Da
15 anni una attrice danese dirige il Festival del cinema e teatro di un piccolo centro
delle Marche. Dove è riuscita a coinvolgere l'intera popolazione che, gratis, per una
settimana costruisce, organizza e ospita decine di rappresentazioni. In strada, nelle
piazze, sui granai e nelle scalinate delle chiese
Attrice danese di teatro e di cinema, Brigitte Christensen
è - insieme a Marco Di Stefano - da circa quindici anni direttore artistico del Festival
di cinema e di teatro di Amandola, piccola perla del Parco Nazionale dei Monti Sibillini,
nelle Marche, in provincia di Ascoli Piceno.
La Christensen dice di non credere più che il teatro possa riuscire a cambiare
il mondo, eppure - dietro ai suoi meravigliosi occhi cerulei - un dubbio ce lo dovrà pure
avere visto che la piccola cittadina marchigiana, diventa per una settimana un vero e
proprio Work in progress culturale, dove lintera popolazione si mette in moto
per offrire agli artisti e ai visitatori unaccoglienza di grande qualità e
attenzione.
Un teatro sociale, un teatro totale è quello che viene offerto da questo
Festival che da oltre un decennio porta gli attori a recitare in ogni luogo possibile.
Dalle case alle piazze, dai granai alle scalinate delle chiese tutto diventa palcoscenico
in un crogiuolo di idee e di sogni che - forse - riescono a smentire un po
lelegante italiano della bella e brava attrice danese. Ad Amandola - dal 1° al 6
settembre, il teatro - infatti - riesce a cambiare il mondo. Come nella Grecia classica,
cinema e teatro iniziano al mattino per arrivare fino a sera. Ogni giorno ci sono
spettacoli e proiezioni diversi, a ore e in luoghi non troppo distanti luno
dallaltro. Questanno - inoltre - cè un ospite in più. Giacomo
Leopardi, il poeta recanatese, compie duecento anni e così il Festival gli tributa un
percorso culturale tutto suo dedicandogli una serie di spettacoli assai interessanti.
Ma il calendario è - davvero - smisurato e per chi volesse mettersi in contatto
per ricevere informazioni due sono i numeri che si possono fare 0736/8474439 oppure
0736/84071. La mail è amandola{Sostituisci con chiocciola}tin.it.
Brigitte Christensen ha rilasciato - in esclusiva per Nautilus - questa
intervista.
Brigitte Christensen, è una lunga strada dalla Danimarca fino ad Amandola.
Che cosa porta una nota attrice danese a diventare direttore artistico del Festival di una
piccola località delle marche ?
Sono da sempre
interessata al teatro popolare di cui sono una promotrice. Insieme a Marco Di Stefano ho
fondato - nel 1983 - il Teatro della Luna e ho sempre puntato la mia ricerca
artistica e intellettuale verso progetti teatrali per spazi non convenzionali come piazze,
palazzi, fabbriche, video e così via. Era logico - dunque - che cercassi di sintetizzare
e mettere alla prova le mie esperienze in un Festival teatrale così articolato come
quello di Amandola. Questo Festival gode di unatmosfera particolare, noi abbiamo
sempre cercato di realizzare uno spettacolo unico che fosse formato da tanti singoli
spettacoli. Abbiamo cercato di realizzare un vero luogo di scambio, di interazione tra
pubblico, cittadinanza e artisti. Ad Amandola cadono le barriere che esistono tra
spettatori e attori. Tutto viene portato alla dimensione di un teatro di comunità dove si
interagisce.
E come viene presa questa interazione dagli artisti che da tutta Europa
vengono a presentare i loro spettacoli - spesso in prima assoluta - ad Amandola ?
Bene, perché noi non chiediamo loro di modificare le rappresentazioni a
seconda dei luoghi, ma cerchiamo di potere realizzare spettacoli pensati per il
palcoscenico in luoghi come case, piazze e granai, in modo che lo stesso artista capisca
le motivazioni intrinseche del proprio lavoro. Il teatro è in ogni luogo e così tutti
noi riusciamo a capire il perché di quello che facciamo e che cosa vogliamo ottenere dal
nostro lavoro.
Come risponde la popolazione la cui vita viene sconvolta una volta
allanno ?
Centinaia di volontari, che non vogliono essere pagati, lavorano alla
realizzazione del Festival in ogni suo aspetto. Si sentono tutti padroni di casa che
desiderano solo che i propri ospiti siano contenti e soddisfatti e così dedicano parte
delle loro ferie a questo Festival del cinema e del teatro. Si occupano di tutto. Sono
ammirevoli e veramente in gamba. Tutto il paese è coinvolto, perché sentono come loro
questa settimana di arte e cultura. La vita dellartista, la sua opera diventano un
tuttuno con la cittadinanza. Unesperienza totale che è anche unopera
darte vivente.
In questo cè un po la sua stessa concezione del teatro...
Sì, io ho sempre
considerato il teatro come unesperienza totale e coinvolgente al massimo grado.
Purtroppo questo succede sempre più raramente. Chi fa teatro ha bisogno del pubblico come
fine, come ragione dessere e come elargitore daffetto nei confronti
dellartista. Senza gli spettatori, senza il pubblico vero - non quello cosiddetto
"in abbonamento" - il teatro non esiste.
Il suo è un modo molto moderno di comunicare...
È un modo vivo. Il mondo è in comunicazione continua oramai. Internet,
satelliti, cellulari, televisioni, il mercato globale esteso ovunque sono tutti segnali
della direzione universale che ha preso la comunicazione mondiale. Quando venivo le prime
volte in Italia tutto era completamente diverso da Copenhagen. Oggi trovo addirittura le
stesse cose al supermercato. Ma non sono questi dettagli a cambiare le radici. Le nostre
identità rimarranno le stesse comunque. Non dobbiamo avere timore di aprirci al mondo e
al suo modo di comunicare. Amandola è diventato uno specchio del villaggio globale nel
momento in cui - dopo quindici edizioni - abbiamo portato nelle Marche spettacoli teatrali
che non stridessero con le radici culturali e spirituali di quella terra. Oggi possiamo
dire di avere fatto passi da gigante per creare uninterazione comunicativa tra il
pubblico, la cittadinanza e gli artisti.
Unesperienza unica...
Sì, anche a livello europeo abbiamo pochi casi del genere. Forse il mondo
non si può cambiare solo grazie al teatro, ma tramite questa arte si possono realizzare
delle piccole utopie e Amandola - intesa come luogo dei sette giorni del Festival - è uno
di questi. È un luogo di sogno dove il fine intellettuale unifica e scavalca gli
schieramenti politici, dove la gente comune parla con gli artisti e dove nascono idee e
amicizie. Almeno una volta allanno.
Un po come Brigadoon, il villaggio scozzese da sogno del musical
con Gene Kelly che riappariva una volta ogni cento anni...
Sì, davvero: unutopia che ci fa capire ogni volta per che cosa vale
la pena vivere.
Marco Spagnoli