenti. Compresi i Comuni interessati all’accordo, che da parte loro si impegnano a versare un fondo di garanzia a copertura di eventuali danni agli alloggi o morosità.

"La storia era sempre quella – spiega Carlo Frighetto, uno dei responsabili del settore sindacale dell’Assindustria di Vicenza – Le imprese cercavano operai ma non sapevano dove metterli. Così un paio d’anni fa hanno provato ad accordarsi con le banche per costruire nuove case con prestiti a tasso agevolato. Ma la cosa non ha avuto successo…". Ma nella primavera scorsa la Prefettura propone un tavolo di discussione sull’argomento. Da qui l’idea dell’intesa pro-alloggi: "Il ricorso al contratto di foresteria non è una novità, si fa da sempre – continua Frighetto – La vera innovazione è che questo contratto è oggetto di un patto territoriale fra istituzioni, con tanto di garanzie. Quanti lavoratori potrà interessare? Impossibile dirlo, siamo ancora nella prima fase. Ma basta tenere presente che in provincia di Vicenza ci sono 8 mila extracomunitari, a cui vanno aggiunti i manovali dal Sud Italia".

In realtà, almeno per ora, quello che conta è che si è formato un gruppo di lavoro che potrebbe anche andare oltre il problema affitti. Per l’Assindustria "si potrebbero censire gli immobili comunali abbandonati da ristrutturare. E magari più avanti passare ad una seconda fase, con consorzi e accordi per l’edilizia pubblica, o su nuove forme di orario che tengano conto delle esigenze degli operai che vengono da lontano". Tipo il caso della Armes di Vicenza che prevede tre settimane continuate di lavoro e una libera. Insomma non sarà la soluzione definitiva, ma un passo avanti si.

Alessandro Mognon