Il rock
di Toro Seduto
Cè
un chitarrista americano che ha fatto della sua origine
indiana (la madre è di discendenza Mohawak) sia un
motivo di impegno sociale che di fare musica. Mescolando
il vecchio e il nuovo, Robbie Robertson ha fatto scoprire
agli Usa quanta vitalità cera nei suoni di quelle
popolazioni travolte dallarrivo dei "visi
pallidi"
Anche sforzandosi molto, proprio
non si riesce a credere che Robbie Robertson abbia quasi
sessanta anni. Alletà di cinquantacinque anni
(Robertson è, infatti, nato nel luglio del 1943 a
Toronto da padre canadese e madre di discendenza Mohawak)
il cantante che tanto ha preso a cuore le sorti degli
indiani dAmerica è ancora un uomo pieno di energia
e di voglia di poter dire e fare. Dopo gli esordi negli
anni Sessanta con il suo gruppo The Band al fianco di Bob
Dylan, Robertson ha seguito una carriera musicale come
tante rockstar della sua epoca.
Da qualche anno, però, è
fermamente impegnato nel lavoro di aiutare a ricostruire
la storia delle popolazioni indiane sterminate dagli
occidentali, raccontando le storie di emarginazione degli
abitanti delle riserve e portando alle orecchie del mondo
la denuncia dei dolori e delle sofferenze patite dai
cosiddetti "Native americans". Tutto
questo in una sorta di contaminazione musicale tra due
mondi, due epoche e due filosofie di cui Robertson si
sente erede e che sembrano poi uscire fuori di lui e
superarlo grazie alla sua chitarra.
Mr. Robertson, da dove
le è venuta lispirazione per questa sua musica
così moderna e così antica allo stesso tempo ?
È il frutto di una
visione. Non molto diversa da quella degli inizi del Rock
And Roll quando la musica che veniva dalle
montagne si incontrò con quella che arrivava dal delta
del Mississippi. Quando queste due melodie si sono
incontrate a metà strada ne è nato qualcosa di
entusiasmante e fresco, di nuovo e di vecchio al tempo
stesso, di innovativo, ma anche di rispettoso verso la
musica nord americana delle radici. Oggi la mia musica
viene dal Borneo, da dietro langolo. Ho preso
qualcosa che è qui, ma che la gente non ascolta. È a
tutti gli effetti una musica underground. Portarla
allo scoperto non è stata una cosa facile.
Continua dunque sul
solco iniziato con The red road ensemble in Music
for Native americans ?
Sì, con la differenza
fondamentale che quel disco era originariamente una
colonna sonora per un documentario sugli Indiani
dAmerica realizzato dalla Cbs. Era una composizione
straordinariamente libera, ma - nonostante questo - ho
dovuto comunque fare in modo che la musica si adattasse
in qualche maniera alle immagini. Oggi, con il mio nuovo
cd Contact from the underworld of Red Boy ho
potuto avvicinarmi alla sorgente della mia ispirazione
senza alcuna limitazione di sorta.
Nel suo nuovo lavoro
cè una canzone intitolata The sound is
fading (Il suono sta scomparendo, n.d.r) che
ha una storia commovente e terribile...
Per anni mi sono portato
in giro una cassetta della Biblioteca del Congresso che
conteneva una canzone incisa nel 1942 da una ragazza
sedicenne di nome Leah. Per questa canzone abbiamo
campionato una parte della cassetta e poi ho scoperto che
Leah Hicks-Manning era stata la suocera del mio amico e
poeta attivista nativo-americano John Trudell. Fu arsa
viva, insieme alla moglie e ai figli di John in un
incendio doloso di matrice politica...
Che cosa significa
essere oggi negli Stati Uniti un nativo-americano ?
Molto di più di quanto
volesse dire ieri. Questo accade perché le menti delle
persone si stanno aprendo di giorno in giorno. Solo dieci
anni fa non avrei mai potuto occuparmi di questo
"viaggio musicale" verso la radice della musica
indiana. Ci sono molti segni che le cose possano
cambiare, dentro e fuori le comunità. Le cose
migliorano : alcune ferite sono state risanate, la
gente si sta aprendo e la normalità sembra arrivare.
Qual è oggi il peso
della cultura nativo-americana sulla società
statunitense ?
La cultura è stata sempre
molto privata per gli appartenenti alle comunità. Per la
prima volta oggi molti nativi-americani hanno deciso di
condividere con altri le loro conoscenze e le loro
ritualità. È evidente che molte cose di cui parlo nella
mia musica sono venute fuori solo oggi per la precisa
volontà delle persone che mi hanno aiutato. La loro più
grande paura è che oggi tutto sia stereotipato. Nessun
nativo-americano vuole che la sua cultura appaia
stereotipata agli occhi della gente. Nessuno vuole più
vedere gli "Indiani cattivi" dei film di
cinquanta anni fa. Le loro danze, il loro modo di essere
è qualcosa di privato che può essere condiviso solo a
patto di rispettarlo.
Qual è la vita oggi
delle comunità indiane ?
Molte riserve sono ridotte
alla più misera povertà, mentre altre nazioni indiane
sono magnificenti e brillanti. Non esiste unentità
omogenea che possa essere definita come "i
nativi-americani". Esistono molti gruppi diversi tra
loro e cè molto imbarazzo negli Stati Uniti per
ciò che si è fatto loro. Oggi, è nata la convinzione
che lunico modo per affrontare il triste passato e
preservare la cultura nativo-americana, sia
leducazione al ricordo e al rispetto.
Lei parla ironicamente
di World music Americana,
perché ?
È ridicolo che molte
persone che ascoltano i miei dischi li mettano alla
stregua di quelli che provengono da unisoletta
sperduta nel Sud Pacifico. In realtà questa è
levidenza della segregazione esistita negli Usa nei
confronti dei nativi-americani immaginandosi che questo
tipo di musica venisse da chi sa dove, anziché dalla
collina o dal canyon appena fuori città. È strano ma le
canzoni dei nativi americani corrispondono - alle
orecchie delle persone negli Stati Untiti - a una melodia
che viene dal cortile dietro casa che nessuno ha mai
sentito prima di adesso.
m.s.
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