Alzatevi, entra il maestro
Dopo Il ladro di bambini e Lamerica Gianni Amelio torna a
raccontare l'Italia degli immigrati e della ricerca di riscatto con il film "Così
ridevano". Storia del conflitto tra un fratello maggiore che vuol far studiare il
minore perché diventi insegnante di scuola. Perché più della ricchezza vale la cultura
Gianni Amelio è uno
dei più importanti registi italiani degli ultimi anni. Film come Il ladro di bambini o Lamerica
hanno riscosso un grande successo di pubblico e di critica non solo in Italia, ma in
tutto il resto del mondo. Lo stesso dicasi per il nuovo film del regista calabrese
intitolato Così ridevano e presentato alla mostra del cinema di Venezia che
racconta la commovente storia di due fratelli immigrati nella Torino del boom economico.
Protagonista lattore cult del cinema di Gianni Amelio: Enrico Lo Verso.
Il film che copre larco di tempo dal 1959 al 1964, saltando il 63,
per motivi legati alla storia descrive la "magnifica ossessione" - come
lha definita lo stesso Amelio - che il fratello maggiore nutre nei confronti del
minore: ovvero che questultimo anziché essere una persona "ricca" diventi
una persona colta, studiando per raggiungere la posizione di maestro di scuola.
Amelio, perché questo desiderio di vedere il fratello come maestro di una
scuola elementare è così radicato nel personaggio che lei ha descritto ?
Io sono nato in una frazione di un paese dove il maestro di scuola incarnava
tutto il senso e il prestigio dello Stato. Negli anni sessanta essere un maestro di scuola
voleva dire occupare un posto di rilievo, ed è per questo che nel mio film nasce il
contrasto tra i due fratelli. Il più piccolo non accetta di essere mantenuto per
realizzare il sogno del fratello e preferisce guadagnare in fabbrica, anziché studiare.
Che ricordo ha dei suoi anni di scuola ?
Il mio maestro si chiamava Grande - già solo il cognome di per sé incuteva
timore e rispetto - e abitava in una casa che rispetto alle case del paese, sembrava un
piccolo palazzotto. Aveva un balcone sulla piazza principale e trascorreva la gran parte
del pomeriggio affacciato al balcone. Guai se vedeva qualcuno dei suoi alunni passare per
la piazza. Significava che non stava a studiare e lindomani ti avrebbe colpito le
mani con la bacchetta. Era ancora la scuola elementare delle punizioni in ginocchio sui
ceci e della doppia bacchetta. Di legno piatta e di ferro quadrata che faceva un male
terribile. Ricordo il maestro Grande come una persona che poteva segnare la mia vita.
Magari l'ha fatto in un certo senso...
Non lo so. L'ha fatto con tutti quanti. Quella era una scuola in cui uno era
destinato a perdersi, perché non cera la possibilità di continuare. Io sono stato
una mosca bianca perché ho avuto lopportunità di fare la scuola media andando a
piedi in un paese vicino. Di tutta la mia classe - e saremo stati circa una trentina - non
credo che più di tre o quattro abbiano continuato a studiare dopo la quinta elementare.
Così ridevano è un titolo dal significato molto particolare...
Così ridevano era la rubrica dellultima pagina della Domenica del
corriere tra il 1953 e il 1964 in cui venivano pubblicate barzellette vecchie di
trentanni che non solo non facevano più ridere nessuno, ma che davano piuttosto una
sorta di stretta al cuore, intenerendo chi le leggeva. Dalla lettura di queste vignette si
rimaneva "straziati" e ci si domandava: ma davvero ridevano di questo? Le
battute erano così sciocche, puerili, ingenue e nessuno poteva più riderne.
Questo film parla del riscatto sociale tramite la cultura. Lei ritiene che
questa sia unistanza valida ancora oggi ?
Il fatto che debba essere una speranza fondata è fuori di dubbio. Se cè
qualcosa da trasmettere a un figlio questa non è certo lambizione smodata oppure il
desiderio di possesso, ma la giusta spinta verso la conoscenza. Trasmettere la voglia di
cultura è qualcosa di doveroso e straordinario.
Qualche anno fa, quando ha ricevuto la laurea honoris causa allUniversità
della Calabria ha ricordato la sua esperienza di insegnante alle scuole medie. Ce ne vuole
parlare ?
Nei primi anni sessanta, appena diciottenne e dopo avere terminato il liceo,
prima di dedicarmi al cinema, sono uscito dal liceo e - per due - anni ho fatto il
supplente in diverse scuole della Calabria. All'epoca era facilissimo avere delle
supplenze e io - per un anno intero - mi sono spostato da un punto della mia regione per
insegnare ai ragazzi delle scuole medie. Erano piccole trasferte che duravano alle volte
un mese, altre una settimana, altri ancora dieci giorni e io insegnavo lettere a ragazzini
di dodici anni pur avendone solo qualcuno in più.
C'è un episodio di quel periodo che ricorda ancora oggi?
Una volta diedi un tema che chiedeva di raccontare quale fosse la città
italiana che gli alunni avrebbero voluto visitare. Non avevo molta esperienza e quando il
giorno dopo corressi i compiti ebbi una stretta al cuore nel leggere il tema di un ragazzo
che diceva più o meno così: "La città che mi piacerebbe più visitare é
Torino. Non so se é bella, forse sarà più bella Roma, ma io voglio andare a trovare mio
fratello che lavora là da un paio d'anni . Voglio andare a lavorare con lui..."
Qual é la differenza fondamentale tra il Gianni Amelio diciottenne insegnante
alla scuola media e il Gianni Amelio docente di regia al Centro sperimentale?
Sono state due esperienze completamente diverse. Il centro sperimentale l'ho
fatto avendo come interlocutori ragazzi grandi, quasi tutti laureati che sceglievano di
fare un mestiere privilegiato. Eravamo tutti in una condizione di privilegio, parlando di
cose belle e importanti legate alla macchina del cinema che tutti vorremmo vedere
funzionare nel migliore dei modi. Ognuno cercava di dare il proprio apporto, anche se il
mio compito principale era quello di istillare dei dubbi sulla vocazione di quei giovani a
questo tipo di carriera, arrivando perfino a seminare zizzania. Ai ragazzi della scuola
media cercavo di insegnare molto ingenuamente la lingua italiana, perché quello era il
problema che avevo avuto io andando alla scuola media. Alle elementari io ho sempre
parlato in dialetto, quando sono arrivato alla scuola media mi sono trovato a studiare in
italiano come se studiassi in una lingua straniera.
Quando scrivevo un tema era come se ora traducessi il mio pensiero in inglese e
in tedesco. Era la stessa cosa, perché fino ad allora non avevo mai studiato in italiano.
on sapevo quasi parlare in italiano. Con i ragazzi delle scuole medie cercavo
di partire dal dialetto per arrivare alla lingua italiana. Scrivevamo una certa frase in
calabrese sulla lavagna e cercavamo di tradurla in italiano. Questo serviva anche per
mettere a riparo i ragazzi da certi incomprensioni che si creavano tra le due lingue. Per
esempio in calabrese il termine 'brocca' che in italiano significa una certa cosa,
corrisponde alla forchetta. Il mio lavoro che io ho sempre fatto scatenando addirittura le
ire dei presidi era quello di aiutare gli studenti a comprendere bene quello che leggevano
e quello che dicevano partendo dal loro stesso dialetto.
Torniamo a Così ridevano: cosa è stato più difficile per la sua
realizzazione?
Trovare il coprotagonista. Quando leggiamo che per trovare un attore adatto al
personaggio sono stati fatti migliaia di provini - in genere - sono esagerazioni. Per
questo film, invece, è tutto vero. Ho setacciato la Sicilia in lungo e largo per
scritturare Francesco Giuffirida per questo ruolo. Le altre volte ero stato più
fortunato. Per dire: la bambina de Il ladro di bambini lavevo incontrata per
strada il secondo giorno che ero a Palermo. Era un po come se gli attori mi
cascassero addosso. Questa volta è andata diversamente.
Perché Enrico Lo Verso è così presente nella sua cinematografia ?
È difficile pensare ad altri attori in Italia, quando si gira un certo tipo di
film. È lunico che riesce a interpretare un personaggio non omologato, che parli il
dialetto e che venga dallItalia contadina. Da questo punto di vista è un attore
"fatale".
Cosa pensa di questo attore straordinario ?
Raramente ho pensato di un attore le cose belle e importanti che penso di Enrico
Lo Verso. È un attore che ha tutti i crismi del professionista e contemporaneamente
dellattore professionista non ha la sovrastruttura ovvero i vizi e i vezzi che ti
derivano dal mestiere. Lo Verso non solo non teme e non prova sospetto per il testo, ma è
una persona fortemente disponibile nei confronti del regista. Lo Verso, infatti, non
studia la sceneggiatura, ma si "prepara a esserci" mostrandosi recettivo a tutte
le direttive che gli arrivano dal regista.
Cè un episodio della lavorazione che lha divertita
particolarmente ?
Un marocchino che lavorava con noi, guardando i figuranti vestiti da emigranti
ha detto : "Ma allora anche da voi cerano immigranti nel
Cinquecento... !" Ovviamente era un lapsus perché voleva dire negli
anni Cinquanta, ma è qualcosa di significativo perché anche a noi che labbiamo
vissuta sulla nostra pelle (i miei cugini sono andati a fare i minatori a Marcinelle)
lemigrazione sembra qualcosa di assai distante e remoto.
Parliamo di immigrazione, tema abbastanza presente nella sua cinematografia.
Qual è la sua idea a tale proposito ?
Limmigrazione è quanto di più necessario cè al mondo per la
nostra cultura se vuole tentare di non estinguersi. Io coltivo lutopia che un giorno
non si emigri più, ma che ci si possa incontrare ovunque tra tutte le etnie possibili.
Quello che oggi ci può sembrare un sacrificio, domani sarà un arricchimento. Il futuro
del mondo non è la multirazzialità, ma linterrazialità dove culture differenti si
confrontano ogni giorno in tutti i luoghi del pianeta. Perché si deve creare una barriera
nei confronti di questa gente disperata ? LOccidente non può barricarsi dietro
la difesa dei posti di lavoro e delle sue ricchezze. Deve piuttosto pensare
allinvestimento che viene rappresentato dal futuro di un mondo senza confini
culturali. Abbiamo lavorato e faticato per quello che ci siamo conquistati, perché -
allora - non dividerlo con altri ?
Marco Spagnoli |