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SPETTACOLO&MODA - Novembre 1998

I film di novembre

Redford sussurra ai cavalli
e i soldatini giocattolo sparano

Barbara

Valeria Mastandrea - Marco Giallini - Armando De Razza Sceneggiatura e Regia Angelo Orlando Anno di produzione 1998 Distribuzione MEDUSA Durata 86'

ingrandimentoCosa succede se due amici con in testa l'idea di passare una "notte torrida" con una ragazza misteriosa di nome Barbara, si trovano legati al letto senza possibilità alcuna di scappare? E' quello che ci racconta Angelo Orlando che con l'ironia del grande genio - in soli sedici giorni - ha girato un film di grandissima qualità e davvero divertente in cui immagina una serie di situazioni comiche irresistibili che accadono in questa stanza piena di personaggi strani e buffi. Un film claustrofobico e esilarante in cui la bravura e la simpatia del duo Mastandrea-Giallini trova un'ottima controparte nelle situazioni strane e ridicole che capitano ai due poveracci legati al letto. Inoltre Barbara è costato pochissimo. Segno che le buone idee permettono - comunque - di fare degli ottimi film. Proprio come questo: europeo, intelligente, spiritoso, ironico e moderno.

 

La leggenda del pianista sull'Oceano

Tim Roth - Pruitt Taylor Vince - Bill Nunn - Melanie Thierry Sceneggiatura e Regia Giuseppe Tornatore Anno di produzione 1998 Distribuzione MEDUSA Durata 160'

La leggenda del pianista sull'OceanoQuesto film per le sue prime due ore è un vero capolavoro. Ottimo e unico. Girato in maniera stupefacente e affascinante, con colori, ambientazioni, costumi e musiche fantastici, interpretato da un attore al meglio di sé come Tim Roth, basato su una storia originale e commovente come quella dell'orfano adottato dal macchinista di una nave il primo giorno del nuovo secolo che diventa da autodidatta il più grande pianista del mondo, anzi dell'Oceano, visto che non vorrà mai scendere a terra per tutta la sua vita; trova proprio in tutte queste ragioni il suo più grande limite.

Eh già, perché i 35 miliardi dati a Tornatore per girare questo film, sono serviti solamente a creare una patina irreale su tutta la pellicola che nei suoi ultimi quaranta minuti sembra cedere alle seduzioni hollywoodiane e alle tentazioni di vincere un premio oscar. Così, il film si banalizza, i dialoghi diventano sempre più americani e meno poetici, facendo il verso a pellicole datate, con una patina leccata che ingabbia i sentimenti intensi e diretti presenti da sempre nel cinema di Tornatore.

Il lieto fine stile Frank Capra non ci deve essere per forza e in un continuo reiterare di frasi e situazioni già viste lungo la pellicola, il nostro spirito si incupisce per le scelte concettuali e di sceneggiatura. Alla fine La leggenda del pianista sullOceano risulta essere un altro film sui film, sui sentimenti onirici sfruttati per girare pellicole multimiliardarie e non parla più delle persone reali. E' un film che racconta di Peter Pan o di un angelo, che ricorda troppo C'era una volta in America di Sergio Leone e che non sa osare, né essere originale come il capolavoro del regista romano. Ci si uniforma a regalare un finale scontato, prevedibile e già visto. Un peccato che Tornatore, forse il più eclettico e intenso regista italiano, non aveva - comunque - mai compiuto. Fino ad ora.

 

L'uomo che sussurrava ai cavalli (The horse whisperer)

Robert Redford - Kristin Scott Thomas - Sam Neill - Scarlett Johansson - Dianne Wiest Sceneggiatura Eric Roth e Richard LaGravenese tratta dall'omonimo romanzo di Nicolas Evans Regia Robert Redford Distribuzione Buena Vista International Anno di produzione 1998 Durata 160’

Ci sono un uomo e un cavallo soli e silenziosi nella prateria. L'uomo è inginocchiato di fronte all'animale. Cercano di ripristinare un rituale antico e silenzioso che gli indiani d'America avevano creato con questi strani quadrupedi importati dall'Europa.

L'uomo è un cowboy di fine millennio che cerca di curare le ferite di questo cavallo coraggioso. Un giorno, infatti, per salvare la sua giovane padrona si è quasi ucciso contro un tir che le veniva addosso. Da allora è quasi impazzito. Ecco perché l'uomo è inginocchiato dinanzi a lui. Cerca di guadagnare la sua fiducia e gli occhi stanchi del cavallo iniziano a capire che L'uomo che sussurrava ai cavalli è lí solo per salvarlo. Tratto da un romanzo di Nicolas Evans, rarissimo caso di un film incomparabilmente migliore del libro, sereno e solenne nella sua semplicità, L'uomo che sussurrava ai cavalli è una pellicola di grande qualità che segna una svolta nella carriera di Robert Redford, cui va il grande merito di avere trasformato un testo volgarotto e a tratti banale, in un film poetico e pieno di visioni, che racconta la difficile riconquista di un contatto tra l'uomo e la natura.

La protagonista è la stessa meravigliosa attrice de Il paziente inglese, Kristin Scott Thomas addirittura sorprendente nel ruolo seducente della madre che per restituire la figlia alla normalità dopo un incidente avuto mentre faceva una passeggiata sul suo purosangue, la porta fino nel Montana dove c' è un uomo in grado di curare i cavalli, tramite un'antica arte indiana. Furono proprio questi ultimi, infatti, a ripristinare il silenzioso contatto tra uomo e cavallo, quando gli animali feriti nell'animo e sottomessi giunsero loro dall'Europa. La tecnica dei nativi americani di domare i quadrupedi, nasceva, infatti, dal rapporto di solidarietà e fiducia che si instaurava tra cavallo e cavaliere. Un legame di sottomissione reciproca e di silenziosa sensibilità che Redford rende in maniera commovente in tutta la sua maestosa bellezza.

Ma L'uomo che sussurrava ai cavalli non racconta solo della rinascita di un legame perduto per permettere a una bambina che ha perso una gamba di dimenticare un orribile incidente in cui ha visto la sua migliore amica morire insieme al suo cavallo e del salvataggio morale di un animale straziato. Questo film ottimo sotto tutti i punti di vista vuole raccontare anche la storia di una donna innamorata di un uomo diverso dagli altri, capace di "sentire" la natura e amare la libertà più di ogni altra cosa. Lontano dai clamori delle città e dalla loro grassa opulenza, il Montana appare un paradiso naturale dove gli esseri umani riescono di nuovo ad ascoltare l'assordante silenzio del mondo che li circonda.

In un mondo incontaminato, accanto alla forza della vita normale immersa nella natura, mille dubbi verranno alla protagonista, al punto di dimenticare le luci di New York che le sembreranno cosí fioche e fatue da potervi quasi rinunciare. La scelta sarà dura e dolorosa, ma ci sarà - comunque - mentre un cavallo coraggioso tornerà lentamente alla vita, grazie alla cura di un uomo capace di sussurrare ai cavalli parole di speranza e libertà.

 

Small Soldiers

David Cross - Jay Mohr - Jacob Smith Sceneggiatura Gavin Scott, Adam Rifkin, Ted Elliott & Terry Rosso Regia Joe Dante Anno di produzione 1998 Distribuzione UIP Durata 112’

ingrandimentoApprodato alla corte della Dremworks di Steven Spielberg, Joe Dante è riuscito a realizzare una pellicola in sintonia con gli incubi e i sogni del grande Steven.

Il regista di film come Gremlins, Matinée e di alcuni episodi delle Amazing Stories ha unito il suo gusto, la sua passione per il cinema a quella per il sogno e la fiaba tipica delle produzioni di Spielberg. Così Small Soldiers moderna versione della favola dello Schiaccianoci racconta di giocattoli perfetti e sofisticatissimi, realizzati con tecnologia militare da una multinazionale senza scrupoli. Il chip all’interno dei bambolotti fa sì che la squadra di presunti buoni comandata dall’intrepido Chip Hazard, armata fino ai denti dia la caccia a degli innocui invasori alieni chiamati Gorgonauti in cerca solo di un pianeta dove vivere. Prima il negozio di giocattoli, poi la casa del proprietario e - infine - l’intero quartiere diventeranno il luogo dove i cattivissimi Small Soldiers daranno la caccia ai presunti invasori alieni. Fino a quando gli umani del quartiere dovranno liberarsi dei pericolosi soldatini.

Gli ingredienti spielberghiani ci sono tutti: giocattoli, animali, protagonisti umani adolescenti, belli-cattivi, brutti-buoni e già questo basterebbe per parlare di un film di qualità come i vari Paulie, Un topolino sotto sfratto e così via. In più, però, c’è il fatto che Joe Dante ha regalato a questa intelligente pellicola un’ironia di fondo che deriva dalla sua grande passione per il cinema già vista nei Gremlins (una metafora della pellicola: se si bagna si distrugge, non può stare alla luce..) e in Matinée con John Goodman tenutario di una sala cinematografica.

 

Matrimoni

Francesca Neri - Diego Abatantuono - Stefania Sandrelli - Claude Brasseur, Cecilia Dazzi - Gigio Alberti Sceneggiatura e Regia Cristina Comencini Anno di produzione 1998 Distribuzione Filmauro Durata 102'

Dopo Va dove ti porta il cuore, Cristina Comencini ci regala un'altra artificiosa e pessimista commedia sui sentimenti. In particolare quelli legati ai matrimoni dove sembrerebbe proprio che non ne vada bene uno. Una famiglia che ne conta ben tre tra quello dei genitori e dei due figli, vede un'impressionante raffica di incomprensioni, divorzi, tradimenti con tanto di finti colpi di scena. Purtroppo, la cosa peggiore di tutte è che la regista figlia d'arte fornisce a tutto il cast innumerevoli e insopportabili affermazioni in forma di dialoghi e perfino di soliloqui che donano al pubblico pillole di "insperata saggezza", di cui si poteva - francamente - fare a meno.

Oltre un'ora e quaranta minuti di film tutto parlato, ragionato, pensato, detto e ridetto, battuto e ribattuto dove una visione consumistica e negativa della vita borghese viene fuori salvo farne un'apologia finale all'inno del "volemose bene" adattato alla Bologna dove il film è ambientato. Noioso, concettualmente vecchio e - soprattutto - inutile, Matrimoni si rivela essere una tortura per tutti coloro che tentano di affrontare la vita senza troppe certezze, ma almeno con qualche speranza. Stroncata perfino al suo nascere, quando vediamo anche un attore del calibro di Diego Abatantuono annaspare sotto il peso di battute intellettualoidi e quasi "jettatorie", in una sceneggiatura che schiaccia tutti gli attori, appiattendoli su banalizzazioni della vita assai qualunquistiche. Unica nota positiva Cecilia Dazzi che grazie alla sua freschezza tutta personale è l'unica che non ci annoia mai. Grazie anche alla sua innata simpatia e alla sua forza interpretativa e d'animo.

 

L'allievo (Apt pupil)

Brad Renfro - Ian McKellen - David Schwimmer - Joe Morton Sceneggiatura Brandon Boyce tratta da 'L'allievo' ('Un ragazzo sveglio') di Stephen King Fotografia Newton Thomas Sigel Anno di produzione 1998 Distribuzione Columbia Tristar Durata 100’

 

Che cos’è stato il nazismo e che cos’è il Male ? A questi due interrogativi cerca di dare risposta Bryan Singer ne L’allievo tratto da un romanzo di Stephen King.

Il film ricostruisce il rapporto perverso tra un giovane liceale americano che riconosce in un passeggero di un autobus un ufficiale di un campo di concentramento nazista, e il vecchio aguzzino degli ebrei di Kiev.

Con un Ian McKellen meritevole di vincere un Oscar per l’interpretazione del personaggio duro e malvagio, L'allievo è un’intelligente e dolorosa pellicola incentrata realizzato sull’agghiacciante equazione male = abitudine. Non è questione solo di scelta o di propensione. La malvagità è una sottile e seducente perversione che si manifesta dapprima nelle piccole cose, per poi scatenarsi in inenarrabili atrocità. Si incomincia bruciando nel forno della cucina qualche dolce gattino, si continua ammazzando piccioni feriti che vorrebbero solo il nostro aiuto e si finisce per sterminare sei milioni di persone in nome di esperimenti scientifici che sono solo l'alibi per il furto autorizzato e la violenza razziale. Come una specie di "educazione sentimentale e perversa ", L'allievo rivela sin dal suo titolo la natura del vero rapporto - al limite dell’omosessualità - che lega il nazista e lo studente.

Un film duro che fa riflettere e che ci fa ammirare ancora di più Bryan Singer e Stephen King. Ma anche una pellicola inquietante e spaventosa per la semplicità del messaggio che lancia: attenzione, i nazisti (intesi come portatori del Male Nero) sono tra noi. Ancora oggi e ci saranno sempre, nonostante tutto. Un’analisi del trait d’union tra i fumi dei campi di concentramento e il Male presente da sempre nella storia dell’uomo. Proprio come il rapporto tra maestro e allievo.

 

He got game

Denzel Washington - Ray Allen - Milla Jovovich - John Turturro Sceneggiatura e Regia Spike Lee Anno di produzione 1998 Distribuzione MIKADO Durata 142'

ingrandimentoPresentato allo scorso Festival di Venezia He got game di Spike Lee racconta la storia di un padre assassino per errore della moglie, che deve convincere il figlio astro nascente del basket USA, a iscriversi ad un college e ovviamente a giocare nella squadra di pallacanestro dello stesso, pur di far ottenere uno sconto di pena al genitore.

Ovviamente il rapporto tra i due è compromesso per sempre e solo una lenta riconquista dell'affetto reciproco, si presenta come la soluzione per le loro incomprensioni.

Denzel Washington nei ruoli dimessi di un uomo pentito e che sa di non avere molto davanti a sé è sufficientemente convincente anche se - una regia stiracchiata e meno aggressiva del solito - fanno trascorrere questo film in un lungo interminabile periodo di noia. Lenta e a tratti assonnata, la pellicola alterna in maniera incessante, ma mai coinvolgente flashback e partite di pallacanestro a ripetizione. Rischiarato solo da un cameo di John Turturro buffo e perfetto nel ruolo di un allenatore di una squadra di un college, He got game fa notare inoltre la presenza della stupenda Milla Jovovich (Il quinto elemento) mescolata a certe riprese e inquadrature che mostrano la zampata del vecchio leone Spike. Purtroppo, il film sembra non avere troppe idee di base e - la cosa peggiore - quelle buone vengono sprecate, annegandole in un mare di parole e situazioni raramente del tutto convincenti e praticamente mai emozionanti.

 

Illuminata

Katherine Borowitz - John Turturro - Susan Sarandon - Christopher Walken Sceneggiatura e Regia John Turturro Distribuzione CDI Durata 120'

ingrandimentoAd un uomo simpatico e intelligente come John Turturro si deve perdonare tutto. E allora lo spettatore non eccessivamente convinto da questo Illuminata affascinante e interessante riflessione sul teatro e sugli attori, sicuramente verrà contraccambiato con tre interpretazioni eccezionali e originali come quella di Susan Sarandon, di Christopher Walken e dello stesso Turturro, letteralmente irresistibile nel suo alter ego Tuccio, commediografo di fine Ottocento alle prese con i critici di tutte le epoche e le smanie degli attori ammalati di divismo. Un film intelligente e altamente ironico, che oltre a unire l'amore per il teatro e per il cinema, presenta interessantissimi elementi di ricerca spaziale sulla collocazione degli attori. I virtuosismi registici lasciano spazio - ad ogni modo - a quelli istrionici, con un Turturro riflessivo e magnetico, accompagnato da un cast di ottimi attori estremamente efficaci. Forse, il film poteva essere reso leggermente più agile da un montaggio più veloce e dallo sfoltire alcuni dialoghi francamente eccessivi. Eppure, il suo essere suadente e poetico trasformano quest'Illuminata in una riflessione sul teatro e sulla recitazione, talmente sereno e sincero da risultare universale. Un film intenso, in alcuni punti visionario e certamente ricercato. Interpretato da attori simpatici e irresistibili che fanno dimenticare qualche lungaggine e alcune incertezze.

 

L'eternità e un giorno (Mia eoniotita ke mia mera)

Bruno Ganz - Fabrizio Bentivoglio - Isabelle Renauld Sceneggiatura Theo Angelopoulos & Tonino Guerra Regia Theo Angelopoulos Anno di produzione 1998 Distribuzione Istituto Luce Durata 130'

Un film poetico e doloroso questo di Theo Angelopoulos, trionfatore alla scorsa edizione del Festival di Cannes.

Un uomo, affetto da un male incurabile, rivive tutta la sua vita in una sola giornata in cui si stacca dagli affetti passati e presenti per andare incontro al suo domani fatto - appunto - di un'eternità e un giorno. Un film lento e coraggioso, in cui la vita di un uomo, i suoi errori, i suoi amori, i suoi rimpianti vengono a confrontarsi con il volto delle persone che li hanno segnati, scontrandosi con le rare passioni e le poche speranze rimastegli.

Con il volto di un ottimo Bruno Ganz e del suo doppio ideale, Fabrizio Bentivoglio nel ruolo del poeta Dyonisos Solomos, padre della lingua greca e della poesia greca moderna, Angelopoulos e Tonino Guerra hanno dato vita a una parabola intelligente e amara sui nostri tempi. Grigi, veloci e inconsistenti rispetto a un passato onirico e ideale in cui la pienezza della vita e la forza della passione donavano a un giovane romanziere e poeta la speranza di poter sognare per sempre. Passati gli anni, trascorse una ad una le stagioni delle illusioni e degli inganni e con la vita che sta per finire, c'è ancora - comunque - la voglia di sognare e di andare avanti pieno di fiducia e di amore. Forse, il futuro può ancora incarnare la speranza di un passato non compreso in pieno, ad ogni modo il poeta avanza con la sua musica nelle orecchie e la sua donna scomparsa nel cuore. Per una passione che non finisce mai e che rimane solo assopita altrove. Su un'isola di sogno dove l'eternità è soltanto il tempo della memoria cristallizzato in un presente senza fine.

 

I colori della vittoria (Primary Colors)

John Travolta - Emma Thompson - Billy Bob Thornton - Adrian Lester - Maura Tierney - Larry Hagman - Kathy Bates Sceneggiatura Elaine May & Joe Klein tratta dall’omonimo romanzo anonimo  Regia Mike Nichols Anno di produzione 1998 Distribuzione Cecchi Gori Durata 143’

ingrandimentoIl regista de Il laureato Mike Nichols ispirandosi agli scandali sessuali di Clinton e non solo, in era antecedente il caso Lewinksy, ci racconta con una commedia un po’ scipita e non particolarmente incisiva come - durante le Primarie per la scelta del candidato che andrà contro il Presidente degli Stati Uniti - vengano fuori tutte le magagne e le debolezze dei vari candidati.

Un film che vorrebbe lanciarci il messaggio qualunquista che bisogna accontentarsi di chi può fare meglio per il Paese, nonostante tutto e che si basa interamente sulla recitazione dei suoi attori. Discreti, ma sotto tono Travolta e la Thompson, ottimi Kathy Bates e Larry Hagman (proprio il J.R. di Dallas), debole Adrian Lester che nel ruolo del consigliere nero del governatore donnaiolo dal cuore d’oro, non riesce mai a porsi come vero interlocutore della coscienza dello spettatore.

Eccessivamente lungo e diluito, il film si perde in una serie di considerazioni politiche già viste tante altre volte, mostrandoci ancora una volta come la realtà superi l’immaginazione. Una pellicola inutile, perché non essendo satira, né vera cronaca non aggiunge e non toglie nulla a quello che si sapeva e che si è già visto al cinema.

Il Negoziatore (The negotiator)

Samuel L. Jackson - Kevin Spacey Sceneggiatura James De Monaco & Kevin Fox Regia F. Gary Gray Anno di produzione 1998 Distribuzione Warner Bros Durata 138’

negoziatp.jpg (14974 byte)Un thriller mozzafiato dalla struttura quasi teatrale quello che il regista F. Gary Gray (quasi un esordiente) ci regala con intelligenza e con un grande dispendio di mezzi e risorse. Accurato, intenso, elegante il film racconta la storia di Danny Roman (Samuel Jackson) un negoziatore della polizia di Chicago (ovvero colui che media in prima persona con i sequestratori per la liberazione degli ostaggi) accusato ingiustamente di avere ucciso il proprio partner di lavoro perché questi avrebbe scoperto degli ammanchi nel fondo pensione di cui Danny è consigliere d’amministrazione.

Così, l’uomo per provare la propria innocenza sequestra un ispettore della polizia disciplinare scatenando il finimondo per le strade di Chicago che vedono il palazzo della polizia preso d’assedio. Sulla scena - inoltre - viene fatto arrivare l’altro miglior negoziatore della città Chris Sabian (Kevin Spacey) per gestire il sequestro e per ottenere quanto prima la liberazione degli ostaggi. In una guerra continua di colpi gobbi a vicenda tra assi del proprio mestiere si sviluppa un’amicizia basata sul rispetto reciproco. Cosa quasi impossibile in un mondo marcio come quello dei poliziotti corrotti dove i "presunti" amici ti sparano alle spalle.

Un film che tiene inchiodati gli spettatori alla poltrona e che tra qualche puntatina divertente e qualche concessione alla retorica tipica delle pellicole d’azione americane incentrate sui poliziotti, sviluppa una trama convincente e interpretata da due ottimi protagonisti del calibro di Kevin Spacey e Samuel L. Jackson. Entrambi in forma e perfettamente calati nel ruolo, lasciano grande spazio al gioco di sguardi e alla mimica delle espressioni del viso.

Un film che piace, soprattutto perché è basato sulla tensione generata da una trama piena di colpi di scena quasi mai scontati e imprevedibili.

Out of sight

George Clooney - Jennifer Lopez - Wing Rhames - Dennis Farina - Michael Keaton - Samuel L. Jackson Sceneggiatura Scott Frank tratta dal romanzo di Elmore Leonard Regia Steven Soderbergh Anno di produzione 1998 Distribuzione UIP Durata 123'

outp.jpg (16838 byte)Chiariamolo subito : se non ci fossero stati due attori più belli che bravi come George Clooney e Jennifer Lopez, se comprimari come Dennis Farina e Wing Rhames non fossero stati al meglio, se il regista di Sesso, bugie e videotape Steven Soderbergh non avesse costruito un film ad anello con interessanti dissolvenze e non ci fosse stata qualche comparsata d’eccezione come quella di Michael Keaton (sembra appena uscito da Jackie Brown) e di Samuel L. Jackson, di Out of sight non varrebbe nemmeno la pena parlare. Lungo, lento e spesso noioso il film di risolverebbe altrimenti in un improbabile poliziesco dai toni sexy e surreali.

Eppure la presenza del superbello Clooney nel ruolo del ladro gentiluomo e la splendida Jennifer Lopez nei pochi panni della fascinosa poliziotta sedotta dal suo sequestratore, ma sempre ligia al dovere cambiano il risultato del film che senza essere mediocre, risulta appena sufficiente.

Tratto dal romanzo di Elmore Leonard, Out of sight sembra la destinazione finale del Pulp. Edulcorato e annacquato in uno stile più soft che politicamente corretto i toni duri di Tarantino e dei Fratelli Coen si illanguidiscono con attrici seducenti e uomini duri e affascinanti. Una pellicola - dunque - di scarso valore intrinseco dove la scelta degli attori sembra essere stata determinante per il successo negli Stati Uniti e - quindi - perché no...anche in Italia.

La leggenda di un amore - Cinderella (Ever After)

Drew Barrymore - Anjelica Houston - Dougray Scott - Patrick Godfrey - Jeanne Moreau - Richard O'Brien Sceneggiatura Susaannah Grant & Andy Tennant & Rick Parks Regia Andy Tennant Anno di produzione 1998 Distribuzione Twntieth Century Fox Durata 121'

legp.jpg (11715 byte)La storia di Cenerentola raccontata con persone in carne e ossa, senza fate e zucche che diventano carrozze poteva andare bene. Soprattutto quando Cenerentola è interpretata da una sempre più brava Drew Barrymore e da una strepitosa Anjelica Houston nel fatale ruolo della matrigna cattiva, anzi cattivissima. Quello che, invece, non era proprio il caso di fare era sbagliare il dosaggio di questo film che - senza essere mirato per un pubblico di bambini - sembra essere eccessivamente lungo e non troppo intenso e vissuto per un pubblico adulto.

Ironico e allegro, con Leonardo Da Vinci che fa capolino nella storia tutta francese raccontata da una pronipote di Cenerentola (una carismatica Jeanne Moreau) ai fratelli Grimm, il film è - eccessivamente diluito. Le sue due ore di durata, infatti, stiracchiano un po’ la storia che si riprende - però - egregiamente nel finale.

Un film interessante che non corrisponde affatto al trailer che vediamo da mesi dato che il commento di George Fenton è molto classico, mentre il montaggio e le musiche dello spot pubblicitario lasciavano presagire, invece, un rifacimento assai vicino al Romeo + Giulietta di Baz Luhrmann con Leonardo Dicaprio e Claire Danes.

Un film - comunque - discreto che oltre a vedere il cameo del creatore del Rocky Horror Picture Show, Richard O’Brien nei panni di un cattivo e sporcaccione signorotto della zona esalta i toni ironici della commedia per dare una rilettura moderna e convincente di una fiaba famosa e immortale.

Ottime la Barrymore e la Houston, discreti i comprimari che girano intorno alle protagoniste.

Omicidio in diretta (Snake eyes)

Nicolas Cage - Gary Sinise Sceneggiatura David Koepp Regia Brian De Palma Anno di produzione 1998 Distribuzione Buena Vista International Durata 99’

omip.jpg (12832 byte)Che Brian De Palma sia un indiscusso maestro del cinema, su questo non c’è niente da dire. Un altro paio di maniche è girare un film in cui il virtuosismo registico consenta di trascurare una trama vagamente insulsa e tirata per i capelli.

Il poliziotto corrotto, ma dal cuore buono, l’intrigo per uccidere il Ministro della Difesa per scopi patriottici non molto chiari, lo sviluppo rapido e - discutibile - della storia rendono questo film una bella scatola con tante coppie spaiate : buono come al solito Cage e pessimo Sinise (sembra avere tatuato in fronte : "Sono un cattivo doppiogiochista..."), belle e "sostanziose" le attrici dalla recitazione discutibile, fiacchi i comprimari dalla presenza appena sufficiente, ottime le immagini, piena di buchi la trama.

Ci viene il sospetto anche che De Palma - dopo il successo solo commerciale di Mission Impossible - abbia voluto creare un levigato divertissment avvalendosi di un attore speciale come Nicolas Cage e guadagnare un po’ di soldini senza sforzarsi troppo. Certo, questa pellicola è in piena linea con la sua cinematografia precedente, al punto da assomigliarsi troppo, quasi autocitandosi come da Blow Out, ma questo davvero non basta per risollevare lo spettatore dalla noia e dall’incomprensione degli sforzi interpretativi di Cage & Co.

L’unica cosa da salvare oltre alla regia, senza il suo regista, insieme alle procaci forme delle due protagoniste sono alcune battute sparse per il film a macchia di leopardo. Davvero troppo poco per un genio come De Palma.

Marco Spagnoli