Psicologia dei baby-criminali
Si è tenuto a Vicenza un seminario
sull'infanzia maltrattata. E sulla necessità di segnalare ogni minimo sintomo o sospetto
di violenze a polizia e tribunale. Ma un libro di Panizon sull'educazione dei bambini
mette in guardia dal pericolo dell'eccesso di regole e teorie. "Meglio servire e non
comandare; sostenere e non prescrivere"
Franco Panizon: Cari Genitori, Piccola guida alla salute
del bambino, Bari 1998
"La
nostra società, si dice, manca di valori condivisi; la banalizzazione delle teorie sulla
educazione e specialmente la banalizzazione e la deformazione dellinsegnamento
(rivoluzionario e geniale) di Freud sono uno dei motivi della debolezza morale che sembra
aver colpito i nostri adolescenti. Deriva da questo insegnamento lidea che i primi
eventi esistenziali improntino di sé tutta la vita; ed è frutto di una banalizzazione di
questo insegnamento leducazione permissiva intesa a non traumatizzare. Sciocchezze;
cattiva lettura". Il libro di Panizon, pregevole per sincerità e onestà dei
contributi scientifici, impressiona. Tempo addietro Vittorino Andreoli era stato ancora
più drastico: "Non è possibile acconsentire a tutte le richieste di un bambino
che entri in un supermercato e che tenderebbe a svuotarlo, ma per questo non è possibile
lasciarlo passivo davanti a un televisore per ore dove impara soltanto a desiderare
oggetti... Genitori che vivono improvvisando, col gusto di inventarsi la vita ogni giorno
non devono generare figli. ... Senza autorità e senza coerenza si favorirà letica
della circostanza per la quale ogni comportamento è sempre possibile". Questo è
il punto: non solo sembra che tutto si possa fare, ma che anche ogni e qualsiasi azione
sia priva di conseguenze. Tutto ciò dovrà inevitabilmente cambiare. Così, se uno
studente minore vi racconta che una squadra sportiva amatoriale utilizza
pasticche per migliorare le prestazioni atletiche dei componenti e che quel
preparato è stato "efficace", ma che ha comportato effetti collaterali: nausee,
debolezza, disturbi dell orientamento; allora sarete obbligati a segnalare il fatto
al preside che dovrà trasmettere il tutto allufficio minori della questura. E
meglio una segnalazione in più che una in meno.
Questo è il senso del seminario svoltosi a Vicenza il 7
novembre 1998 in materia di controlli dei maltrattamenti allinfanzia (sino a 18
anni). Univoco è stato il parere dei relatori: magistrati, medici, incaricati della
polizia di Stato. Più controversa è stata la reazione dei pediatri di base e degli
insegnanti che hanno fatto notare come un eccesso di segnalazioni potrebbe compromettere
il rapporto di fiducia tra alunno e insegnante o tra paziente e medico. Tuttavia nessuno
ha negato che sussista un problema gravissimo relativo al maltrattamento dei minori che
non può essere meramente circoscritto alle violenze familiari o agli abusi sessuali
giacché spesso intervengono altri fattori -talora trascurati- quali il
bullismo, il consumo di droghe, la somministrazione di eccitanti.
Lincontro vicentino ha dimostrato la volontà di medici, magistrati, provveditorato
agli studi e amministrazione comunale di arrivare a un protocollo di intesa per
controllare e arginare il fenomeno. Con questa disponibilità si recepiscono così le
indicazioni delle nuove leggi tra cui la 216 del 19 luglio 1991, la 285 del 28 agosto
1997, la 269 del 3 agosto 1998 che prevedono la costituzione sul territorio di intese tra
enti diversi affinché siano più efficaci gli interventi contro la prostituzione minorile
e quelli volti a contrastare il fenomeno della microcriminalità.
Il cardine di questo nuovo sistema sarà l
"obbligo di segnalazione" da parte delle autorità scolastiche o sanitarie dei
casi che richiedono unazione di recupero; a questo proposito è interessante notare
che, onde evitare comportamenti distratti, le scuole dovranno riferire anche
che non risultano casi degni di attenzione. E ben evidente che si aggrava
lintrico di responsabilità che già pesa sugli incaricati di un pubblico servizio
(insegnanti, medici, assistenti sociali... etc. ..) e il fatto impensierisce nonostante le
parole rassicuranti, ma lobbligo è previsto dallart. 331 c.c.p. E
tuttavia altrettanto evidente che il disagio è giunto a livelli tali che è tempo che le
nostre coscienze abbiano uno scatto dorgoglio.
Il problema potrà esser meglio compreso con lausilio
di una serie di studi. In Violence Among Children and Adolescents si mette in luce
come stia proliferando il costume dei giovani di raggrupparsi in bande e di combattersi
anche in modo molto aggressivo. Per di più i crimini commessi dai giovani sono passati da
una percentuale del 9% del 1987 a una del 19% del 1994 e lincremento vede una
progressiva partecipazione delle ragazze. Su tutto ciò pesa leducazione familiare,
la diffusione di droghe, i danni cerebrali patiti in incidenti e il fatto che entro i 15
anni ogni ragazzo ha assistito in televisione a più di 200.000 atti di violenza che
includono almeno 40.000 omicidi. Su questi dati relativi ai media si è fatta
troppa retorica che ha banalizzato il messaggio. Tuttavia cè uninformazione
convincente: la televisione americana offre una spettacolarizzazione della violenza tra le
più alte del mondo e le conseguenze sociali sono ben evidenti; del tutto diverso è
limpatto della violenza televisiva dei programmi giapponesi e questo perché in
questultimo caso ogni atto violento è costantemente accompagnato da una grande
enfasi sulla reale sofferenza di chi ha subito unaggressione mentre quasi il 60%
degli atti di violenza nei media americani sembrano essere immuni dal dolore e
da conseguenze a lungo termine.
In questi anni, in Europa come negli Stati Uniti, si è
trascurato che la criminalità giovanile, al contrario di quella degli adulti, si
organizza per bande che giungono ad essere responsabili di quasi l89 % degli atti di
violenza su altri adolescenti. Sono testimone di questo orientamento e ho ascoltato alcuni
ragazzi che, accortisi desser "grandi", hanno deciso di
"pestare" perché era venuto il loro turno: si picchia col "branco"
talvolta senza conoscere lavversario, ma solo per lavare unoffesa; si picchia,
come mi hanno raccontato, per provare lemozione di vedere gli occhi pieni di paura,
si picchia e non ci si vergogna di farlo, di dirlo e di scriverlo. Più che i dati
statistici preoccupano i racconti dei singoli, impensierisce il fatto che il
"bullismo" e/o il "nonnismo" si stia diffondendo anche nelle scuole
elementari e rende ansiosi il fatto che gli atti di violenza siano "coperti" da
atteggiamenti omertosi. E un fenomeno che per Panizon innesca "tragedie
sommesse: ragazzi incompresi o inascoltati dalla loro stessa famiglia, che
avevano perso ogni voglia di vivere, ogni confidenza nella società ed ogni amore verso la
scuola, per essere diventati lo zimbello".
Benché Panizon sia scettico di fronte alle statistiche che
riportano come il 40% degli adolescenti abbia subito una persecuzione debbo pur dire che
assistito ad atti incredibili: ragazzine di una classe femminile picchiate perché
studiavano, studenti timidi apostrofati con epiteti ignobili, atti di servilismo
obbligato. Negli studi americani si offrono una serie di linee di prevenzione: occorre
-purtroppo- spiegare ai genitori come comportarsi nellinsegnare la disciplina ai
più piccoli. Negli Usa sono stati stabiliti dei protocolli per cui la
famiglia di un neonato a rischio andrà orientata con visite frequenti sin dalla seconda
settimana dalla nascita. In tutti questi interventi prevale un principio guida: la
violenza è un comportamento acquisito culturalmente e con la cultura si potrà convincere
a un diverso stile di vita. Tuttavia alcuni di questi schemi proposti peccano per la
loro rigidità. Ha ragione Panizon: negli ultimi anni si è enfatizzata una cultura
delle regole pediatriche ed educative che ha sottratto istinto ai genitori e creato
dipendenza (e aggiungo deresponsabilizzazione) di mamme e papà nei confronti di pediatri
e insegnanti. Rimane il fatto che in molti casi la famiglia affronta la nascita avendo
bisogno di aiuto e questo intervento è anche volto a ridurre sia i fenomeni di violenza
domestica sia gli incidenti che derivano dallaver trascurato di mettere fuori dalla
portata dei bimbi armi, medicinali, liquori, detersivi.
Le prescrizioni
non bastano; bensì è necessario controllare il temperamento, non far scattare il
grilletto della violenza. Al centro di questa attività di prevenzione cè
lobiettivo di far raccontare gli episodi che hanno indirizzato verso
lesplosione dellaggressività e di far parlare tra loro i giovani con diversi
orientamenti. Facile a dirsi, ma non a farsi. Panizon suggerisce due interventi: 1)
raccontare e ascoltare storie 2) la vita collettiva: la band per evitare la gang,
la musica, il coro oltre allo scoutismo e alescursionismo. Non cè dubbio
che attraverso i racconti luomo ha costruito la propria memoria storica e la propria
coscienza individuale; "le storie, i giochi, le gite sono altrettanti modi di
vivere assieme ai figli". Purtroppo ho constatato che la gran parte dei
quindicenni non ha letto Cenerentola, non ha ascoltato il racconto di Cappuccetto
Rosso o quello di Pinocchio e il loro ricordo è bloccato alle immagini
cinematografiche. E una memoria incapace di fantasticare e questa possibilità di
sognare viene ancor più tarpata da quegli squallidi esercizi che impongono di sezionare
il testo in sequenze, in emittenti, in riceventi; si distrugge così ogni piacere della
lettura e si compie - afferma la pediatra Patrizia Pesenti - unorribile operazione
di autopsia istologica della pagina scritta. Insegnare lodio per la lettura
significa non aver capito che il contrasto della cultura violenza passa per
lesaltazione del gusto del leggere; a tal proposito sono efficacissimi vecchi
classici come I ragazzi della via Paal o La guerra dei bottoni, ma anche la
fiaba realistica e affascinante della vita dei bambini inglesi che durante la seconda
guerra mondiale furono costretti a vivere nei villaggi inglesi mentre i loro genitori
erano impegnati o al fronte o nelle attività di supporto logistico.
Se gli studi americani appaiono ben fondati nelle analisi
dei fatti e in alcuni esempi di riabilitazione tuttavia lasciano qualche
perplessità sullefficacia di quei protocolli o comunque sulla
possibilità di importarli in Italia. I dubbi si aggravano se si prova ad immaginare che
tutto si risolverà con la segnalazione alla questura dei soggetti a rischio che
libererebbe le nostre e le altrui coscienze. La strada -indicata a Vicenza- di una
collaborazione tra Usl, magistratura, questura, Provveditorato, distretti socio-sanitari,
Comuni appare percorribile. Ad una condizione: quella per cui si eviterà dal farsi
avviluppare dallorganizzazione dei monitoraggi inconcludenti per far
invece prevalere lintervento culturale e didattico. Non a caso Panizon ci tiene a
sottolineare che "prendersi cura" è la parola dordine che luomo
trasmette di generazione in generazione; non a caso Panizon invita ciascuno ad
ascoltare la propria coscienza e a non farsi rinchiudere nelle "teorie
delleducazione una più perniciosa dellaltra"; e in questo quadro è
forte il richiamo a quei padri che tendono a parlare poco con il loro cuore. E
giusto: lallievo a rischio è spesso quello che non vede il padre o, peggio, ambedue
i genitori.
Il giovane che corre il pericolo di essere maltrattato o di
condividere una cultura della violenza è sempre più spesso colui che non legge, che non
scrive, che non sa più ricordare, che non è capace di osservare. Con grande onestà si
ammette che se per alcuni "è infame anche solo pensare che esistano delle
differenze genetiche tra gli uomini" che differenzino non solo la statura, ma
anche lintelligenza per altri -e Panizon è tra questi- "è semplicemente
impensabile che queste differenze non ci siano"; tuttavia proprio per i più
piccoli occorre elaborare strategie del successo scolastico, tecniche tali per cui lo
studente sia motivato ad apprendere attraverso unazione di rinforzo positivo che non
è facile soprattutto quando vede protagonisti i docenti isolati che rifiutano un lavoro
dequipe. Con estrema determinazione Panizon ricorda i cambiamenti storici e
scientifici che hanno costruito il bambino del benessere privilegiato per qualità della
nutrizione e per possibilità di sopravvivenza; sono le parole di un pediatra che ha "visto
morire e morire e morire" e che ha la chiara consapevolezza di quanto sia stato
lungo il tempo storico della medicina di questi ultimi cinquantanni. Sono parole che
ricordano la tragedia espressa da Carducci quando, nel 1870, perse il suo bimbo: "Il
mio povero bambino mi è morto... quella sera a un tratto si sveglia, dà in orribili urla
a tre a tre, acute, quasi a scatto; séguita per mezzora così, e a divincolarsi pel
letto, cogli occhi in fuora. Vennero medici; fecero di tutto; mignatte, vessicanti, tutto,
tutto... Mi morì a tre anni e quattro mesi; ed era bello e grande e grosso, che pareva
per letà sua un miracolo".
Il senso del progresso della qualità della vita emerge
anche nelle parti più tecniche del libro di Panizon che invita a meditare sui rischi di
un vivere poco meditato che inevitabilmente si apre allindividualismo e
alledonismo e di qui alla violenza. Al centro di queste riflessioni cè
lazione dei genitori, del medico, degli insegnanti affinché offrano ai piccoli un
benessere intelligente. Già Andreoli aveva scritto che "la scuola non deve porsi
come gara per sopraffare gli altri. Importante è stare con gli altri e frequentare un
luogo per imparare divertendosi", conquistarsi così la propria felicità che è
lesser consci dei limiti. E Panizon, ricordando una frase che gli disse lo
psichiatra Basaglia: "Vedi, hai soltanto da decidere da che parte stai: se dalla
parte del malato o dallaltra parte", invita a stare dalla parte dei
bambini, ed è per questo che nel mestiere di medici e insegnanti occorre servire, non
comandare; sostenere, non prescrivere.
Piero Morpurgo |