Manon
Lescaut, la francese dal cuore italiano
Presentata
di recente a Piacenza e Cremona, lopera di Puccini
conferma la validità della sua scommessa: togliere alla
storia belletti e frivolezze dOltralpe per darle
tutta la passionalità italica. Come fu, in fondo, la
stesura del libretto che passò dalle mani di Ruggero
Leoncavallo a quelle di Marco Praga fino a Luigi Illica
Il primo febbraio 1893 andò in
scena al Teatro Regio di Torino "Manon
Lescaut", terza opera dopo "Le Villi" ed
"Edgar" di Giacomo Puccini. Dopo il successo di
stima di Edgar, Puccini si diede alla ricerca di un
soggetto più aderente alle sue capacità ed al suo
talento e la scelta cadde sul romanzo dell'Abate
Prévost: "Histoire du Chevalier des Grieux et de
Manon Lescaut". Romanzo che è praticamente
unautobiografia dell'autore, prete due volte
spretato, in cui si narra la vicenda della sua turbolenta
giovinezza.
Puccini fu sconsigliato
dai suoi collaboratori di affrontare un tale soggetto in
quanto erano già in circolazione due opere tratte dal
medesimo romanzo, una di Auber e l'altra di Massenet che
ebbe tra laltro un grandissimo successo. Tuttavia
Puccini non si diede per vinto e in una lettera
indirizzata a Marco Praga si legge: "Lui (Massenet)
sentirà Manon alla francese con la cipria ed i minuetti,
io la sentirò all'italiana con passione disperata
".
La vicenda della
composizione del libretto è assai complessa. Iniziò la
stesura del libretto Ruggero Leoncavallo ma ben presto
sorsero dissidi tra lui e Puccini per cui rinunciò alla
composizione. Venne allora chiamato in causa Marco Praga
che stese la trama del libretto suddividendolo in quattro
atti e che praticamente ricalcava il lavoro di Massenet.
Praga chiamò a sua volta come verseggiatore l'amico
Oliva e i due si misero entusiasticamente al lavoro ed
ultimarono il libretto nell'estate del 1890. Durante un
soggiorno a Cernobbio, sul lago di Como, nella residenza
estiva dell'editore Ricordi si diede lettura del loro
lavoro e la soddisfazione fu generale.
Puccini iniziò la
composizione ma sorsero in lui molti dubbi. Ad esempio
l'atto in cui Manon e De Grieux vivono insieme (presente
in Massenet) non lo convinceva e lo volle togliere e
sostituire con altro argomento (da qui nasce l'atto della
prigione e dell'imbarco delle prostitute). Praga, non
condividendo le idee di Puccini e trovando il compositore
irremovibile, abbandonò l'impresa lasciando da solo
Oliva che presto si stancò delle continue pressioni del
Maestro. Giulio Ricordi, su suggerimento di Giacosa,
suggerì il nome di Luigi Illica per portare a buon fine
la stesura del libretto rimasto largamente incompleto.
Illica, dopo aver
ritoccato il primo e secondo atto immettendo alcuni
personaggi secondari, rimaneggiò con l'aiuto dell'amico
Giacosa l'intero testo cercando però di salvare quelle
parti che Puccini aveva già musicate. Finalmente il
libretto, dopo tante traversie, fu terminato e fu
pubblicato anonimo in quanto nessuno dei vari autori
volle assumersi la paternità del lavoro. Puccini
terminò la composizione nell'ottobre del 1892 e l'opera
fu pubblicata con il titolo "Manon Lescaut" per
distinguerla da quella di Massenet.
Con "Manon
Lescaut" Puccini giunge al suo primo vero
capolavoro, rivestendo il tormentato libretto con una
musica quasi sempre disperatamente angosciosa. Anche
nella frivola ambientazione dell'inizio del secondo atto,
quando Manon vive nella casa dorata di Geronte, lo
strumentale è pieno e denso e quindi estraneo alla
levità del momento. Questa non è una limitazione del
compositore ma è una coerenza interpretativa che lo
porterà alla cupa disperazione del terzo atto con il
duetto a tratti interrotto di Manon e Des Grieux, con la
canzone del lampionaio che spezza per un attimo la
tensione e poi il drammatico finale con l'imbarco delle
prostitute. Il quarto atto è un lungo splendido duetto
tra i due amanti ormai giunti allo stremo e con la grande
aria di Manon
che poi spira su un motivo
orchestrale che rieccheggia lievemente il minuetto del
secondo atto.
Opera quindi di grande
inventiva scritta veramente con il cuore in mano con
soluzioni del tutto particolari che formano un
"vasto e infuocato crogiuolo in cui depositi e
scorie bruciano dando la misura di una ispirazione ricca
ed a senso unico" ( Nicastro): il senso della
fatalità e della disperazione. Lo spettacolo andato in
scena al teatro Municipale di Piacenza, montato dal
Teatro Grande di Brescia e che ha fatto tappa al Teatro
Ponchielli di Cremona, è stato di un ottimo livello.
Punto di forza è stata l'Orchestra dei Pomeriggi
Musicali di Milano guidata con grande mestiere ed arte
dal Maestro Maurizio Arena che ha sondato la partitura in
ogni particolare con estremo scrupolo.
Amelia Felle è stata
un'ottima Manon rivelandosi un soprano lirico spinto di
notevole caratura con una linea vocale precisa ed attenta
alle insidie della parte e con una bella presenza
scenica: fa piacere notare come questo soprano abbia
trovato un rendimento vocale di tutto rilievo. Marcello
Giordani era Des Grieux, voce generosa e adatta al
difficile ruolo pucciniano con uno squillo preciso negli
acuti ed un robusto centro. Bene il Lescaut di Franco
Vassallo tendente però a forzare alquanto i suoni.
Corrretti tutti gli altri
componenti della compagnia costituita da Armando Caforio,
Orfeo Zanetti, Valentino Salvini, Sonia Zaramella,
Alberto Jannelli e Giovanni Guerini. La regia era di
Beppe De Tommasi con buone trovate ma con qualche effetto
di troppo. Successo pieno di pubblico che ha lungamente
applaudito tutti gli interpreti.
Luciano Maggi
|