Mangio, ergo sum
Pochi dubitano che il rapporto uomo-cibo
sia più complesso della semplice necessità biologica. Ora un saggio scritto a quattro
mani prende in esame riti, significati e aspetti culturali dell'alimentazione nel mondo
Occidentale. Tra ricerca di un naturale che non esiste, disagi e manifestazioni
psicologiche come anoressia e bulimia e perfino la struttura della stessa società
Isabella Brugo, Guido Ferraro, Caterina Schiavon,
Manuela Tartari Al sangue o ben cotto, Meltemi, pp.165, L.28.000
Che il pasto, col suo corollario di scelta e
preparazione dei cibi, costituisca una sorta di filosofia e possa paragonarsi ad un vero e
proprio linguaggio laveva chiarito ventanni Mary Douglas fa sulle orme di
Levi-Strauss, considerando come la distinzione fra alimenti commestibili e non - caposaldo
di ogni regola alimentare - istituisca una grammatica che separa lordine dal
disordine e consente solo un limitato ventaglio di strutture alimentari imponendo una
gerarchia prescrittiva alla loro ripetizione. Insomma il cibo sarebbe in stretto
riferimento con i paradigmi di ogni ambito normativo. Ossia, detto in parole povere, cibo
uguale cultura.
Ma allora se guardiamo con occhio antropologico al panorama
culinario contemporaneo siamo costretti a prendere atto di come, con buona pace di
Levi-Strauss, il cibo "crudo" o naturale alla fin fine non esista, in quanto
esso è paradossalmente sempre "cotto" solo per il fatto di essere scelto tra
gli altri come genuino o non manipolato artificialmente. Appare dunque quanto mai
opportuno linvito a riflettere intorno al rapporto tra azione trasformatrice della
nostra cultura alimentare e cibo in quanto supposta entità naturale, propostoci dal
saggio scritto a quattro mani da Isabella Brugo, Guido Ferraro, Caterina Schiavon e
Manuela Tartari su miti e riti intorno al cibo.
E ritengo si possa concordare senzaltro con Ferraro
sul fatto che è davvero problematico precisare quale sia il senso dellaggettivo naturale
nel contesto culinario, in quanto raramente tale termine si riferisce a prodotti
dagricoltura biologica o biodinamica, essendo indicata come naturale pure la cucina
crudista, vegetariana, mediterranea o persino macrobiotica ad onta della sua complessità;
per non parlare di quella nostalgica, intesa a recuperare ricette del buon tempo
andato. Benché, ad onta dellaura mitologica che circonda questa idea di ritorno
alla natura, i nostri tabù alimentari obbediscano piuttosto ad una razionalizzazione
rigorosa: ci vietiamo (teoricamente, almeno) ciò che fa male alla salute, è antigienico
o squilibrato dal punto di vista nutrizionale. Così anche gli eccessi o i disordini
alimentari oggi non vengono più considerati dei peccati di gola allinsegna della
colpa, ma della malattia.
Non a caso anoressia e bulimia (il rifiuto del cibo o
lassunzione smodata di esso) rappresentano le figure patologiche emblematiche
duna realtà in cui sempre più finisce per prevalere sulle altre una concezione che
potremmo chiamare dietologica, la quale rivela come si stia assistendo a diffidenza e
sospetto nei confronti del cibo. A questo proposito risulta particolarmente chiarificatore
lintervento di Caterina Schiavon sul comportamento degli adolescenti che presentano
tali disturbi alimentari: una condotta caratterizzata "dal bisogno di esercitare un
controllo totale su loro stessi e sulla realtà che li circonda". In quanto,
attraverso il rifiuto o labuso del cibo (ovvero mediante lestrema
trasgressione delle regole alimentari) si esprime implicitamente il rigetto nei confronti
del modello culturale incarnato da adulti/genitori.
Ancora sullossessione contemporanea del controllo, al
di là dun ambito francamente patologico, Isabella Brugo analizza mitologie e
tecnologie nella cucina contemporanea, i cui strumenti oltre ad essere macchine del
tempo - capaci cioè di incrementare la produttività di ogni massaia nellottica
dellorganizzazione industriale del lavoro - si configurano come "luoghi"
in cui alchemicamente avviene la metamorfosi dal cosiddetto naturale al culturale. Grazie
alle macchine che rendono possibile abolire "distanze e sacralità, ritmi e
pause", consentendoci di gustare qualunque cibo in qualunque momento facendoci beffe
di stagioni e latitudine, si accentua la hybris, la tracotanza di abolire ogni
limite, che è poi il mito per eccellenza dellOccidente.
Ma non si correrà il rischio di enfatizzare il ruolo del
cibo ritenendo, come sostiene Manuela Tartari, che le regole alimentari "si correlano
ai generali sistemi in base ai quali lesperienza globale della vita viene
organizzata e dotata di significato"? Non per lantropologa Audrey Richards
(già allieva di Malinowski, secondo il quale alla sessualità si deve linput che
favorisce aggregazione e rapporti sociali) se è il bisogno primario di alimentarsi a
costituire la causa principale che muove lessere umano ad elaborare comportamenti
che tendono a costituire contesti relazionali denotati da stabilità, quali in primo luogo
la famiglia, quindi una comunità più allargata. In tutti i casi al di là di ogni
considerazione esaustiva, il cibo - sin da quando cucinarlo ci ha distinto dagli animali -
legato comè a filo doppio con emozioni, rituali & ideologie sembra proprio da
rubricare tra i protagonisti della commedia umana.
Francesco Roat |