Cantante
per caso
Con
un inizio carriera da giornalista, Francesco Guccini di
fare musica non ne voleva proprio sapere: "La mia
passione è sempre stata quella di scrivere". Così
adesso lautore de "La locomotiva" ha
deciso di tornare ai libri. Perché più che musicista e
poeta si sente un narratore
Quando si parla con Guccini non si
riesce a scacciare la noiosa idea di avere di fronte a se
un eroe risorgimentale oppure la reincarnazione di fine
secolo del premio Nobel Giosuè Carducci. E se forse la
somiglianza col poeta del "Comune rustico" e
dell'"Inno a Satana" è soltanto frutto di un
gioco di illusioni, dovuto al suadente e fascinoso bianco
e nero delle foto di inizio Novecento, è anche vero,
però, che l'imponente figura del cantautore pavanese e
il suo tono sontuosamente ricco di sfumature cadenzate
dalla famosa e caratteristica "erre-moscia", lo
rendono una persona oltremodo affascinante e simpatica.
Guccini ha molta voglia di parlare e di raccontarsi,
anche se risulta subito chiaro, che, sebbene egli lo
neghi, oramai l'autore di canzoni come: "La
locomotiva" è del tutto proiettato in una nuova
dimensione narrativa.
Lei ha scritto due
romanzi molto originali e interessanti. Il primo
"Cronache epifaniche" ed ora "Vacca d'un
cane". In che cosa lhanno cambiata?
Nulla. Io sono sempre
stato un narratore, anche con la canzone. Ho iniziato da
piccolo sapendo che da grande mi sarei guadagnato la vita
scrivendo. All'epoca, però, non c'erano i cantautori,
quindi non pensavo che avrei scritto delle canzoni,
tant'è che quando una volta a scuola una compagna di
classe dopo avermi sentito suonare mi disse:
"Perché non fai il cantante?" le risposi:
"Massì figurati, il cantante...". Non ci
pensavo assolutamente. Pensavo di scrivere, ho fatto
anche il giornalista, infatti, solo che probabilmente
questa era la mia strada. C'è poi un altro fattore. Io
sono molto pigro e disordinato e mi ci voleva il computer
per scrivere qualcosa di lungo e di sistematico come può
essere un romanzo. Il computer ti dà il senso
dell'ordine, della rapidità sia di scrittura che di
correzione e ti evita soprattutto di avere decine di
fogli sparsi per la casa.
Quale, tra le tante
definizioni date di Francesco Guccini, è quella che
sente più adatta : cantautore, scrittore,
narratore, musicista?
Sicuramente narratore.
Poeta?
Poeta no, perché io non
ho scritto poesie. Ho scritto o canzoni o libri, poesie
no. E' lapalissiano, ma è così. La poesia è una cosa
diversa. Quando si dice "tu sei poeta, perché
quella canzone lì è poetica...", no è sbagliato.
Sono pregiudizi tardo-romantici, questi. La poesia è
un'altra tecnica, è un altro modo di raccontare. A parte
il fatto che oggi la poesia la si legge solo, mentre
andrebbe declamata, la poesia ha abbandonato la musica
lungo la strada e si è specializzata, rendendo se stessa
una cosa completamente diversa. La canzone, invece, deve
essere cantata e, ti dico, che quando trovo i testi di
alcune mie canzoni su delle antologie, non rimango molto
convinto. Il testo di una canzone nasce, infatti, per
essere cantato e per venire "allargato" dal
canto. La dimensione della musica non può venire scissa
da quella della parola.
Però se non è poeta
Francesco Guccini non possono venire definiti tali
nemmeno Paolo Conte, Fabrizio De André e Francesco De
Gregori...
Sono autori di canzoni,
che non è una cosa di seconda categoria.
Che cosa ha significato
per lei scrivere della sua terra, un arroccarsi in se
stesso, forse?
Uno va a prendere il materiale che
ha e quello che io ho voluto fare è tentare di
epopeizzare ed epicizzare quello che ad altri può
sembrare normale come la vita a Pavana oppure a Modena e
che tanto normale, a mio avviso, non è. Nel primo libro
parlo di montanari, cui, però, tutto ad un tratto
accadono fatti "mirabolanti" come l'arrivo dei
camion sulla strada o l'utilizzo della macchina per
trebbiare il grano. E' la stessa operazione della saga
western, che è un'epopea di vaccari che ha ispirato
centinaia di film, canzoni e libri. Quindi l'abilità del
narratore sta nel fare saltare fuori le storie dal
materiale che ha, secondo i propri tempi, secondo il
proprio stile.
Quindi non si
rinchiuderebbe in una "torre d'avorio" come
hanno fatto tanti suoi colleghi, da Battisti a Mina, da
De Andrè a Battiato?
Certamente no, perché non
sono capace di isolarmi. Vero è che sto a Pavana due
mesi d'estate, ma vedo gente dalla mattina alla sera e
l'isolamento lo lascio per la grande città che a me non
piace. Io sono nato con quelle dimensioni e quindi è
giusto che io le senta più vicine.
Come si sente Francesco
Guccini in questa situazione culturale italiana molto
confusa? Un punto di riferimento?
Punto di riferimento molto
relativo...una piccola figura, grossa solo di dimensioni
e di figura. C'è un fatto poi un po' strano: uno già
viene guardato con molto sospetto perché fa il
cantautore, poi si mette a scrivere ed i critici paludati
gli saltano addosso, perché per fare lo scrittore ci
vuole chissà che cosa oltre le idee e la voglia di
farlo. Ma nonostante questo io so quali sono le
possibilità che ho ed i limiti di queste stesse.
Una cosa cui però non
ha rinunciato è l'umorismo...
Si dice che gli umoristi
dentro siano molto tristi e sebbene l'umorismo possa
spezzare sempre una situazione che si carica di retorica
e di qualunquismo, ma parlando personalmente non credo
bastino umorismo ed ironia per vedere le cose che
accadono in Italia sotto una luce migliore. Quando uno
legge un giornale o guarda la televisione non può che
venire fuori soltanto l'indignazione.
Quindi il muro
dell'ironia personale viene regolarmente infranto?
No, ma basta pensare per
esempio alla truce serietà con cui viene ammantato il
mondo del calcio, che tutto sommato è un mondo assai
frivolo. Tempo fa ho letto l'articolo di un giornalista
sportivo che sembrava inneggiare alla presa della
Bastiglia oppure alla vittoria di una guerra mondiale, ed
io riconosco il grande merito alla Gialappa's band di
avere iniziato a smantellare questo mondo di paroloni e
di vuoti stilemi retorici. Se questo è ciò che accade
nel mondo del calcio, figurarsi nel mondo della politica
come possa essere assente ogni forma, seppure embrionale
di umorismo e di ironia.
Sempre in
"Cronache epifaniche" accenna di sfuggita agli
antenati della sua bisnonna che facevano i
contrabbandieri di sale, canapa e seta dall'Emilia a
Pavana che apparteneva al Granduca di Toscana e non allo
Stato pontificio, cosa che si è mantenuta fino ad oggi
visto che Pavana seppure geograficamente emiliana è in
provincia di Pistoia. Come si comporterebbe se avessero
successo i progetti politici che vogliono il ritorno di
divisioni geografiche e dogane?
Non farei il
contrabbandiere ed andrei in giro col passaporto, oppure
avrei la doppia cittadinanza...
Contento di averla o un
pochino dispiaciuto?
Cosa vuoi mai...certe cose
non possono tornare. La storia non si ripete, non
torneranno le dogane in Italia, anche perché erano molto
scomode...
Marco Spagnoli
|