"LUMI" di Francesco
Stefanini
alla galleria "La Medusa" di Este
Se
cè un modo univoco di esistere della fiamma, mille sono i modi di viverla. Per un
artista, milioni. Nel suo saggio incluso in una recente monografia su Francesco Stefanini
(dicembre 1997) dal titolo "sub specie lucis", Riccardo Caldura compie una
suggestiva analisi sul rapporto tra oggetti e luce nellarte del Novecento che
individua, anche attraverso una lettura heideggeriana, nelletimo stesso dei termini,
la relazione che intercorre tra il fenomeno (lapparire), la luce e la
verità (ciò che non è nascosto). Egli aggiunge poi una ancor più significativa
citazione, che, a mio avviso, è anche più calzante alle immagini pittoriche di
Stefanini, tratta da "La flamme dune chandelle" di Gaston Bachelard dove
lo scrittore afferma che la fiamma di una candela faceva meditare i sapienti donava
infiniti sogni al filosofo solitario. Sul suo tavolo, accanto agli oggetti prigionieri
della loro forma, accanto ai libri che istruiscono lentamente, la fiamma di una candela
richiamava pensieri senza misura, evocava immagini senza limite.
Nellopera
di Stefanini le tremule fiammelle intrappolate nella nebulosa pastosità del monocromo,
più che "illuminare" oggetti si divertono a celarli, a creare ombre, riflessi
misteriosi che simulano contrappunti; gareggiano con altre invisibili luci al di fuori del
quadro, e suggeriscono la presenza di aliti di vento e di porte che si schiudono per
lasciare passare ignote ed indecifrabili presenze.
A questi "lumi" di Francesco Stefanini
corrisponde forse meglio limmagine poetica di Giorgio Caproni, toscano come lui: ...perchio,
che nella notte abito solo, /anchio di notte, strusciando un cerino/ sul muro,
accendo cauto una candela/ bianca nella mia mente - apro una vela/ timida nella tenebra, e
il pennino/ strusciando che mi scricchiola, anchio scrivo/ e riscrivo in silenzio e
a lungo il pianto/ che mi bagna la mente......
Giovanna Grossato |