La storia
poetica e coraggiosa dei turbamenti, delle passioni e delle emozioni provocate da una
perversione sessuale da sempre considerata un tabù assoluto
Gabrielle Wittkop, Il necrofilo
Editrice ES, pp.96, L.25.000
Tra le cosiddette perversioni sessuali, la
necrofilia è quella maggiormente inquietante, forse perché in essa troviamo rimarcata in
modo così esplicito lambigua prossimità fra Eros e Thanatos o perché il
necrofilo, osando forzare il limen della soglia per antonomasia - la morte -,
azzarda pratiche di commercio carnale con chi non appartenendo più al consorzio umano
rappresenta lassolutamente altro rispetto al vivente, ovvero il tabù più
interdetto.
Non a caso lormai classico manuale Psycopathia
sexualis di Krafft-Ebing trattando della necrofilia registra quasi con una sorta di
stupefazione leventualità "di un ardore amoroso tanto grande da non arrestarsi
neppure davanti alla maestà della morte", sottolineandone in tal modo laspetto
più conturbante, rappresentato non già dalla profanazione dei cadaveri ma piuttosto
dallatto davvero osceno di annullare lo statuto di demarcazione attraverso cui
teniamo strettamente separato il mondo dei vivi da quello dei defunti.
Ma se su questa così esecrata modalità trasgressiva di
erotismo le considerazioni psicologiche e/o psicoanalitiche vertono soprattutto sulle
cause, sui traumi affettivi o sui problemi relazionali che possono favorire
linsorgere della necrofilia, poco è stato scritto su quello che prova, sui
turbamenti e sul calvario passionale che deve affrontare chi sia dedito a tali pratiche. E
forse solo lambito narrativo può consentirci di gettare uno sguardo su
quellesperienza allucinata ed abissale dove amore e morte si uniscono fino a
confondersi.
Per questo, nonostante la scabrosità del tema, va certo
oltre ogni velleitarismo scandalistico il romanzo breve "Il necrofilo" della
scrittrice tedesca Gabrielle Wittkop, che la Casa Editrice ES ha recentemente pubblicato
negli eleganti volumetti della Biblioteca delleros.
Protagonista della storia, raccontata in prima persona, è
Lucien, un giovane antiquario timido e solitario che, fin dallinfanzia segnata dalla
scomparsa prematura della madre, è preda di fantasie funeree e si sente irresistibilmente
attratto da giovani ambosessi deceduti che egli sottrae alle esequie e con cui amoreggia
in una sorta di rapimento estatico; il quale paradossalmente ha ben poco della
profanazione e più che un oltraggio ai defunti assomiglia quasi ad un prendersi cura di
corpi troppo presto destinati allestinzione. Così egli flirta con morti - che ai
suoi occhi paiono animati alla pari dei vivi -, facendoli "riemergere per un istante
dallImpero infernale" come una sorta di Orfeo trasfigurato.
Ma è marginale la trama, peraltro dal finale prevedibile
(sebbene aperto) allinsegna dellespiazione. Ciò che conta in questo pseudo
diario è leccellenza di una prosa poetica, di una scrittura casta ed insieme
impudica, dai toni sobri ma vibranti nellesprimere lintollerabile della
passione necrofila. Ciò che importa da parte della Wittkop è laver dato voce
allinaudito, lessersi calata con empatica mimesi nei folli agìti di un
diverso che alla fin fine suscita nel lettore soltanto compassione. E ancora: laver
sottolineato il labile confine che lega e separa ineluttabilmente vita e morte. Forse
proprio per questo le cortigiane elisabettiane portavano un anello con un teschio al posto
della pietra. Affinché - rimarca la scrittrice - "il simbolo di Thanatos fosse
associato allesuberanza vitale di Eros".
Francesco Roat