SPETTACOLO&MODA - Aprile 1998


I film di aprile

Dal Nanni Moretti casalingo alla sfera-thriller di Crichton

Aprile

Nanni Moretti - Silvia Noto - Pietro Moretti - Silvio Orlando Sceneggiatura e Regia Nanni Moretti; Anno di produzione 1998 Distribuzione Tandem; Durata 78’

Nanni Moretti - lo sappiamo - è un regista autarchico convinto delle proprie idee e - francamente - non troppo simpatico. È, però, un genio e questo è fuori discussione. Aprile costituisce una nuova forma di comunicazione per Nanni Moretti e ci apre aspetti di lui che ancora non conoscevamo. È una sorta di lato dolce, di dubbio, di simpatica autoironia condita da mille tic, elevata a forma d’arte grazie a una moglie dolcissima e a un bimbo molto carino e simpatico a esserci offerto dal regista in questa pellicola ‘liberatoria’ e commovente per la sua volontà di confessarsi in maniera molto discreta.

Aprile è un alibi per un racconto impegnato, per mostrarsi sullo sfondo del proprio quotidiano e spiegare come ci si può perfino dimenticare di quello che avevamo sempre ritenuto irrinunciabile quando la vita viene travolta da un evento come la nascita di un figlio. Cosa racconta il cinema se non noi stessi ? Qual è il margine, il limite, il confine tra un film e un documentario ? È difficile dirlo anche per Moretti che fa del cinema nel documentario e del documentario in un film che però è anche una commedia.

Aprile è un gioiello di intelligenza, di ironia, di vita raccontata tramite le immagini dove la finzione e la realtà si mescolano in un rapporto in cui è veramente troppo difficile cogliere il filo. Bisogna - dunque - accontentarsi di vedere le immagini che Moretti ci propone e accettare che siano tutto vero oppure tutto falso. Con moglie, madre, suocera, figlio tutti pronti a raccontarsi sullo sfondo di un’Italia che cambia.

Aprile è storia, è commedia, è realtà ed è anche - però - soprattutto finzione. Silvio Orlando nel ruolo del pasticciere trozkista in un musical stile anni quaranta ? Anche quello ci presenta Moretti. Come verità. Una verità assoluta e diversificata in poche immagini, essenziali, intime e profonde. Dove tutto quello che viene mostrato è assai di più di quello che ci saremmo aspettato.

La politica, la sinistra, la destra, le tensioni, le delusioni e le emozioni vengono raccontate con garbo estremo da un regista che abbandonando la propria maschera di tanti anni, ci racconta in un impeto di gioia e ottimismo come potrebbe essere la sua vita doppiando il traguardo dei quaranta anni, della paternità, della famiglia. Senza paura di guardare al futuro, senza riverenza per un passato ormai diventato parte del suo retroterra culturale e soprattutto umano, senza timore del presente, senza blocchi e finti problemi. Quando anche il musical ‘dei sogni’ sul pasticciere può diventare realtà.

Aprile un film sulla forza della vita, dell’ottimismo e sulla linfa vitale che - fortunatamente - riesce a superare e a inebriare tutti. Perfino l’autarchico Nanni Moretti. Sempre uguale e coerente a se stesso, ma - comunque - capace di rinnovarsi e di andare oltre il proprio vissuto e la propria esperienza. Senza più acrimonia e rabbia. Ridersi addosso fa bene a tutti. Soprattutto per curare le proprie paure. Così ieri Woody Allen, così oggi Nanni Moretti in un film esilarante, intelligente, ben calibrato e inebriante per il suo ottimismo e il umorismo. Un film frizzante come la primavera intesa come stagione nuova che vuole raccontare.

Abbiamo solo fatto l’amore

Daniele Liotti - Valerio Mastandrea - Iaia Forte - Francesco Siciliano; Sceneggiatura Francesco Ranieri Martinotti; Regia Fulvio Ottaviano; Anno di produzione 1998; Distribuzione Cecchi Gori; Durata 78’

Fulvio Ottaviano, il regista del fortunato Cresceranno i carciofi a Mimongo ci riprova con una commedia post-adolescenziale che racconta una gravidanza indesiderata tramite le ansie e le frustrazioni del giovane Simone (Daniele Liotti) che vive la sua vita su un treno Intercity dove, insieme a Leo (Valerio Mastandrea) gestisce un vagone ristorante. L’idea poteva essere anche carina, ma il risultato è tutt’altro che piacevole.

I personaggi, per la maggior parte pendolari popolano questo treno sono poco più che caricature che vivono situazioni con problematiche post-adolescenziali nella maniera più macchiettistica e parodistica possibile. Dialoghi per quindicenni non smaliziati, con una recitazione sempre insulsa e fuori tono rendono questa pellicola insopportabile per il nulla e la noia che la attanagliano. Una regia mediocre e spesso meno che essenziale, poi, non riesce a sfruttare l’innata simpatia e bravura di Iaia Forte e il talento di un Valerio Mastandrea efficace e onnipresente. Un film che si regge più su di lui che sui begli occhi azzurri di Liotti. Ma nemmeno un attore bravo come Mastandrea poteva risollevare le sorti di una pellicola così sconclusionata e insulsa.

Flubber

Robin Williams - Marcia Gay Harden - Chritopher Mc Donald Sceneggiatura John Hughes & Bill Walsh; Regia Les Mayfield Anno di produzione 1997; Distribuzione Buena Vista International; Durata 100’

Flubber è la tipica commedia Disney che però ha tre punti in più rispetto il consueto - del resto ottimo - standard dei film prodotti dalla casa disneyana. Innanzitutto un ottimo Robin Williams, sempre più visionario e perfetto nel ruolo del professore di chimica geniale ma distratto, innamorato ma pasticcione. Poi il Flubber questo rivoluzionario liquido a base polimerica inventato dal professor Brainard dolce e affettuoso come un gattino, ma pazzerellone e dispettoso. Inoltre una storia scritta bene che lascia spazio al romanticismo e alla smodata simpatia dei personaggi con i soliti cattivi che nel più puro "stile Banda Bassotti" ne combinano di tutti i colori per rubare (o rapire ?) il prezioso Flubber e costringere a chiudere per mancanza di fondi il college del professor Brainard.

Insomma una pellicola che - come la maggior parte di quelle Disney - è poetica, divertente e assai tenera e che grazie all’attenta regia di Les Mayfield riesce a sfruttare al massimo le immense capacità istrioniche di un Robin Williams, simpaticissimo e assai in forma.

Kundun

Tenzin Thutob Tsarong - Gyurme Tethong - Tencho Gyalpo - Sonam Phuntsok; Sceneggiatura Melissa Mathison; Regia Martin Scorsese; Anno di produzione 1997; Distribuzione MEDUSA Durata 133’

Martin Scorsese dirige in maniera commovente un film sulla vita del quattordicesimo Dalai Lama che vuole essere non solo un tributo alla propria fede buddista, ma anche una denuncia contro lo spietato espansionismo militare cinese, macchiatosi della distruzione della società metafisica presente in Tibet fino al 1950, anno dell’invasione da parte delle truppe di Pechino.

Interpretato da attori sconosciuti e bravissimi, sottotitolato in italiano, Kundun è una pellicola mistica che - al limite del documentaristico - unisce immagini piene di cura e di sogno, a una storia affascinante, raccontata con sensibilità e accorata commozione.

Kundun ha i toni della fiaba - pur non essendolo - e spiega, in maniera semplice, ma anche molto filosofica e spirituale i perché della fede e dei principi buddisti. Girato in Marocco a causa del divieto delle autorità cinesi di girare in Tibet, Kundun prende nome dall’appellativo con cui viene chiamato il Dalai Lama. Una pellicola molto distante dallo Scorsese cui siamo stati abituati, piena di un misticismo morale e spirituale che riconciliano lo spettatore con la propria interiorità. Un gioco di immagini, parole ed emozioni che è e resta una pietra miliare della storia del cinema.

La maschera di ferro (The man in the iron mask)

Leonardo Dicaprio - Jeremy Irons - Gabriel Byrne - John Malcovich - Gerard Depardieu - Anne Parillaud; Sceneggiatura e Regia Randall Wallace; Anno di produzione 1998; Distribuzione UIP; Durata 135’

Ispirato al romanzo di Alexandre Dumas, il film dell’esordiente alla regia (e si vede...) Randall Wallace, vincitore del premio Oscar per la sceneggiatura di Braveheart di e con Mel Gibson, racconta le avventure dei tre moschettieri, vent’anni dopo il fatidico incontro con D’Artagnan e le lotte contro Richelieu. Sulla Francia regna un giovane Re, Luigi XIV° (Leonardo Dicaprio) che ha imprigionato per motivi dinastici un fratello gemello di cui nessuno o quasi conosce l’esistenza, coprendogli il volto con una maschera di ferro affinché nessuno possa riconoscerlo. Mentre D’Artagnan (Gabriel Byrne) è ancora in servizio presso il sovrano, gli altri compagni d’armi di una volta si sono ritirati a vita privata. Ma il Re è crudele e un piano per sostituirlo con il gentile e nobile Filippo viene portato avanti da Aramis (Jeremy Irons). D’Artagnan dovrà decidere da che parte stare e come sopravvivere a un segreto che porta dentro di sé.

Si può non girare un capolavoro con una storia piena di intrigo, con ottime ambientazioni e un cast di ottimi attori su cui si erge un Leonardo Dicaprio che sorprende sempre più per la sua bravura il suo carisma? La risposta è sì, perché un regista come Randall Wallace è riuscito - con un regia consueta e incapace di osare puntando di più all’azione e al pathos – a realizzare un film consueto, un po’ troppo lungo, che lungi dai toni forti e suggestivi dei "polpettoni di cappa e spada" anni Cinquanta ha dato vita a una pellicola consueta e patinata in cui tutti gli spunti divertenti risultano di bassa fattura commerciale, pianificati a tavolino senza mestiere. Un film, dunque, che poteva essere ottimo, che paga lo scotto dell’inesperienza e di una certa dose di mancanza di buone idee del suo regista, unico responsabile della bassa qualità di una pellicola altrimenti di grande fattura e valore.

Jackie Brown

Pam Grier - Samuel L. Jackson - Robert Foster - Bridget Fonda - Micheal Keaton - Robert De Niro; Sceneggiatura e Regia Quentin Tarantino; Anno di produzione 1997; Distribuzione Cecchi Gori Durata 153’

Ed eccolo qua il film tanto atteso che doveva costituire una prova del nove per capire il fenomeno "Tarantino" regista del capolavoro Pulp Fiction, del controverso Le Iene e di alcuni strani prodotti "sparsi" come un episodio di Four rooms e di alcune puntate di E.R., Medici in prima linea. Jackie Brown racconta una storia che vede coinvolta la hostess Jackie Brown in un giro di soldi, armi e droga messo in piedi dallo spietato trafficante Ordell Robbie (Samuel L. Jackson). Scoperta da alcuni agenti dell’FBI (tra cui un sempre simpaticissimo Michael Keaton), Jackie insieme a Max (Robert Foster) architetta un piano per incastrare contemporaneamente Ordell e i federali, guadagnando, inoltre, un sacco di soldi.

Un film con un trama tipicamente "Tarantiniana" dove la malavita e il mondo della droga sono gli elementi principali che fanno tutta la storia. Con un gruppo di bravi attori, con in primo piano un grande Samuel L. Jackson e una brava Pam Grier, risorta attrice protagonista dei film della Blaxploitation anni Settanta, Jackie Brown poteva essere un degno successore di Pulp Fiction. Non certo alla sua altezza, ma si sa: è difficile "bissare" i capolavori.

Eppure, Jackie Brown non è nulla di tutto questo: lungo, lento, prolisso il film non ha quasi nessuno dei guizzi di Tarantino che ricordiamo e apprezziamo come un marchio doc di garanzia. Se uno andasse a vedere un film a sorpresa e non sapesse chi fosse il regista, certo non penserebbe mai a quello di Pulp Fiction, quanto - piuttosto - a uno degli sconosciuti che ha diretto i telefilm del Tenente Colombo e Kojak, cui Tarantino palesemente si ispira senza troppa inventiva e spirito di innovazione. Jackie Brown è - dunque - un film brutto e non riuscito dove la bravura degli attori è spesso sprecata, come capita a un Robert De Niro, la cui partecipazione al film è assolutamente insulsa e inspiegabile. Personaggi abbozzati e sacrificati per dare troppo spazio a dettagli inutili fanno di Jackie Brown una pellicola penosamente diluita e poco omogenea nelle sue parti. Un film veramente noioso di un Tarantino che - temiamo, sebbene ci si auguri il contrario - abbia veramente detto tutto quello che poteva dirci.

Gattaca - La porta dell’universo (Gattaca)

Ethan Hawke - Uma Thurman - Alan Arkin - Jude Law - Loren Dean - Gore Vidal - Ernest Borgnine; Sceneggiatura e Regia Andrew Niccol; Distribuzione Columbia Tristar; Durata 112’

Nemmeno un cast di attori tutti bravi, su cui svetta una sensuale e gelida Uma Thurman, poteva dare più calore a una pellicola come questa, troppo lenta e di troppo poco spessore rispetto alla patina affascinante di cui è rivestita.

Non bastano le ambientazioni in un edificio di Frank Lloyd Wright, la musica bellissima di Michael Nyman, l’eccezionale interpretazione di attori bravissimi in cui due grandi vecchi come Ernest Borgnine e lo scrittore Gore Vidal si prendono il lusso di due ruoli cameo, a dotare di una maggiore forza e presenza un film altrimenti del tutto positivo, e che comunque è e rimane intelligente, di denuncia e all’avanguardia. La società geneticamente migliorata, dove quelli con difetti fisici vengono emarginati, le atmosfere orwellianamente fredde e asettiche, il futuro che viene determinato da una grigia provetta con tanto di cocktail di geni, vengono abilmente mescolati da una sceneggiatura interessante sebbene con una regia non proprio all’altezza. Se, infatti, immagini, suoni, e emozioni vengono amalgamate da una storia valida e emozionante, la lentezza e la rigidità della società che viene descritta in Gattaca sembrano tracimare nel film spesso troppo lento e per certi versi eccessivamente lungo su aspetti minori e dettagli.

Il merito principale di Gattaca è - comunque - quello di raccontare la metafora dell’uomo che vuole andare nello spazio per toccare "le stelle", diventando astronauta mentre le probabilità genetiche calcolate da un computer vorrebbero che lui potesse al massimo continuare a guardare gli astri dalla terra. Come dire, l’uomo che supera se stesso e i suoi limiti può andare ovunque. In barba al computer e alle sue provette di DNA.

Anastasia

Voci italiane Tosca - Beppe Fiorello; Sceneggiatura Susan Gauthier, Bruce Graham, Bob Tzudiker & Noni White; Canzoni Lynn Ahrens & Stephen Flaherty; Colonna Sonora David Newman; Regia Don Bluth & Gary Goldman; Distribuzione Twentieth Century Fox; Durata 94’

Prodotto e diretto dall’AntiDisney per eccellenza Don Bluth, l’unico vero rivale della casa di produzione dalle orecchie di topo, dal punto di vista dei cartoni animati di qualità Anastasia costituisce davvero un passo avanti nel cinema d’animazione per molti motivi.

Innanzitutto la storia, quella della granduchessa Anastasia figlia dell’ultimo Zar Nicola II, misteriosamente sopravvissuta all’eccidio di Ekaterininburg dove perì l’intera famiglia reale, portata negli anni sessanta sullo schermo in un film con Yul Brinner e Ingrid Bergman nella parte della smemorata presunta principessa. È un cartone animato, ma a parte alcuni aspetti tipici dei cartoni (il pipistrello Bartok, il canuccio Puka, il cattivo Rasputin che lancia una maledizione mortale) Anastasia potrebbe essere un film con attori veri. Nel senso in cui gli aspetti tipici della cinematografia di animazione sono per certi versi completamente rivoluzionati.

Poi le animazioni digitalizzate che danno l’idea della profondità della scena con personaggi disegnati nei minimi particolari. Infine il dettaglio dei costumi, dei gioielli, i più piccoli aspetti dell’immagine messi in luce e accompagnati da una musica allegramente affascinante. Una storia d’amore e di affetto veramente commovente. Cosa si puo’ chiedere di più, quando la protagonista della storia è una ragazza bella, forte e coraggiosa? Non sappiamo se il destino dei cartoni animati sarà d’ora innanzi, sempre più legato al musical, certo è che in futuro non è detto che questo genere cinematografico sia necessariamente diretto ai bambini. In questo senso Anastasia con la bella partecipazione di Tosca e Fiorello a sostituire in versione italiana Meg Ryan e John Cusack, potrebbe costituire una pietra miliare di questo nuovo cinema animato.

I miei più cari amici

Alessandro Benvenuti - Eva Robin’s - Athina Cenci - Alessandro Gassman - Gaspare - Zuzzurro - Vito - Umberto Smail - Flavio Bucci - Marco Messeri - Cristina Moglia - Gianmarco Tognazzi Sceneggiatura Alberto Ongaro & Alessandro Benvenuti; Regia Alessandro Benvenuti; Anno di produzione 1998; Distribuzione Cecchi Gori; Durata 120’

È una strana commedia corale quella che ci propone Alessandro Benvenuti - regista di talento e intelligente - con tante idee nuove che si vedono concretizzate in un montaggio innovativo e abbastanza ignoto al cinema italiano.

Se - in un primo momento - la trama divertente sembra richiamare tante altre riunioni tra amici che non si vedevano da tempo, da Il grande freddo a Compagni di scuola, poi il film si complica e gli intrecci diventano vari. Nell’ottica della commedia all’italiana si adattano e rispolverano Invito a cena con delitto e molti altri illustri predecessori. Ma attori bravi, belle ambientazioni, una cura ottima dei particolari non bastano per smorzare due errori fondamentali di questa pellicola, tanto più spiacevoli quanto assolutamente evitabili: l’eccessiva presuntuosa verbosità dei personaggi che porta a una caoticità di situazioni che rendono il film noioso e difficile da seguire, tanto più che a questo eccesso declamatorio e continuo di parole non corrisponde una particolare cura dei dialoghi che risultano teatrali, lenti, eccessivi, e per niente arguti e divertenti. Un film che ha tutto: dalla storia agli attori, dalle belle donne alla straordinaria regia, cui mancano però proprio le parole per fare ridere.

È una commedia, un giallo, un film drammatico ? Non lo sappiamo, perché nella tumultuosa emorragia verbale che attanaglia lo spettatore, circondandolo per due ore quelle che mancano sono solo le poche parole chiarificatrici degli intenti di Benvenuti. Regista eccezionale e intelligente che dovrebbe farsi dare una mano per le battute da chi di umorismo se ne intende. Un film che non lascia niente allo spettatore. Solo un senso di sgomento per il diluvio di fatti, parole e situazioni inutili cui è stato sottoposto.

Un topolino sotto sfratto (Mouse Hunt)

Nathan Lane - Lee Evans - Christopher Walken; Sceneggiatura Adam Rifkin; Regia Gore Verbinski; Anno di produzione 1997 Distribuzione UIP; Durata 97’

Un film che sembra un cartone animato e più di un cartone ha il simpatico musino di un povero topolino che sta per essere sfrattato dalla casa dove ha abitato tutta la vita da due fratelli falliti, il cui unico bene rimasto è la casa che vogliono vendere a un’asta visto che è stata progettata da un famosissimo architetto francese del secolo passato.

Realizzato grazie a dei topini ammaestrati, mescolati a immagini computerizzate e piccoli robot, Un topolino sotto sfratto è un film divertentissimo non solo per i bambini. Elegante, esilarante, pieno di humour regala per oltre un’ora e mezza risate a non finire, caratterizzate da attori bravissimi, da effetti speciali superlativi con tanto di punto di vista del topo seguito per un’intera buffissima passeggiata. Un film con favolose ambientazioni anni quaranta, con tanto di dettagli curatissimi. Girato dal regista dello spot delle formiche e delle rane della Budweiser, prodotto da Steven Spielberg, Un topolino sotto sfratto è un capolavoro di umorismo e divertimento intelligente e senza limite. Caratterizzati gli attori perfettamente, va registrato il ruolo cameo di Christopher Walken nel ruolo dello spregiudicato cacciatore di topi che diventa preda del carinissimo minuscolo topolino dalle orecchie rosa. Un film ottimo capace con gusto e eleganza di trasformare in immagini vere le situazioni tipiche dei cartoni animati più estremi e esilaranti.

Sfera (Sphere)

Sharon Stone - Dustin Hoffman - Samuel L. Jackson - Peter Coyote Sceneggiatura Stephen Hauser & Paul Attanasio tratto dal romanzo omonimo di Michael Crichton; Regia Barry Levinson Anno di produzione 1998; Distribuzione Warner Bros.; Durata 133’

Una missione di scienziati composta da uno psicologo (Dustin Hoffman), una biochimica (Sharon Stone), un matematico (Samuel L. Jackson), un astrofisico (Liv Schreiber) è mandata sul fondo dell’oceano pacifico per esaminare un’astronave caduta trecento anni fa. Ma l’astronave risulta provenire dalla Terra, dal suo futuro.

Essa contiene una sfera misteriosa che sembra impossessarsi della mente dei singoli componenti della missione. Sfera diretto da Barry Levinson è un film molto emozionante. A metà tra 2001 Odissea nello spazio e Alien, Sfera ricorda in maniera molto vaga le sue origini come romanzo di Michael Crichton di cui - però - respira l’atmosfera e le peculiari caratteristiche narrative. Interpretato da attori bravissimi, con una Sharon Stone con i capelli corti più sexy che mai, con un bravo - come al solito - Dustin Hoffman e un simpaticissimo Samuel L. Jackson, trova la sua forza in un’atmosfera claustrofobica e angosciante. A metà tra Contact e The Abyss il film - nonostante gli innumerevoli illustri predecessori - riesce a essere molto originale e gradevole (dal punto di vista della suspance e dell’emozione). Un thriller psicologico fantascientifico che lascia un po’ di amaro in bocca per un finale un po’ troppo affrettato rispetto una sceneggiatura intensa e piena di colpi di scena a ripetizione.

Un film "tosto" che diventerà un vero classico del genere grazie alle sue inquadrature sottomarine, alle sue atmosfere opache e spaventose, al suo gruppo di attori molto bene assortito e efficace.

Sesso e potere (Wag the dog)

Dustin Hoffman - Robert De Niro - Anne Heche - Woody Harrelson - Willy Nelson

Sceneggiatura Hilary Henkin & David Mamet tratta dal libro di Larry Beinhart Regia Barry Levinson Anno di produzione 1997 Distribuzione Cecchi Gori Durata 99’

Un Presidente degli Stati Uniti molesta una ragazzina alla Casa Bianca a pochi giorni dalle elezioni ? Non c’è problema per la sua rielezione. Un esperto di politica (Robert De Niro) e un famoso produttore hollywoodiano con manie di grandezza (Dustin Hoffman) vengono ingaggiati dal Capo dello staff del Presidente (Anne Heche) per dare una mano al primo cittadino d’America. Così i tre si inventano una guerra contro l’Albania ( ! ! !) per distrarre l’opinione pubblica dal fattaccio. Un film corrosivo, a basso costo, girato in fretta che distrugge la credibilità del Presidente degli Stati Uniti, delle News prefabbricate e dei motivi umanitari per fare scoppiare una guerra.

Divertente, a tratti esilarante, Sesso e potere costituisce assai più di un divertissment per dei grandi attori e per un famoso regista. È un film che insegna a non credere solo a ciò che si vede e che allarma lo spettatore con il ritratto spietato che viene fatto dell’estabilishment politico più importante del pianeta. Certo, in alcune sequenze il film perde un po’. Alle volte è un po’ ripetitivo a causa della grande fretta con cui è stato girato in appena trentuno giorni. Ma la forza del messaggio che ricorda episodi recenti realmente accaduti costituisce - forse - la leva più importante con cui fare presa

sul pubblico. Rapido e essenziale, a tratti eccessivamente scarno per quello che ci hanno abituato le pellicole americane, il film vede protagonisti dei grandi attori divertenti e efficaci con l’unico scopo di distruggere la credibilità dei media, dei politici e della televisione. La realtà delle notizie, infatti, non sembrerà più tale.

(a cura di Marco Spagnoli)