
L’azienda?
E’ una seconda casa
Il
contratto di affitto lo firma l’imprenditore, il
pagamento è gestito da gruppi di volontariato, i Comuni
provvedono al fondo di garanzia e il canone viene
trattenuto dalla busta paga del lavoratore. Così, con la
supervisione della Prefettura, l’Assindustria
vicentina ha stipulato un accordo, unico in Italia, con
enti e istituzioni della provincia. Per risolvere almeno
in parte il problema delle case agli operai stranieri o
del Sud Italia
I contratti di affitto
sono stipulati direttamente dalle aziende, a pagare è
un’associazione di volontariato e a garantire sono i
Comuni: quello che deve fare il lavoratore è firmare una
delega all’imprenditore per la trattenuta dallo
stipendio del canone. E’ questo l’accordo,
sicuramente innovativo in Italia, raggiunto tra
Assindustria vicentina, alcuni Comuni, gruppi di
volontariato e agenzie immobiliari per affrontare un
doppio problema: la disoccupazione e la contemporanea
mancanza di manodopera. Il tutto sotto la supervisione
della Prefettura, che nella primavera del ‘97 aveva
chiesto alle parti di sedersi intorno ad un tavolo.
Tutto nasce in fondo da un
paradosso: tra i tanti problemi legati alla
disoccupazione (su cui perfino la ferrea Germania si
trova in difficoltà) c’è anche la quasi
impossibilità delle aziende del Nord (e soprattutto del
Nordest) a trovare manodopera. Insomma operai,
possibilmente specializzati. I motivi? Che al nord in
particolare e in parte anche al sud i giovani di mettersi
la tuta blu non ne vogliono più sapere. Meglio altri
mestieri, dicono. Ma tra gli ostacoli, anche per quelli
che vorrebbero e vengono da lontano e per i moltissimi
extracomunitari in cerca di lavoro, c’è quello
della casa che non si trova. Perché gli affitti costano
come mezzo stipendio e i proprietari diffidano degli
stranieri. Così la notizia dell’accordo nella
provincia di Vicenza potrebbe essere una buona notizia.
Se funzionerà e se altri seguiranno l’esempio.
Il sistema in teoria è
abbastanza semplice: il titolare dell’azienda
stipula il contratto (di foresteria) per gli
appartamenti. Però è chiaro che non se ne occupa
direttamente. Così gestione e contabilità vanno in mano
a una associazione di volontariato no profit che fa da
tramite con i proprietari delle case e provvede ai
pagamenti e al controllo generale, compresi i problemi di
convivenza e le eventuali liti. Quanto ai soldi, la
garanzia viene dal fatto che il lavoratore deve farsi
socio dell’associazione e firmare una delega al suo
datore di lavoro trattenere il canone dalla busta paga.
Insomma, almeno sulla carta, tutti contenti. Compresi i
Comuni interessati all’accordo, che da parte loro si
impegnano a versare un fondo di garanzia a copertura di
eventuali danni agli alloggi o morosità.
"La storia era sempre
quella – spiega Carlo Frighetto, uno dei
responsabili del settore sindacale dell’Assindustria
di Vicenza – Le imprese cercavano operai ma non
sapevano dove metterli. Così un paio d’anni fa
hanno provato ad accordarsi con le banche per costruire
nuove case con prestiti a tasso agevolato. Ma la cosa non
ha avuto successo…". Ma nella primavera scorsa
la Prefettura propone un tavolo di discussione
sull’argomento. Da qui l’idea dell’intesa
pro-alloggi: "Il ricorso al contratto di foresteria
non è una novità, si fa da sempre – continua
Frighetto – La vera innovazione è che questo
contratto è oggetto di un patto territoriale fra
istituzioni, con tanto di garanzie. Quanti lavoratori
potrà interessare? Impossibile dirlo, siamo ancora nella
prima fase. Ma basta tenere presente che in provincia di
Vicenza ci sono 8 mila extracomunitari, a cui vanno
aggiunti i manovali dal Sud Italia".
In realtà, almeno per
ora, quello che conta è che si è formato un gruppo di
lavoro che potrebbe anche andare oltre il problema
affitti. Per l’Assindustria "si potrebbero
censire gli immobili comunali abbandonati da
ristrutturare. E magari più avanti passare ad una
seconda fase, con consorzi e accordi per l’edilizia
pubblica, o su nuove forme di orario che tengano conto
delle esigenze degli operai che vengono da lontano".
Tipo il caso della Armes di Vicenza che prevede tre
settimane continuate di lavoro e una libera. Insomma non
sarà la soluzione definitiva, ma un passo avanti si.
Alessandro Mognon
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