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ATTUALITA'- novembre 1998
 
Il bio-terrore corre sui media
Ogni tanto su giornali e tv si lanciano allarmi su terribili epidemie, virus apocalittici e minacce batteriologiche. Dimenticando magari che fanno più morti l'influenza e l'epatite C dei tanto temuti ebola o botulino. Così resta il dubbio: i veri pericoli vengono dalle misteriose sette che annunciano stragi a colpi di microrganismi o gas nervini o è meglio sperare che nell'ospedale più vicino per una radiografia non si debba aspettare un mese?   
La simulazione di un attacco terroristico aereo su Washington ha prodotto un bilancio spaventoso: più di tre milioni di vittime. La simulazione è stata effettuata dall'Office of Technology Assessment. L'arma usata: il bacillo del carbonchio. Pericolo reale o immaginario? Pochi sanno che il 4 marzo 1998 la polizia di Montréal aveva ricevuto un comunicato, nel quale si minacciava di fare esplodere una bomba biologica presso la stazione del métro di Beaubien.

Sui virus informatici fioriscono leggende e allarmismi. In genere, sono usati per prendere in giro i neofiti di Internet. Lo scherzo più diffuso riguarda presunte epidemie virali che si diffondono via e-mail. Quando il malcapitato ci casca e si preoccupa di diffondere la notizia, viene severamente redarguito. Ma anche per i virus più pericolosi, quelli biologici, l'attitudine alle bufale e ai facili allarmismi si sta diffondendo. Purtroppo, nessuno sgrida il giornalista che diffonde una falsa notizia. Il risultato è piuttosto preoccupante: non si riesce a distinguere tra pericoli concreti e creatività giornalistica.

bio.JPG (5152 bytes)Qualcuno ricorda la faccenda del virus della mucca pazza? I giornali cartacei proponevano i soliti titoloni. I giornalisti televisivi strombazzavano a voce alta. I macellai tentavano di difendersi, esibendo cartelli del tipo "qui di pazzo c'è solo il macellaio". I medici seri, abituati alle sciocchezze propinate dai giornali nell'ambito della loro materia, si consolavano sperando di poter acquistare filetti di vitello a buon prezzo. In realtà, tanto baccano era completamente ingiustificato, poiché il rischio di epidemia, semplicemente, non esisteva. È molto, molto più facile morire di una banale influenza, ma questo i mezzi di comunicazione non lo sanno, o lo hanno dimenticato.

Il problema è causato da semplice ignoranza, banale distrazione? Di certo, le notizie vengono selezionate in base al loro potenziale di risonanza emotiva. L'esotico virus ebola fa paura, mentre il virus dell'epatite C viene quasi ignorato. Eppure, è un virus pericolosissimo, sempre più diffuso. Inoltre, quasi nessuno sa che si trasmette per via sessuale, come l'AIDS. 

I contenuti delle notizie sono diventati secondari per i professionisti dell'informazione, spesso non esistono neanche. A quanto pare, si tratta di una scelta necessaria, altrimenti l'audience cala. Il fine (assicurano che lo fanno per difendere l'Informazione e la Democrazia, profitto e potere non contano) giustifica i mezzi (propinare sciocchezze facilmente digeribili). Pochi si fermano a considerare i danni concreti di un'informazione rumorosa e fuorviante.

Bioterrorismo: il lupo esiste davvero?

Montréal, 1998. Qualche settimana dopo il primo falso allarme arriva un secondo comunicato, firmato da un gruppo terrorista. Promettono pacchetti regalo contenenti prodotti chimici o batteriologici. Luogo del presunto attentato: ancora la metropolitana. La polizia del luogo reagisce immediatamente. I servizi che si occupano delle emergenze vengono allertati. Ambulanze e ospedali sono pronti ad intervenire. Vengono acquistati migliaia di dosi di Sarin. Anche questa volta, falso allarme.

Un'altra bufala pazza, o il rischio esiste? Ron Purver, analista strategico del Servizio canadese di informazione di sicurezze (SCRS) afferma che non si tratta di una bufala, che le grandi città americane sono veramente in pericolo. In effetti, nei laboratori si lavora alla ricerca di vaccini e antidoti. Il personale viene preparato attraverso corsi di formazione appositi. Il timore è cresciuto soprattutto dopo l'attentato alla metropolitana di Tokyo, organizzato dalla setta Aum Shinri Kyo, che aveva provocato 12 morti e più di cinquemila feriti.

In teoria, non sembra troppo difficile procurarsi armi chimiche o batteriologiche. Steven Hatfill, ricercatore americano, aveva installato una fabbrica di bacilli della peste nella sua cucina, ottenendo ottimi risultati. Nel 1995, un membro della  Aryan Nations, un'organizzazione che lotta per la supremazia della razza ariana, aveva quasi ottenuto un rifornimento di virus della peste (malattia infettiva molto gettonata, perché di facile diffusione) presso l'American Type Culture Collection (ATCC).All'ultimo momento, qualcuno si è insospettito per li impazienza dell'ariano. Per un soffio...

Bioterrorismo in Italia?

Qualcosa è accaduto anche a casa nostra. Forse qualcuno si ricorderà dei casi di botulismo che avevano allarmato la stampa qualche tempo fa. Di solito, il botulismo non fa notizia. Il batterio del botulismo produce una tossina che produce un veleno potentissimo. Succede spesso, che una conserva fatta in casa provochi delle disgrazie. 

In questo caso si trattava di un prodotto industriale, del mascarpone di marca. Difficile spiegare la presenza del botulismo in un prodotto simile, anche ipotizzando eventuali carenze igieniche. Non risulta che il caso sia stato chiarito. Rimane il ragionevole dubbio che il prodotto possa essere stato avvelenato. Di certo, è stato un danno enorme per l'azienda. Dunque, il botulino potrebbe essere un'arma potente in mano a eventuali estorsori. Tuttavia, nessuno se ne preoccupa. In compenso, c'è stata qualche accusa sporadica di "tentata epidemia". Per fortuna, il fatto non sussisteva. Qualcuno si è accorto che il reato di tentata epidemia non esiste?

In fondo, il nostro paese possiede una solida tradizione terroristica a base di bombe, molotov e armi da fuoco. Sembra difficile scalzare questa cultura radicatissima. Gli italiani, si sa, sono diffidenti nei confronti delle nuove tecnologie. Inoltre, i virus non fanno rumore. 

In ogni caso, i nostri servizi di emergenza non si preoccupano di eventuali attacchi batteriologici, e gli ospedali hanno ben altro cui pensare. Forse è meglio così. Se con le nuovissime aziende sanitarie, che pagano i loro managers fior di milioni, non si riesce nemmeno a prenotare una visita in meno di due mesi, figuriamoci cosa succederebbe nell'eventualità di un'epidemia di peste polmonare. L'unica soluzione? Non pensarci e riderci sopra…

Antonella Di Martino