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Cultura - Dicembre 1998


Repubblica, atto primo

A Napoli si celebra il bicentenario della rivoluzione che nel 1799 portò alla caduta del potere dei Borboni. L'illusione di uno Stato più moderno e illuminato durò poco, ma fu comunque un grande momento storico che alimentò i grandi ideali del Risorgimento. E che oggi può servire come esempio per la rinascita del Sud

ingrandimentoLa vigilia di Natale del 1798 i Borboni di Napoli avevano del tutto abbandonato la città alla volta della Sicilia. Dopo pochi giorni - nella prima settimana del 1799 - veniva proclamata la Repubblica da un gruppo di patrioti e giacobini che annoveravano tra i loro ranghi numerosi uomini di cultura e illustri membri della borghesia illuminata. A quasi dieci anni da quella francese, Napoli, terza città d’Europa per grandezza e importanza dopo Parigi e Vienna vedeva così compiuto il sogno giacobino di una rivoluzione che la liberava dal pesante fardello di una monarchia retriva e indifferente ai reali problemi dello Stato come quella borbonica. Succube della nefasta influenza dell’ambasciatore inglese Hamilton e di sua moglie, ex ballerina, ottusa e amante segreta dell’ammiraglio Nelson, futuro eroe di Trafalgar e cieco esecutore delle nefandezze operate dai monarchi napoletani.

ingrandimentoIn soli sei mesi - grazie a una grande attività pubblicistica e legislativa - l’impegno dei patrioti partenopei vide letteralmente demolito l’antico regime borbonico. Dotando lo stato di un codice moderno e adatto al cambiamento dei tempi. Con la partenza dell’esercito francese e il contemporaneo impegno del cardinale Fabrizio Ruffo alla testa di un esercito di cafoni e contadini ignoranti chiamato "della Santafede" da cui il termine di Sanfedisti, spalleggiato dalla flotta inglese dell’ammiraglio Nelson, l’esercito dei rivoluzionari fu ripetutamente battuto.

Il 13 giugno la città cadde e i giacobini che scamparono l’esecuzione sommaria decisero il 21 di arrendersi con la garanzia di avere salva la vita. Solo otto giorni dopo l’ammiraglio Francesco Caracciolo viene fatto impiccare al pennone più alto della nave di Nelson. Seguono ottomila processi e un centinaio di esecuzioni capitali. Muoiono tutti i capi della rivoluzione tra cui le due donne espressione di un embrionale protofemminismo Eleonora Pimentel Fonseca e Luigia Sanfelice. Il portone del palazzo del Principe di Serra di Cassano viene chiuso alle sue spalle, quando questo esce per andare al patibolo. Non verrà riaperto prima di altri 195 anni, fino a quando il sindaco Antonio Bassolino e il rettore dell’Istituto di studi filosofici che ha sede proprio in quell’edificio, ne spostano le ante dai cardini arrugginiti dal dolore e dai secoli per augurare una nuova primavera di rinascita culturale per la città. A duecento anni da quei tragici avvenimenti, abbiamo chiesto al professor Luigi Mascilli Migliorini, docente di Storia moderna presso l’Istituto universitario orientale di Napoli un parere sulla rivoluzione napoletana del 1799.

Professor Migliorini, qual è l’attualità delle istanze della Rivoluzione napoletana del 1799 e qual è il senso della celebrazione di questo bicentenario ?

ingrandimentoTrovo molto importante per gli abitanti del Mezzogiorno d’Italia e in particolare per i napoletani che questi si fermino a considerare i fatti del 1799 come un momento autonomo della loro storia politica. Così come accade per altre situazioni come i Vespri siciliani o i moti insurrezionali guidati da Masaniello, i napoletani e i meridionali si riconoscono attivamente nella rivoluzione del 1799, perché la riconoscono come un’espressione propria della loro cultura e della loro storia. Non altrettanto si può dire riguardo al Risorgimento che invece è vissuto a Mezzogiorno con maggiore passività e freddezza. L’occasione di questo bicentenario sta nel convogliare e nello sfruttare al meglio le energie presenti a Sud per il cambiamento sociale del nostro paese, sotto la bandiera di determinati ideali politici e civili che ci derivano proprio dai patrioti del ’99.

Nonostante l’importanza cui viene data a questa rivoluzione nei nostri libri di storia, lei ritiene sia davvero possibile inserirla in un contesto più ampio di natura europea ?

Francamente no. La vera rivoluzione del 1799 da ricordare è quella francese del 18 Brumaio, data in cui grazie al colpo di stato napoleonico, il bonapartismo - con una base molto larga rispetto una rappresentanza ristretta - prese le redini dell’intero paese, decidendo anche le sorti dell’Europa. In Francia i giacobini erano scomparsi ben cinque anni prima. A Napoli la natura giacobina della rivoluzione la porta a essere sfasata temporalmente rispetto a quello che accade nel resto del continente.

Un esempio abbastanza eclatante di questa scissione spazio-temporale è l’uscita a Milano del saggio del patriota napoletano Vincenzo Cuoco due anni dopo l’esperienza napoletana. Questo scritto mira a spiegare che è necessario accettare il nuovo governo napoleonico, perché solo da questi può arrivare un futuro per la libertà.

L’accettazione di Napoleone - secondo Cuoco - è il veicolo della modernità. Questo implica necessariamente l’affermazione del moderatismo del Risorgimento con l’egemonia delle classi borghesi e l’inizio di un processo di "normalizzazione". Cuoco è lucido e deciso : il quadro europeo è quello e bisogna accettarlo. Non si può fare gli schizzinosi perché contro l’Inghilterra e l’Austria è necessario l’aiuto della Francia di Napoleone. Non c’è altra via.

Quali furono le ragioni del fallimento della rivoluzione e del disastro che seguì...

Napoli non fu sola nel disastro. Quando i francesi si ritirarono in tutta l’Italia si svilupparono moti controrivoluzionari come i Sanfedisti calabresi e i Vivamaria toscani. È interessante notare, però, che nella controrivoluzione napoletana si svilupparono fenomeni - rilevati anche da autori come Croce e Gramsci - che si sono ripetuti anche in seguito nella storia italiana. La saldatura contro le riforme tra i poveri, i cosiddetti Lazzaroni e le classi alti con la Chiesa come elemento connettivo è qualcosa che si è ripetuto anche in seguito come durante il fascismo e in epoche ancora più recenti. La saldatura "mostruosa" di due estremi della società fu possibile grazie alla forte disgregazione della società meridionale. Furono le piccolissime borghesie rurali ad agire come tessuto connettivo tra gli esponenti delle grandi povertà e quelli delle grandi ricchezze.

Lei considera i cosiddetti "martiri del ‘99" come espressione di un tentativo borghese di conquistare il potere?

La rivoluzione del 1799 è una tappa conclusiva di un’epoca piuttosto che l’inizio di una nuova era. Il cosiddetto Martirologio, ovvero l’epopea del martirio dei rivoluzionari napoletani fu qualcosa che servì ad alimentare gli ideali di base del Risorgimento. Questa rivoluzione fu fatta da un’aristocrazia di provincia che è di altra natura rispetto alla borghesia dell‘Ottocento. I moti del 20-21, del 1848, del 1860 crearono una nuova comunità di intellettuali (Luigi Spaventa, Pasquale Villari, Ruggero Bonghi, Francesco De Sanctis) e questo accadde perché le borghesie provinciali che passano attraverso napoleone si configurano in maniera diversa rispetto ai rivoluzionari del 1799. È nel 1815 che inizia veramente una nuova stagione per gli intellettuali italiani.

Quindi non è vero che il 1799 segnò la presa di una nuova coscienza degli intellettuali del nostro paese ?

Sul piano mitico, forse; sul processo dei piani storici reali ho dei seri dubbi che la rivoluzione del 1799 abbia segnato davvero i tempi. In una prospettiva europea le cose stanno diversamente.

Lei trova esagerate anche le descrizioni dei capi della rivoluzione ?

Assolutamente no. Furono tutte figure illuminate e letterati illustri. Domenico Cirillo, Mario Pagano sono tra i maggiori pensatori espressi dall’illuminismo del nostro paese. Erano tutte persone rimaste profondamente impressionate dalla rivoluzione francese e che vollero ripeterne l’esperienza anche a Napoli. Questo non fu inoltre solo dovuto grazie alla presenza dei francesi sul territorio nazionale. Ebbero il colpo di genio di sviluppare una forte attività pedagogico-pubblicistica.

L’idea ossessiva e nobile di educare la plebe fece loro pubblicare in soli cinque mesi un numero enorme di pubblicazioni che miravano alla mobilitazione della coscienza pubblica. Il più grande limite, invece, fu quello di non riuscire a porsi per tempo il problema del latifondo e della proprietà contadina.

E come vanno inserite in questo contesto le accuse del Cuoco esule a Milano che scrisse che i rivoluzionari napoletani lavorarono per il popolo, ma non con il popolo ?

Le valuterei più che altro come gli elementi di un manifesto post-rivoluzionario sull’onda di un riflusso moderato. Durante la rivoluzione, quello che scrive Cuoco era di difficile realizzazione per tanti motivi pratici.

Perché i Borboni tradirono i patti condannando a morte o all’esilio un numero tanto alto di persone? Era necessario essere tanto crudeli?

La punizione era esemplare, non necessaria. L’idea dei Borboni era quella di incutere nelle persone la certezza che con loro non si scherzava. Inoltre Maria Carolina, moglie di Ferdinando, era sorella di Maria Antonietta. In quella maniera sembrava di vendicare anche la morte per mano dei giacobini dell’amata sorella.

Cosa pensa dei nostalgici dei borboni che ogni tanto si riuniscono a Napoli ?

I Borboni sono una dinastia che si condanna da sola nel 1799 prima e poi nel 1848 con il rinnegare la costituzione. Sul piano storico i peggiori nemici dei filoborbonici sono i borboni stessi. Le loro azioni furono del tutto disonorevoli e non mostrarono in nessuna occasione dei meriti particolari per regnare. Avevano tutte le carte in mano per restare saldamente al potere e lentamente hanno perso tutte le opportunità. Avevano uno stato unitario che costituisce circa il 40 % dell’attuale Stato italiano. Avevano saldi rapporti politici ereditati da circa settecento anni di relazioni internazionali basate sulla posizione strategica del loro regno. Eppure - nonostante tutto - avevano uno stato arretrato economicamente. Avevano classi intellettuali non spregevoli e tutte le condizioni per diventare il punto di riferimento di un processo politico che avrebbe coinvolto l’intera Italia.

Da questo punto erano assai più favoriti loro che i Savoia, eppure erano talmente ostinati e caparbi da riuscire in breve tempo a perdere tutto miseramente commettendo un errore e un’atrocità dopo l’altra. Non c’è niente da fare: i borboni sono una delle dinastie europee più retrive e di cui non c’è nulla per cui valga la pena di andare fieri.

Nell’ottica europea dell’epoca quali sono i confini della rivoluzione napoletana del 1799 ?

Negli intenti dei rivoluzionari la loro rivoluzione non aveva confine. Solo l’umanità intera era il confine della repubblica e della rivoluzione. Su un piano storico reale, invece, l’esperienza napoletana costituisce soltanto episodio periferico dell’esportazione militare della rivoluzione francese. Sul piano del mito, invece, la repubblica partenopea fu assai importante. L’eco europea che di questa rivoluzione si ebbe servì a dimostrare che gli italiani erano gente di valore e che il non Risorgimento non era dovuto agli stranieri.

m.s.

 

Testi consigliati per l'approfondimento:

Saggi

Vincenzo Cuoco - Saggio storico sui fatti svoltisi in Napoli durante la Rivoluzione del 1799 Lacaita

Edizione critica e antologica de Il Monitore napoletano - A cura di Mario Battaglini - Guida Editore, Napoli

Anna Maria Rao - La repubblica napoletana del 1799 - Newton Compton, Roma

Anna Maria Rao - Il regno di Napoli nel Settecento - Guida Editore, Napoli

Antonio Manes - Un cardinale condottiero - Fabrizio Ruffo e la repubblica partenopea - Jouvence, Roma

Alexandre Dumas - Napoli Borbonica - Edizioni del Touring Club, Milano

Francesco Magio Pagano - I saggi politici - Edizioni Procaccini, Napoli

Giuseppe II d’Asburgo - Cortelazzara : relazione a Maria Teresa d’Austria sui reali di Napoli - Edizioni Franco di Mauro, Napoli

Edizioni La città del sole - Collana La repubblica napoletana del 1799

Ugo Foscolo - La rivoluzione di Napoli

Luigi Firpo - Francesco Mario Pagano

Diomede Marinelli - L’entrata delle armi reali in Napoli

Lorenzo Bozzaotra - Dialogo tra Cuosemo e Aniello

Giustino Fortunato - I napoletani del 1799

F.T.J. Tischbein - Napoli 1799

 

Romanzi

Paolo Spriano - Il resto di Niente - Edizioni Avagliano

Susan Sontag - L’amante del vulcano - Mondadori, Milano

Maria Orsini Natale - Francesca e Nunziata - Edizioni Avagliano