Il rock?
Un futuro invecchiato
In
Italia la musica giovane degli anni 80 nacque
dallunione della tradizione e della
sperimentazione. Mescolando la filosofia dei cantautori
classici e i nuovi suoni che arrivavano dal mondo
anglosassone. Ecco cosa significò (e significa) quel
passaggio cruciale nelle parole di Andrea Chimenti dei
"Moda", protagonista di quel periodo e ancora
oggi alla ricerca delle sonorità dei prossimi anni
Quanto tempo ci vuole per
costruire una tradizione? È possibile farlo?
L'espressione rock italiano si è andata rivelando,
dall'inizio anni 80, come un binomio nato
dall'innesto di due corpi estranei, come il risultato di
una sovrapposizione, come la semplice applicazione di
forme esteriori. Ma nessuna opera di ricopiatura può
essere una ricostruzione. Nell'atto di adattare una
scrittura viene perso inevitabilmente qualcosa nel
passaggio ed in quel qualcosa sembra annidarsi la
sostanza delle cose. In realtà il nodo da sciogliere era
come costruire un tessuto artistico e contemporaneamente
una tradizione.
Se poniamo come paletto di
partenza all'interno di questa criticità la compilation
dellI.R.A. Catalogue Issue del 1985 ci accorgiamo
che, in quasi tre lustri, il passo in avanti è stato
compiuto facendo i conti con il passato, attraverso una
forma di aggancio al passato, una sorta di crossover
(usando questo termine come una categoria temporale) tra
l'humus della tradizione e le istanze del nuovo. Rock è
qualcosa che ha a che fare con l'appartenenza, con le
radici molto più di quanto possa sembrare. Per Andrea
Chimenti che con i Moda debuttò su quella compilation
"c'erano tante speranze, c'era un movimento che
stava nascendo e il fatto di parteciparvi era una bella
esperienza, sentivamo che c'era qualcosa che sarebbe
andato avanti nel tempo. Ci siamo lanciati: sono quelle
cose che si fanno con incoscienza, non si sa bene cosa
accadrà ma si parte".
Andrea Chimenti ha
anticipato il ricongiungimento avvenuto per molti gruppi
italiani dopo l'avventura delle Posse con la tradizione
in sé e con la tradizione della canzone d'autore.
Abbiamo coraggio di usare questo termine perché
"bisogna intendere la figura del cantautore in
maniera internazionale perché anche David Sylvian, anche
Bob Dylan, anche Leonard Cohen sono cantautori, solo che
loro hanno dato alla musica l'importanza, il ruolo e la
dignità che deve avere". Il cantautore di oggi deve
essere un cantante che propone dei testi all'interno di
una composizione musicale, deve dare importanza ad
entrambe le cose, cosa che non è accaduta a suo tempo in
Italia. Nel 93 il tributo a Rino Gaetano (Andrea
Chimenti canta "Escluso il cane"), l'anno dopo
un tributo a Fossati. Gli anni 90 hanno fatto i
conti con gli ultimi 30 anni. Il risultato è stato una
nuova luce sullo scenario attuale: "Della canzone
d'autore se ne è fatta un po' un'indigestione per un
certo periodo negli anni 80 e, come spesso accade,
si fa di tutta l'erba un fascio e si butta via tutto,
sbagliando. Poi succede che anni dopo si va a recuperare:
ma guarda un po' questo disco quanto è bello, questo
artista che cosa ha fatto ed io allora non lo
consideravo. A me è successo così: gli anni 80,
gli anni 70 sono stati un periodo in cui ascoltavo
esclusivamente musica straniera, inglese, erroneamente, e
poi c'è stato un recupero dopo. E come me hanno fatto
molti altri.
Artisti che sono stati
persi da parte di chi allora faceva rock italiano".
"Un rapporto che ha a
che fare con la musica ma soprattutto con i testi. Non si
può prescindere dalla propria tradizione altrimenti si
rischia di scimmiottare qualcosa che non ti appartiene.
Questo è stato un rischio per molti gruppi (noi
compresi) che negli anni 80 ascoltavano solo musica
inglese o americana. Così succedeva che tu li imitavi,
però non si può fare un tipo di percorso disdegnando
quello che è il tuo terreno, il tuo mondo. Insomma il
ruolo di apripista per qualcosa che era completamente da
inventare".
Per questo forse era
necessario fare un po' di terra bruciata col passato, ed
oggi l'attuale panorama italiano sembra essersi liberato
dalle costrizioni e forzature, dalle necessarie citazioni
e dagli scomodi raffronti. Lula, Cesare Basile, Massimo
Volume, La Crus si muovono con personalità ed
indipendenza tra contatti con la tradizione e
sperimentazione sonora. Andrea Chimenti coniuga strumenti
acustici e ricerca sul timbro degli strumenti, temi
eterni e modernità: "Di base è questo. Credo che
con la chitarra classica si possano fare cose
estremamente moderne. La
chitarra classica può essere suonata in mille modi e la
chitarra classica può essere più potente di 2000
chitarre elettriche. Oggi si crede ancora che il muro di
suono, il saltare, l'inveire dire slogan sul pubblico sia
trasgressione. In realtà non è così, non lo credo
assolutamente. Oggi è più trasgressivo parlare di amore
che non parlare di ribellione".
Ed ecco che sottraendo
Chimenti da una contestualizzazione storica ("Io
credo di essere un po' anomalo. A dispetto del nome dei
Moda credo di essere sempre stato fuori moda, sia perché
al tempo della new-wave e del dark noi facevamo del rock
sia per la riscoperta da cantautori con una ricerca
musicale diversa in un momento in cui le multinazionali
si sono aperte al rock") emerge in particolare
rilievo tutto il suo spessore artistico ed emerge con
composizioni che sono molto di più della somma e degli
elementi in cui le si può scomporre: testo e musica.
"Io credo che le canzoni esistano già tutte. Questa
è una mia teoria: nessuno inventa una canzone ma ci sono
già. Ci sono dei momenti in cui tu le senti passare e le
afferri. Una canzone quando è ben riuscita, insomma se
c'è un do dopo il re, è perché così ti è arrivata,
non può esserci altro. Come se tutto già esistesse. Mi
viene in mente Michelangelo che diceva di tirare fuori le
figure dalla pietra come se già all'interno della pietra
ci fosse già la statua. Ed è bellissima quest'immagine,
io credo sia un po' in questo modo. Una canzone nasce in
modo magico, sempre. In modo inaspettato, incontrollabile
almeno per me. Altrimenti mi reputerei un artigiano e non
lo sono. Posso passare mesi senza scrivere nulla ed in
uno solo comporre 10 canzoni. Sono quei momenti che vanno
afferrati, passa la canzone e la devi leggere,
ascoltare".
Il desiderio di penetrare
la superficie della realtà e trovare in ciascuna cosa lo
spirito che la rende ciò che è, come era nella poetica
di Flannery O'Connor, avviene con un tono di asciuttezza,
di innocenza. Potrebbe sembrare una formula del
linguaggio ma in realtà per Chimenti "è più una
visione delle cose. Per me bisogna recuperare la
semplicità delle cose perché nella semplicità si trova
una grande ricchezza. Viviamo in un mondo in cui tutto è
scarnificato; l'acqua è due atomi di idrogeno ed uno di
ossigeno, per gli antichi l'acqua era
purezza-vita-movimento-sorgente di verità e
rappresentava il sacro, oggi abbiamo scarnificato e
dissacrato la realtà completamente. La vera realtà
guarda dietro le cose partendo con un occhio semplice
più da bambino".
Ma ancora di più la
poetica di Chimenti si sviluppa per un processo di
sottrazione, come se avesse a che fare più con il
concetto di sparizione dell'arte che con quello di fine
dell'arte. "L'essenzialità è stato il bisogno col
passare degli anni di togliere il superfluo. Si arriva ad
un momento in cui senti la necessità di liberarti di
tante cose e quindi vai a ricercare il suono all'origine,
la cosa più semplice, cercare di emozionare con una
nota. E
da qui anche la scelta del
trio, perché tre strumenti possono essere efficaci e
tenere comunque su un concerto. Gli ultimi lavori che sto
facendo sono molto minimali, perché rispecchia molto di
più quello che è
il mio sentire in questo
momento, anche la semplicità, e poi credo che la
semplicità sia una soluzione a molti problemi non solo
musicali ma anche della vita". Ed anche nella voce:
"C'è un approccio più intimo nel cantare. Prima la
voce la portavo sempre ad un certo volume perché era
anche tipicamente rock questo modo di fare. Oggi cerco di
recuperare quella che è la mia voce allo stato naturale,
senza impostazioni, senza nulla. Come parlo così canto.
tento di esprimere la mia voce semplicemente
com'è".
Ecco che la composizione
diventa il punto di incontro contingente tra intimismo ed
altro da sé, tra possibilità di vedere e nebbia che
vela lo sguardo, che chiude gli orizzonti, tra miriadi di
voci ed un unico silenzio, tra il tenere una nota fino al
limite della sua espressività ed un'esplosione di
campionamenti. Nello sperimentare la forza mistica e
religiosa della musica senza cercare scorciatoie è viva
e presente la lezione del compositore lituano Arvo Part.
Secondo William Blake ogni artista è una spia del
Signore, ogni artista è religioso. Ogni ricerca, che sia
sonora, che sia linguistica, testuale, scientifica nasce
da una tensione mistica che si acquieta, si sviluppa, si
determina nell'uso dei simboli che sono fusione di
significante e
significato. L'albero, il corvo, la maschera hanno sempre
avuto una lunga tradizione in questo senso e sono state
recuperate da Chimenti. "Perché tutte le cose
cambiano di anno in anno, si rischia di perdere ogni tipo
di connotazione in questo mondo, forse cercare l'albero,
l'uso del simbolo riporta a qualcosa di stabile nel
tempo.
Forse ne ho bisogno
io".
Nulla cambia sotto il
cielo e le domande dell'Ecclesiaste sono le stesse da
più di 4000 anni. Ma se le inquietudini sono le stesse
è il linguaggio a darne un livello, un tono, uno
spessore diverso. "La poesia può essere questo una
formula che rinnovi il linguaggio. La poesia arricchisce
sempre. Arricchisce chiunque l'ascolti. È la punta
massima del linguaggio, in cui il linguaggio diventa
rappresentativo, comunicazione vera". C'è spazio
per il dubbio solo in fedi profonde, solo in vite in cui
l'inquietudine annulla quasi la possibilità di dire io,
di scoprirsi soggetto. Ungaretti e la poesia ermetica
italiana, Pessoa, il Qohelet: tutti abitanti di uno
stesso territorio spirituale. C'è una sola via per il
cielo: il calvario.
Giuseppe Episcopo
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