Index ECONOMIA - Maggio 1998



Borsa vivace ed estroversa
cerca piccola impresa per unione

Dopo decenni di reciproche diffidenze, il mercato globale sta avvicinando le mini-aziende allo sbarco in Piazza Affari. Anche perché, lasciati i Bot, sono molti di più gli italiani disposti a investire in azioni. Un convegno a Vicenza tra esperti del settore e aziende che hanno già fatto il grande salto ha cercato di dare qualche indicazione a chi, abituato alla gestione familiare, sta pensando di quotarsi

Di matrimonio fra Borsa e piccole-medie imprese del Nordest ancora non si può parlare ma almeno, dopo un lungo periodo di reciproco disinteresse, adesso si intuiscono le premesse di un possibile fidanzamento. Complice la fase esplosiva dei mercati azionari d’Europa e d’America, l’interesse delle aziende locali per la quotazione appare in crescita. Il momento appare propizio: fra l’altro perché in Italia il progressivo calo dei tassi dei titoli pubblici ha reso disponibili ad investimenti alternativi milioni di famiglie, alla ricerca di rendimenti soddisfacenti per i propri risparmi.

Ma molti altri sono gli elementi di novità in un campo che le aziende nostrane, sovente sottocapitalizzate, spesso a conduzione familiare, percepiscono ancora con diffidenza. Se ne è parlato ieri mattina in Camera di commercio, dove a "La quotazione in Borsa: opportunità e prospettive", è stato dedicato un convegno. Vi hanno partecipato una cinquantina fra rappresentanti di aziende vicentine, bresciane, veronesi e trevigiane, ed esponenti di banche, associazioni di categoria e studi legali. Tutti alla ricerca di informazioni di prima mano su costi e meccanismi della quotazione, trattamenti fiscali e giuridici, vincoli di trasparenza e possibilità di un conveniente accesso al mercato dei capitali.

Non è ancora idillio, comunque. E ne è consapevole Giancarlo Forconi, vicepresidente del Mercato mobiliare di Nord Est Spa, la società privata d’espressione camerale che da anni cerca di avvicinare alla quotazione borsistica le imprese locali: "Tanti imprenditori – testimonia Forconi – pensano alla quotazione come ad una perdita di controllo sull’azienda, addirittura alla fine dell’azienda. Invece la sottocapitalizzazione di tante imprese, di fronte alla globalizzazione dei mercati e della competizione, dovrebbe far percepire l’ingresso in Borsa come una occasione alternativa ai prestiti bancari per il reperimento di nuovi capitali e quindi per lo sviluppo aziendale".

Eppure la diffidenza c’è ancora. Come spiega Gabriele Bernascone, dello studio legale Graham & James Llp di Milano, in Borsa non si va "perché è necessaria la certificazione di bilancio, cioè è richiesta un’assoluta trasparenza di gestione; perché il costo di questa trasparenza è un’accresciuta pressione fiscale; perché la quotazione implica la sottoposizione dell’impresa al controllo di altri azionisti; e per il costo materiale della quotazione, che solo per le spese di presentazione ammonta a 500-900 milioni".

Tutti ostacoli che Massimo Capuano - amministratore delegato di Borsa Italiana Spa, la società che gestisce i mercati borsistici dopo la privatizzazione del 1997 – considera superabili: "Con i nuovi regolamenti anche le piccole società possono quotarsi: il fatturato minimo è 10 miliardi, il flottante (cioè la quota di azioni liberamente contrattabili sul mercato) è del 25 per cento, non c’è più il vincolo della certificazione per gli ultimi tre bilanci". D’accordo, allora: quotarsi non è poi così difficile. Ma quotarsi dove? Segna il passo, testimonia Forconi, la costituzione di una Borsa italiana specificamente destinata alle piccole e medie imprese, sia che si guardi al modello francese che a quello inglese. Ma prende quota il progetto di un circuito europeo per le imprese dinamiche che decidano di accedere ai listini: "Entro l’anno – promette Capuano – saranno pronti i regolamenti specifici per le High growth companies, le società piccole a forte tasso di crescita che qui a Nordest sono tanto numerose".

Comunque vada a finire, chi la strada della quotazione l’ha già imboccata si dice soddisfatto. Giuseppe D’Imporzano, amministratore delegato della Sadi di Altavilla (controsoffitti, 80 miliardi di fatturato, 200 dipendenti), ha visto crescere il titolo Sadi a Piazza Affari dalle 5400 lire del collocamento (novembre 1997) alle attuali 6400: "Ma il punto è che il mercato – spiega – costituisce un giudice imparziale, che ci stimola a un continuo miglioramento aziendale in vista della creazione di valore per l’azionista e il cliente". Concetti analoghi vengono espressi da Valentino Ciscato, presidente di Deroma holding di Malo (articoli in terracotta, 130 miliardi di fatturato, 700 dipendenti). Il titolo Deroma, quotato dopo un’Offerta pubblica di sottoscrizione da 10 mila lire a titolo, ora vale 14 mila: "Ci siamo quotati per crescere – spiega – e le acquisizioni di due società negli Usa lo testimoniano. Comunque l’accesso alla Borsa richiede un grosso salto di qualità sotto il profilo culturale: bisogna saper fare non solo industria, ma anche finanza".

Problemi che si sta ponendo, come tanti altri imprenditori del Nordest , anche il bresciano Carlo Soffiantini. Il quale, dopo il drammatico rapimento del padre Giuseppe ("Ma parlo solo di Borsa"), torna a tempo pieno al timone del Gruppo Manerbiesi (abbigliamento donna, 90 miliardi di fatturato, 170 dipendenti) pensando proprio alla quotazione dell’impresa: "L’alternativa per noi che siamo un’azienda al 100 per cento a capitale familiare – spiega l’amministratore delegato dell’industria di Manerbio – è di coltivare la nostra nicchia di mercato oppure di tentare un sostanzioso salto di qualità. In questo secondo caso la quotazione sarebbe d’obbligo. Ci stiamo pensando".

Maurizio Caiaffa
(direttore del mensile Nordest Europa)