
Il
pericolo giallo
Tra
segni di ripresa delle vendite interne e il forte calo
del prezzo del metallo prezioso, il settore orafo riunito
a VicenzaOro 1 cerca di capire cosa lo aspetta nel
futuro. E più che la crisi delle economie del Far East,
il mercato dell’oro teme la concorrenza di alcuni
Paesi asiatici in grado di competere nell’export
verso gli Stati Uniti
Torna ad arridere alle
loro aspettative anche il mercato interno, dopo almeno
cinque anni di "magra", mentre le vendite
all’estero continuano a dare le consuete
soddisfazioni. Così a VicenzaOro 1, la fiera del settore
orafo inaugurata domenica scorsa, i lavori di standisti e
buyer sono iniziati nel segno dell’ottimismo. In una
settimana dovrebbero arrivare a Vicenza oltre 17mila
potenziali acquirenti, in visita alle quasi 1300 ditte
espositrici: ma è già un successo, dicono gli
organizzatori esibendo le prenotazioni. In generale,
però, gli interrogativi sul futuro dell’oreficeria
italiana, quarta voce delle esportazioni nostrane nel
mondo, non mancano. Da una parte bisogna fare i conti con
il calo impressionante del prezzo del metallo, originato
dalle massicce vendite di oro da parte delle banche
centrali. Dall’altra, si attende di capire quale
potrà essere l’impatto sul settore delle crisi
attraversate negli ultimi mesi dalle economie del Far
East.
Non che gli orefici e i
gioiellieri confluiti a Vicenza siano apparsi preoccupati
dalle ultime evoluzioni dell’economia, tanto più
che i dati per il momento danno loro ragione. Il settore
in Italia vale ormai 11mila miliardi di lire di
fatturato, di cui 7mila di vendite all’estero,
trasforma circa 450 tonnellate d’oro fino
all’anno (il 20% dell’oro lavorato nel mondo),
e conta 8mila aziende con 110mila addetti. Ebbene, per il
1997 la Federorafi stima un aumento percentuale della
produzione dell’8% in quantità e del 4% in valore.
L’export, per il periodo gennaio-settembre ’97,
vede un aumento del 6% in quantità, mentre su tutto il
‘97 i consumi interni dovrebbero essere saliti del
3-4%.
Sono risultati positivi,
che in qualche modo mettono in ombra le novità pur
eclatanti degli ultimi mesi. Ad esempio il calo del
prezzo del metallo, sceso a 300 dollari l’oncia (il
range considerato normale fino a qualche mese fa era fra
360 e 420 dollari), non smuove più di tanto Agostino
Roverato, presidente di Federorafi, l’associazione
dei produttori industriali: "Nel breve periodo il
prezzo del metallo non salirà, semmai tenderà a
scendere nonostante una maggior richiesta di oro da parte
del mercato stimabile intorno al 3%". Pericoli di
disaffezione del consumatore nei confronti dell’oro?
"Non ne vedo, chi acquista un monile non lo fa a
scopo di tesaurizzazione, ma come consumo e in base a
scelte di gusto".
Anche l’altra
importante incognita – vale a dire le conseguenze
sull’export italiano delle crisi attraversate dai
Paesi del Far East – non trova per il momento
risposte molto allarmate. Eppure lo stesso Roverato
registra "la flessione delle esportazioni in
Giappone (meno 30% in valore), anche per la crisi che ha
colpito il sistema distributivo interno, e a Singapore e
a Hong Kong come prima ripercussione della crisi
finanziaria che ha interessato l’area".
Le preoccupazioni sono
infatti orientate in tutt’altra direzione, cioè
verso la crescente pressione competitiva esercitata da
alcuni Paesi asiatici (India in testa) su mercati floridi
come quello statunitense, da sempre destinazione
privilegiata delle esportazioni italiane: "Pur in un
quadro di sostanziale tenuta delle nostre quote di export
– registra Roverato – crescono le minacce
concorrenziali dei Paesi asiatici che, dopo aver
acquisito tecnologia di produzione occidentale, stanno
reclutando personale di vendita europeo per rendere più
aggressivo l’aspetto commerciale della propria
offerta". Quali che siano le prospettive economiche
destinate a pesare effettivamente sul settore, insomma,
le nubi sembrano destinate ad arrivare dal lontano
Oriente.
m.c.
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