A
Nord Est un "miracolo" firmato dalla storia
Non
regge il mito di un Veneto in cui le piccole industrie
sarebbero nate allimprovviso e dal nulla. Nei
secoli scorsi le radici di un boom economico che insieme
agli "schei" ora produce anche malessere
Il tormentone delle quote
latte e la lotta chiassosa e a tratti maleodorante degli
allevatori del Belpaese, ma sarebbe meglio dire del Nord
e del Nord Est del Paese, hanno riportato
lattenzione di tutti, se mai ce ne fosse stato
bisogno, su queste zone dellItalia doggi in
cui sembra prosperare e proliferare la protesta dei
ricchi assieme alla richiesta di una più ampia autonomia
politica e gestionale.
Non è un caso che
lepicentro delle iniziative di un gruppo assai
consistente di transfughi della vecchia Coldiretti di
democristiana memoria si sia assestato in Veneto e più
in particolare in alcune di quelle località minori, i
paesi oggi urbanizzati che corrispondono però agli
antichi villaggi rurali, delle quali in modo persino
ossessivo sottolinea la crucialità, nei suoi editoriali
sul "Sole 24 Ore", Ilvo Diamanti: accanto a
Zermeghedo e a Gambugliano, infatti, anche Grisignano e
Vancimuglio, roccheforti degli assembramenti in
prossimità delle sedi autostradali da interdire
allincolpevole utenza, si sono ritagliati un
momento di celebrità e, cumulativamente, la distratta
menzione nelle cronache postelettorali del dopo
ballottaggio essendovi giunta la Lega Nord, nella sua
versione veneta, a mietere consensi plebiscitari
aggirantisi fra il 60 e il 70 %.
In questo articolo, però,
non intendo entrare nel merito di una vertenza
spinosissima comè quella lattiero casearia dove,
fatta la debita tara sulle truffe e sui raggiri ai danni
delle comunità più svariate (da quella nostra
allUnione Europea), si ha sempre limpressione
di trovarsi dinanzi ai frutti di un equivoco coltivato
non solo dai governi di età trascorse, ma anche dai
produttori e dalle loro associazioni di categoria (la
fissazione dei tetti di consumo al ribasso fu opera dei
ministri Dc e in specie di Filippo Maria Pandolfi, lo
sfondamento sistematico delle quote venne incoraggiato
per anni dalle associazione e le multe furono ripianate ,
sino ai primi anni 90, dalla fiscalità generale,
cioè dai prelievi fatti a carico di tutti i contribuenti
italiani, ecc.). Né tanto meno voglio chiosare, alla
luce del responso dato nel Nord Est pedemontano dalle
urne, i successi di movimenti autonomisti e separatisti
affrettatisi a correre in soccorso degli allevatori e a
sposarne integralmente le ragioni.
Le due cose, lo so, si
tengono e certamente meriterebbero analisi ben più
distese. Tuttavia offrono anche lo spunto per compiere
alcune riflessioni interessanti sulla natura del disagio
odierno dellItalia settentrionale ovvero su quel
"male del Nord" a cui ancora Diamanti ha
consacrato un suo ottimo libro. Di altri libri e di altre
vicende, preso atto di quel che succede di questi tempi,
viene voglia invece di parlare adesso specie se si assuma
come realistico un dato relativo ai classici rapporti fra
città e campagna in un mondo, quello nostro, dove la
campagna non è certo più il luogo
dellarretratezza e della povertà. Anche gli
allevatori in rivolta, del resto, difendono interessi e
investimenti aziendali corposi (dellordine di
centinaia di milioni come a centinaia di milioni ammonta
il costo delle loro attrezzature, dai caterpillar
antiagenti ai silos mobili piegati al getto aereo del
letame sui pasoliniani poliziotti da un milione e mezzo
di stipendio al mese). La campagna meccanizzata dei
giorni nostri, credo si possa dire, è sotto il profilo
culturale e ideologico lerede neanche tanto
indiretta delle Vandee dantan (i contadini
reazionari di fine settecento, i cattolici intransigenti
del secolo XIX i rurali clerico fascisti del ventennio
mussoliniano, i devoti agricoltori appunto della
Coldiretti bonomiana e della Dc imperante) che da sempre
accerchiano e assediano, nel Veneto in particolare, i
capoluoghi urbani con quel poco di spirito progressista
che di tanto in tanto albergano. Essa, però, è anche,
da qualche decennio in qua, la mecca di una mirabile
espansione industriale chè stata spiegata e
raccontata in molti modi, per lo più sbagliati.
Al mito del contadino pio
e laborioso si è sovrapposta la leggenda del produttore
piccolo o intermedio di origine possibilmente campagnola
che sarebbe lartefice unico di un miracolo
industriale imperniato, nelle periferie e nei distretti
del Nord Est, sulla riuscita di piccole e medie imprese
nate come dal nulla e per scienza o per virtù infusa da
chissà chi.
Naturalmente non è vero,
anche se la lettura distorta del fenomeno di una
evoluzione industriale debole o mancata che nel Veneto
sarebbe stata incapace, fra otto e novecento, di pilotare
e di sottomettere a sé le ragioni dellagricoltura
e di chi di agricoltura vive, vanta non pochi esegeti di
solito superficiali e frettolosi.
E tutto
lorganismo economico della regione, viceversa, che
sin dal secolo XIX, e quindi come minimo da
centanni in qua, risente di una stessa cultura e di
una sorta di guida imprenditoriale e industriale su cui
merita di fare luce.
Le trasformazioni ed anzi
le vere metamorfosi conosciute, e non già tutte subite,
dallagricoltura nel Veneto sin dallottocento
ci portano oggi a riconsiderare con più attenzione
alcuni aspetti di un processo evolutivo di strutture,
tecniche e mentalità destinate a ripercuotersi sulla
storia dellintera regione e del suo sin troppo
celebrato "modello di sviluppo". Questo, come
si sa, prende le mosse, persino nella pubblicistica
corrente e ancor più nel dibattito economico e politico
contemporaneo, da matrici di analisi tutte imperniate
sulle caratteristiche di una crescita industriale
avvenuta per poli e su base territoriale omogenea
allinsegna, sin quasi ai giorni nostri, della
gradualità e del paternalismo imprenditoriale di una
borghesia dalla base forse più ristretta e concentrata
di altre, ma nondimeno provvista di dignità e di
requisiti compatibili con la media delle esperienze
europee talora sin dai primordi detà settecentesca
e di sicuro dalla metà del secolo XIX in avanti. (1.
Continua)
Emilio Franzina
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