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LETTURE&SCRITTURE Settembre 1998


 

L'Italia dimenticata di Vittorini

E' stato messo in disparte da critici e librerie che oramai propongono solo l'usa e getta anni '90. Ora un lavoro di Raffaele Crovi traccia la figura dello scrittore che seppe raccontare come pochi l'Italia dal fascismo fino al boom economico. Riuscendo ad unificare la narrazione fantastica con l'impegno politico e sociale

Raffaele Crovi, Il lungo viaggio di Vittorini
Marsilio, pp.479, L.32.000

Vittorini, chi era costui? Con la memoria corta che caratterizza questi nostri tempi ossessionati dall’usa e getta e dalle novità, tale interrogativo (che, per restare col Manzoni, metto in bocca ai miei venticinque lettori) non vuole certo esprimere un artificio retorico bensì una preoccupazione. Ma come dolersi se la gente non conosce o s’è scordata Vittorini, quando giusto due anni fa neppure gli addetti ai lavori si sono preoccupati di ricordarne il trentennale della scomparsa, passato "nel generale silenzio dei quotidiani, dei periodici, delle riviste e dei media radiotelevisivi", come stigmatizza Raffaele Crovi in una sua intelligente biografia critica da poco uscita da Marsilio sull’inventore del Politecnico.

L’altro giorno sono andato a cercare Vittorini in libreria. Non una copia una di Conversazione in Sicilia o di Uomini e no, ma tutto Nove, Brizzi, Ammaniti, Santacroce. Come volevasi dimostrare. Ci sono ben altri autori da promuovere; lo testimonia d’altronde la polemica che per alcuni giorni si è trascinata sul Corriere intorno alla validità del Pulp quale cartina di tornasole della realtà (o apatia) contemporanea. Altro che classici!

Ma torniamo alla biografia, attraverso la quale Crovi tratteggia l’avventura esistenziale del Nostro, inquadrandola nella storia civile e culturale d’Italia attraverso l’arco di circa quarant’anni, e ripercorrendola grazie ad una corposa mole documentaristica in buona parte inedita. Vittorini quindi come scrittore esemplare di una fase cruciale del Belpaese: dal fascismo all’antifascismo, agli sforzi riformatrici della neonata repubblica; dal boom economico alle inquietudini della seconda metà degli anni sessanta. Crovi peraltro è stato testimone privilegiato dell’ultimo periodo di attività di Vittorini, il quale nel ’54 gli propone di collaborare alla collana einaudiana I gettoni, quindi alla rivista di testi e saggi critici il menabò, vera e propria fucina letteraria che, tra gli altri, pubblica lavori di Mastronardi, D’Arrigo, Volponi, Ottieri, V.Sereni, Giudici. Altro che trash!

Ma il pregio di questa biografia non è tanto la pur puntualissima rivisitazione della vita e delle opere di un narratore "fantasioso e allegorico", che "ha rimodellato in chiave di avventura utopica itinerante e discontinua, drammatica e paradigmatica, esemplare e profetica, tutta la propria biografia umana, letteraria, esistenziale". Essa non è solo un’agile ma attenta riflessione, ritmata dal contrappunto di citazioni tratte dai testi narrativi e saggistici del Nostro, ma in primis mi pare rappresenti il tentativo di cogliere la continuità tra espressione letteraria e vita, tra anelito all’esattezza di scrittura e impegno intellettuale, politico, sociale, che in Vittorini costituirono un progetto univoco.

E se è vero che, come sottolinea Maria Corti, l’opera vittoriniana sfugge a quanti cerchino di fissarla nella rigidità d’un giudizio critico, il pregio del lavoro di Crovi è anche quello di aver saputo tratteggiare - fra luci ed ombre - un profilo umanissimo di un utopista, un amico, un maestro del novecento letterario.

 

Francesco Roat